Orfico non è quel grumo di nomi
in cui una luce si credette rappresa,
la storia di una glissante discesa ascesa,
annuendo nel nume
dove ogni passo brilla in avanti
e si avvivano le braci e i giorni santi
i diamanti della gioventù.
Vecchiezza è dunque… E l'intimo
cavarsi a raso di paesi e paesaggi
e staccarsi di fasi e di stasi
e dire che all'ascolto si addensa
il non dire, che da un immenso
Eolo, dall'otre celeste lo sgomento…
Entrate, geriatrie, a mimare un aldilà.
Come ho dimenticato e sprezzato
come ho leso e svergognato
come abbiamo, noi, tollerato
che tutto fondesse nel suo, difalcato,
che voi e io e tutto fosse un dato
e non ciò che si dà.
Ora promettere risorse estreme
o grandi affreschi d'insieme
o l'innesto che dal mai qui preme
o la buriana che le sceme
fosse inacqua e aera le supreme
nullezze: agganciare catene di e, di o.
Ma di fatto lascio la presa, non esorto
alle storie alle scienze alle lingue.
Indulgo e d'altro il mio stato faccio pingue,
torno al giro delle lievi lusinghe
torno al brevissimo che appena appena so.
© Paolo Melandri (26. 12. 2022)