Mandel’stam, poeta coraggioso che non si è venduto a Stalin
Osip Mandel'štam era un poeta russo, fatto fuori da Stalin come tanti altri poeti, negli anni del Grande Terrore (1938). Contemporaneo dei simbolisti - era nato nel 1891 - fuggì dal Simbolismo per approdare a una poesia chiara e intensa, al gusto di un'interpretazione integra e rinnovata del mondo, quel gusto che si chiamò acmeismo e che accomunò Mandel'štam ad Anna Achmatova e a Nikolaj Gumilëv. Appartenne alla «generazione che dissipò i suoi poeti», come ebbe a definirla il critico e linguista Roman Jakobson.
Oltre a quella poesia limpida e tersa, Mandel'štam scrisse anche prose straordinarie, frutto di un'osservazione acuta e partecipe delle pieghe della vita. Quattro di questi testi in prosa degli anni Venti del '900 sono ora pubblicati sotto il titolo Il rumore del tempo (Adelphi). Oltre al testo omonimo del 1923 vi compaiono Teodosia (1924), Il francobollo egiziano (1928), La quarta prosa (1930).
Il primo bellissimo testo è largamente autobiografico, rievoca San Pietroburgo a cavallo del secolo, i suoi rumori, i suoni e i concerti, i vestiti, le passeggiate e le biblioteche domestiche, gli istitutori francesi e i precettori ebrei, gli odori delle case «ariane» e il «caos giudaico» (sono definizioni dello stesso Mandel'štam). Se sono in grado di rievocare al vivo una realtà ormai perduta, tuttavia, queste prose di Mandel'štam sono altresì capaci di suggerire i fermenti del tempo, finanche di tracciarne le possibili genealogie intellettuali: l'apocalittica ebraica che, secolarizzandosi, si mescola col razionalismo illuminista, lo streben romantico che i giovani Russi coniugano col terrorismo populista, la sfrenata forza dionisiaca che pervade la folla che si accalca intorno ai grandi musicisti solisti, l'ascetica nichilista dei rappresentanti dell'intelligencija e l'angelismo degli studenti ingenuamente rivoluzionari... C
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