Urfuturismo: una ipotesi di lavoro *di Sandro Giovannini

 U R F U T U R I S M O


Rappresentiamoci l’esempio dei cinesi che in due settimane costruiscono un albergo di 15 piani, dalle strutture alle rifiniture, dotato di tutti i confort e di ogni valida garanzia antisismica, con soddisfazione sostanziale di committenti e maestranze. Da noi sarebbe addirittura impossibile ipotizzarlo e non solo perché non possediamo alcuno dei parametri mentali di quella gente ma perché se divenissimo così efficienti saremmo persino più autodistruttivi di quanto siamo attualmente verso noi stessi, ovvero la nostra stessa convivenza sociale ed ambientale. Certi parametri si realizzano probabilmente solo per una coincidenza estrema e rarissima di fattori: una civiltà millenaria, un’autoeducazione alla comunità fattiva, un controllo sociale senza sostanziali interruzioni per millenni, un ottimismo di fondo dovuto alla consapevolezza disarmata ma non rassegnata ed esemplare della fungibilità assoluta e dell’irreducibile potenza positiva del negativo e dell’infinito spartirsi senza mutilarsi dell’Essere (Emo-Noica), una scarsissima propensione a prendere sul serio le follie del cuore e della mente singola, un attivismo da buon formicaio ove ciascuno ha un suo posto innegabile ma una sua validità immediatamente sostituibile. Quella normalità eminente che non si sa se augurarsi o deprecare, fino all’innegabile nostro attuale sfinimento totale di ogni passione o velleità. Ma quella normalità eminente non è nata a caso: millenni di educazione sociale con a lato del programma collettivo ed exoterico un programma interno di tipo sostanzialmente esoterico. Quando anche noi eravamo così (qualche migliaio di anni fa) eravamo in grado di compiere miracoli di tal fatta e forse persino superiori.



L’urfuturismo potrebbe essere di nuovo questa dimensione non scontata, problematica, di rimessa in gioco di ogni cattiverio e di ogni ipotesi individuale e sociale, che possa divenire storia, dopo il sostanziale dayafter che ci riserverà prima o poi il nostro semplice futuro. E qui, quando parliamo di futuro, non parliamo di un futuro futuribile ma proprio di un banalissimo avvenire riservatoci, di probabile degrado e di probabile marginalizzazione. Per reagire a questa deriva non si può che mettere in campo quel poco che ci residua e che ci è proprio, ovvero una antichità assoluta ed una modernità altrettanto assoluta. Ogni ipotesi altra è quasi sicuramente destinata a fallire per l’inadeguatezza alla deriva medesima. La necessità dell’urfuturismo è quindi vitale e non solo spirituale, ideale, generazionale, artistica. E dobbiamo figurarcela come estranea a tutti i parametri della usualità borghese accettabile attuale, ovvero quel qualcosa che sta tra l’eccellenza senza paragoni (ovunque si verifichi e dovunque si diriga) e la scorrettezza estrema del pensiero non assoggettato ad alcun limite, né di tipo umanistico né di tipo confessionale ed una vitalità ritrovata e luperca che non deve prendere esempio da nessuno perché nessuno è in grado di darci ciò che non ci appartiene già, almeno come ipotesi di lavoro. Ogni volta nella storia in cui ci siamo accompagnati ad altro od ad altri siamo sempre miseramente falliti, prima o poi, perché la nostra vocazione è trovare la nostra strada da soli, in attentissima ma perfetta autoreferenzialità, che è l’unico viatico, paradossalmente, anche per sopravvivere nel mondo globalizzato attuale.



L’ipotesi di lavoro è quindi comunitaria, ove esproprio subìto e giustificato, popolo come laos, partecipazione gerarchico-qualitativa e destino (perduto) ritrovato, siano in una feconda simbiosi aristocratica, ove cioè il concetto di aristocrazia sociale si trovi addosso una volontà di fare senza sconti, sostanzialmente rivoluzionaria.

SANDRO GIOVANNINI