Mario Soldati l’ho incontrato alla fine degli anni Ottanta Lo scrittore tra la letteratura e il cinema

 

 

Mario Soldati l'ho incontrato alla fine degli anni Ottanta

 Lo scrittore tra la letteratura e il cinema

 di PIerfranco Bruni

 

      Era la fine degli anni Ottanta quando conobbi Mario Soldati. Parlammo di letteratura e di città. Di storie e di presente. La città e i luoghi. Il senso dell'appartenenza e il viaggiare nella memoria. Uno scrittore tra le pieghe dei ricordi. Una Torino "odiosamata" c'è in alcuni romanzi di Mario Soldati. Quella Torino che si presenta con "grandi portici aerati e soleggiati: i negozi ricchi, le insegne dorate, i cristalli scintillanti di cielo: i bei vialoni larghi, lunghi, diritti, all'infinito, con le quattro file parallele dei loro alti alberi, vere colonne vive, cupole fiorite e profumate, che il vento del solstizio, scendendo dalle vicine vette e dai ghiacciai, attraversava vivificante e impetuoso".

      E' la Torino dei ricordi, degli immensi scenari, degli ambienti che si confrontano e si contrastano. Mario Soldati nei suoi libri ha tracciato confronti e contrasti. Le due città. Roma e appunto la sua Torino. E Torino è sempre lì. Nella partita a bocce. Nella stazione. Il mondo politico e culturale. La vitalità. I ritratti del paesaggio. Insomma Torino è storia e formazione in Soldati.

      Non c'è comunque un altro Soldati o un Soldati diverso. E' lo stesso scrittore, che si serve ora e della parola ora delle immagini, nella proiezione del raccontare. E raccontando si racconta come in un viaggio o una scrittura diaristica. E così di seguito nel suo armonizzare i luoghi e le città con le avventure e i personaggi.

        In America, primo amore Mario Soldati scrive: "il primo amore e il primo viaggio son malattie che si somigliano". E', certamente, il messaggio più lapidario che si può cogliere ripercorrendo ora l'itinerario letterario di questo scrittore.

      Tra fantasia e misticismo. Tra il rincorrere la fede come atto di fede e la bellezza nel raccontare, appunto, l'amore, il viaggio, le città, le donne, la vita. Non un mistificatore ma neanche un fantasista. Un creatore di storie e di emozioni nel tempo che dilaga nell'incantesimo di avventure che si fanno sogno.                    

       Mario Soldati è morto a 93 anni (nato nel 1906).  Lo scrittore che ha attraversato la letteratura, il cinema, il viaggio, i luoghi in una rappresentazione non solo metaforica e iconica, come nel racconto delle città, ma soprattutto meta – realista.

      Il moralismo sembra un passaggio obbligato in una condizione esistenziale in cui le contraddizioni non sono soltanto nello svolgersi letterario o cinematografico ma vivono nella quotidianità.

      Nella quotidianità c'era l'ironia. Quell'ironia impastata nel moralismo e nel misticismo. Nel racconto "Il fioretto" del volume L'amico gesuita del 1943 si legge: "Il misticismo ha talmente dominato la sua educazione, che è diventato necessario anche alle funzioni che gli sono opposte". Avanzano quelle genuine e straordinarie e necessarie contraddizioni che sono vitalità in Mario Soldati. Ma il misticismo c'è. E vi resta sino alla fine.

      Era nato a Torino nel 1906. Laureatosi in Lettere va ad insegnare tra gli anni 1929 1931 alla Colombia University di New York. Ritorna in Italia e si dedica al cinema come regista, oltre che soggettista e sceneggiatore, e produce film come: Piccolo mondo antico, Malombra, La provinciale, Fuga in Francia, La mano dello straniero, La donna del fiume e molti altri. Lavora per la televisione e scrive per alcuni giornali.

      Nel 1929 pubblica Salmace e nel 1935, con lo pseudonomo di Franco Pallavera, Ventiquattro ore in uno studio cinematografico. America, primo amore è del 1935, La verità sul caso Motta è del 1941, A cena col Commendatore è del 1950. Nel decennio degli anni Cinquanta vedono la luce Le lettere da Capri del 1954, Il vero Silvestri tre anni dopo e La messa dei villeggianti nel 1959.

