Iggy Pop immortale nella Firenze di Matteo Renzi

Iggy Pop è Dio. Oppure noi siamo solo degli umani. Iggy Pop, 65 anni, corpo di gomma. Inspiegabile ogni volta, è il diavolo che fa i patti con lui. Un signore compassato, dai tessuti che cedono, ma non importa. Lui è pronto a esplodere appena la sua parte Iggy lo trascina sul palco, anche a Firenze città d’arte e turisti che guardano in alto. Stanotte è Raw Power e pure le statue dal fisico perfetto si risvegliano. Ci sono anche io, che mi ammazzo di pesi per combattere la battaglia con gli anni che ti circondano. Già, sugli addominali ho scritto il mio romanzo Six Pack, un io-narrante che dal buio della sua gloriosa tabella pesi, scandisce la sua vita e l’ammirazione per Iggy Pop e le sue righe sull’addome.
Tengo la copia in mano, con la dedica. Potrei tirargliela, ma ci sono già i reggitette che decollano verso di lui. Non lo scalfiscono, una ragazza è pure salita sul palco nuda, ma lui continua a sputare l’inferno Search&Destroy;. Pubblico attonito che vuole ricordare, fotografie e filmati, estasiati che gridano No Fun, pure ragazzini deturpati da chissà quale musicaccia moderna, ma che stasera si stanno salvando. Tutti in ginocchio, di fronte a lui. Iggy Pop batte chiunque, lui ha i segreti psicofisici. Magari perché legge Nietzsche e quel depresso di Houellebeck e prima di salire sul palco, beve acqua distillata, così la pelle gli si tira di più. Trucchi da body-builder e strameritate vanità da star.C
Agli organizzatori ha fatto richieste che sembrano bizzarre sulla posizione dell’accappatoio nell’armadio dell’hotel. Ma ha ragione lui, lo sta dicendo a migliaia di persone, ogni secondo che sta su quel palco, una lezione di vita per tanti stronzetti con le chitarre che però si lamentano che il pubblico non li capisce. La guerra continua, Wanna be your dog, si percuote col microfono, striscia a 4 zampe verso un idillio demoniaco, ma tanto divertente.
Assieme ai suoi amici ex-nemici, da sempre: i fucking Stooges. Così li chiama lui, sbavando sul microfono. Un atto sudato, a torso nudo, una fissazione per lui. Colpa di un documentario sui faraoni che da bambino lo cattura per sempre. Fantastico un paese in cui c’è un imperatore che domina senza vestiti: nessuno dei politici contemporanei avrebbe questa spudoratezza, più facile rubare soldi. Esistono solo gli Stooges, che 40 anni fa spaccavano il Michigan, con un leader assoluto, l’Iguana e il suo dito medio, sbattuto in faccia al fatiscente sogno hippie.
Loro hanno sempre e solo creato incredulità, puntando al cuore e allo stomaco. Perché il rock’n’roll non è discorsi, intellettualismi egoriferiti e neanche fottutissima pace. Una storia americana, interrottasi in un attimo psicotropo tra morti e ricoveri, in quel midwest impestato di bifolchi redneck, ma linfa vitale di una nazione che produce idee, sogni e tanto napalm.
Iggy Pop è ancora vivo e pure gli Stooges che si sono riformati e che ci stanno regalando tutto il repertorio, gli dei ci inondano e ci fanno gridare. C’è sempre lui al centro, il faraone. Ogni suo atto, dedicato al barbaro dentro di noi, ormai evolutosi nell’intermediario ragionevole che c’è fra i nostri propositi e la realtà. Eccolo Dio, Iggy Pop è di fronte a me, mi guarda, è già successo nel 1988, la prima volta che l’ho visto. Si tuffa, ora, sopra il mare di teste. Rotola, sfugge, non riesco a toccarlo. Lo inseguo col mio libro, ma la security lo fa risalire sulla sua nuvola. Pronto al prossimo stage-diving. È stato lui il primo a farlo, quando ancora punk voleva dire straccione. Continua, gli fa male la schiena. Zoppica, ma non si ferma e cerca ancora di esagerare. ...C
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