      Tre libri importanti che segnano certamente un traguardo ma ci sono libri simbolo che danno il senso della creatività di Mario Soldati. Mi riferisco, in questi già citati, a quello del 1935 e a quello del 1954. Poi sarà la volta de Le due città nel 1964, I racconti del maresciallo del 1967, La sposa americana del 1977, L'incendio del 1981, El paseo de Gracia nel 1987.

      Una ricca produzione che dà la misura dell'intenso ed eclettico lavoro di Soldati. Uno scrittore che riusciva ad essere personaggio tra i personaggi. Sia nel cinema che nella letteratura. E questo intreccio si è consolidato in amore – passione. Un amore – passione fatto di intrighi, di ricercatezza, di sogno, di linguaggio e di gesti.

      Con Soldati, infatti, la parola e l'immagine si ritrovano in una simbiosi straordinaria in cui l'espressione è già nella metafora della parola e la simbologia di un segno è nello sguardo che si fa vita. Si crea così un percorso che è puramente letterario ma che fa evincere quel tratto contradditorio che diventa una vera e propria specificazione nel circuito culturale dello scrittore del regista.

      Scrive Piero Cudini, in un testo di storia della letteratura, che "Soldati ha uno stile scarno, scattante, che rende assai bene il senso, anche, dei nuovi linguaggi novecenteschi: di quello cinematografico innanzitutto".

      In Soldati le contraddizioni non sono assolutamente elementi negativi. Sono quella caratteristica che contraddistingue la fantasia e l'onirismo dello scrittore. I suoi romanzi sono impregnati di ambiguità calata nei personaggi.

      I personaggi sono il tempo dell'esistere e partono quasi tutti da un impulso che porta al moralismo. Il suo confrontarsi costante con il mondo cattolico avvia un processo di chiarificazione tra destino e avventura stessa dei personaggi. Ovvero del

personaggio. Il quale non riesco a vivere o meglio ad esistere senza la sua "dimensionalità contradditoria".

      I riferimenti che si ascoltano in Soldati si possono leggere attraverso questi punti. 

A.   La letteratura che diventa recupero della centralità del personaggio.

B.   Il personaggio che si fa avventura e che trova in Soldati una duplice chiave di interpretazione: nella forma narrativa e nella esplicazione dell'immagine grazie al cinema. Ma già in letteratura il personaggio assumeva la sua

     centralità nella visione di una proiezione prospettica nell'immagine.

C.   Lo spazio del raccontare crea, nella proiezione delle immagini, un raccordare  

     nel tempo di due elementi: il ricordo e la memoria. Soldati racconta come se                  

     vivesse in presa diretta i fatti e in molte occasioni è come se li rivivesse ma 

     alla base c'è sempre il filtro del tempo.

D.   La specificazione dello spazio, anche in una realtà metafisica e metaforica, si 

     concorda con i luoghi. E ci sono i luoghi che restano nella fissazione dei            

     paesaggi e nella descrizione delle città che diventano, paesaggi e città, anche 

     modelli poetici.

      Ma qual è la sintesi fondamentale di queste coordinate? Ci sono due lucide osservazioni critiche che ci danno il metro letterario della posizione di Soldati nel quadro del Novecento.

      La prima è di Giorgio Bassani il quale nel 1966 scriveva: "… anche Soldati ricanta, a suo modo, l'aridità e l'impotenza di una civiltà che è tutta in crisi".

      La seconda è di Giuliano Manacorda del 1972: "Soldati è uno dei pochi in Italia per cui raccontare non significa solo pennellare lente situazioni interiori e per cui romanzo vuol dire svolgimento di una trama, senza per questo rinunciare a una perfetta caratterizzazione psicologica, ma, al contrario di questa facendo la ragione stessa dello sviluppo dell'intreccio".

      Le due città è un libro dalle luci che offrono controluci. Cioè è un libro dell'intesa e delle contrapposizioni. Si veda il contrasto amorevole tra Roma e Torino. Un contrasto che si raccoglie nel narrare e saper narrare, nel raffigurare e saper mostrare gli spazi interni ed esterni, quelli interiori dell'animo e quelli esterni delle città, dei paesaggi, dei luoghi.

      I suoi romanzi si incastonano in questo processo che, come si diceva, trova un suo svolgimento proprio nel rapporto tra vita e letteratura. Soldati ha raccontato la vita e raccontandola ha sottolineato la sua vita, il suo pensiero, il suo squisito romanticismo misto a un decadente realismo.

      In questo raccontarsi i luoghi e i paesaggi sono diventati delle voci fondamentali per una decodificazione dell'atto creativo stesso. Roma e Torino, per esempio, sono una pietra miliare nel vagabondare di una fantasia che si fa tensione lirica, riappropriazione di sentimenti, recupero di codici linguistici e stilistici proprio attraverso quel dialogo tra la parola e l'immagine.

      Proprio per questo resta uno scrittore complesso la cui opera va inquadrata non solo storicamente e criticamente ma va riconsiderata come modello di discussione e di analisi in una letteratura in cui il destino del personaggio ridisegna l'avventura del narrare.

      Ebbene, Soldati ha sempre narrato e lo scrittore non si è mai assentato e non si è mai concesso alcuna licenza sia quando ha fatto il regista sia quando ha raccontato le sue storie.

      Come quel diario dei giorni di guerra pubblicato nel 1947 dal titolo Fuga in Italia dove il racconto diaristico sembra dettato sull'onda di una confessione che riprende l'incantesimo dei ricordi. E' un libro di ricordi ma è anche un libro di forti immagini. E' anche un libro di passioni ideali. In queste passioni ci sono quei sentimenti che lo stesso Soldati definisce: "la dolcezza, la pietà, la malinconia del passato".

      "E' lo scrittore più autobiografico che esista". Ha scritto P. Monelli nel 1965. E poi: "Dicendo di uno scrittore che è tutto autobiografico, non s'intende che si debba prendere i fatti che racconta come oro colato. Ma i ragionamenti, le notazioni psicologiche, le introspezioni quelle sono vere, e genuine".

      Lo scrivere è religiosità. E Soldati questo lo aveva capito benissimo. Anzi ne aveva fatto un monito che usava nelle sue riflessioni e lo usava come testamento. "Uno scrittore, un'artista, non deve forse per la conquista dei propri fantasmi, sacrificare la vita tal e quale il sacerdote e rassegnarsi ad avere mani aride come le sue?".

      In Soldati c'è un costante rincorrere l'armonia del dubbio. Ma questo dubbio diventa inquietudine che serpeggia sotto forma di visione onirica, sotto le vesti dell'ambiguità dei personaggi, sotto le vesti di una educazione cattolica, sotto il segno di una impossibilità del conoscere.

      Lo scrittore resta sempre lì che aspetta. Aspetta le fantasie che si fanno vento. Aspetta i fantasmi che aleggiano, aspetta le visioni che penetrano i sentieri del tempo, dello spazio, dell'essere. Lo scrittore è il navigatore delle lontananze nel presente che è un gioco infinito tra la vita e i ricordi.

      Tra la vita e i ricordi c'è appunto la sua città. O le sue città? Ma direi la sua Torino. Quella Torino che aveva un misto, nel suo sangue, di Toscano. Lui di famiglia piemontese ma di nonno materno Toscano.

      Ha voluto sempre ricordare una Torino "con le sue virtù semplici e quasi risorgimentali, la sua cordialità schietta e immediata, l'attivismo talora un po' strabocchevole, la facilità dei contatti col popolo, in una parola con le sue virtù moderate" così ci dice Ugo Fragapane in un suo saggio. E questa città si intreccia in un modo di vivere che ha sempre contraddistinto uno scrittore dai toni armonici, dai segni precisi, dalla memoria lunga. Una memoria che è appartenenza. Era la fine degli anni Ottanta quando conobbi Mario Soldati.