*da Focus: Il Futurismo nella cucina e nella moda
C’è chi li considera anticipatori della nouvelle cuisine per l’attenzione che ebbero verso la presentazione artistica delle pietanze e per il coraggio sperimentale con cui osavano accostare i sapori dei cibi. Nella moda, invece, si cimentarono con invenzioni e trovate che rivoluzionarono il gusto borghese dei tempi.
Fu per esempio uno di loro a ideare la tuta da lavoro (la futura “tuta blu”) con tasche e cintura, nel 1919: il pittore, scultore e stilista Thayaht (pseudonimo del fiorentino Ernesto Michaelles) che aderì al futurismo nel 1918 dopo aver conosciuto Marinetti. Il prototipo della tuta risale probabilmente a un capo d’abbigliamento nato a fine ’700, ma Thayaht ne semplificò l’utilizzo e ne escogitò il nome: deriverebbe dalle lettere T, U e A che, combinate fra di loro, formavano l’indumento (oppure, secondo un’altra versione dello stesso Thayaht, da “tutta”, cioè “ottenuta tutta da un pezzo solo” o “che veste tutta la persona”).
Colorati
«La scelta di utilizzare colori aggressivi, tipica dei futuristi, ha avuto ripercussioni su tutta la moda successiva» aggiunge Grazioli. «Anche i tagli spigolosi che deformano geometricamente il corpo nelle collezioni di alcuni stilisti sono idee futuriste».
Giacomo Balla progettò un “abito futurista” e nel 1914 firmò un manifesto dal titolo Il vestito antineutrale, in cui dichiarava che gli abiti futuristi dovevano essere aggressivi, dinamici, semplici e comodi, igienici, gioiosi, illuminanti, volitivi, asimmetrici, di breve durata e variabili. Disegnò poi abiti, panciotti e cravatte da uomo e golfini, borsette e sciarpe da donna. Infine, inventò i “modificanti”: pezzi di stoffa ricamata e colorata che grazie a speciali bottoni si potevano applicare in qualsiasi parte del vestito, per rinnovare in modo continuo i propri abiti.
Azione!
Chissà se l’artista Graziano Cecchini indossava “modificanti” quando nell’ottobre del 2007 finì sulle prime pagine dei giornali per quella che definì “azione futurista”. Si era procurato un bidone di vernice rossa e mezzo milione di palline colorate: il primo lo svuotò nella fontana di Trevi, a Roma, le seconde, tre mesi dopo, le rovesciò dalla scalinata di Trinità dei Monti, lasciando che trasformassero piazza di Spagna in un tappeto di sfere multicolori. Dopo la performance Cecchini distribuì volantini con su scritto “Dal Rosso Trevi alla quadricromia, i fratelli d’Italia si son rotti le palle”. Niente di eversivo, avrebbe forse pensato Marinetti, ma, come nella migliore tradizione futurista, di sicuro impatto mediatico.
FOCUS
C’è chi li considera anticipatori della nouvelle cuisine per l’attenzione che ebbero verso la presentazione artistica delle pietanze e per il coraggio sperimentale con cui osavano accostare i sapori dei cibi. Nella moda, invece, si cimentarono con invenzioni e trovate che rivoluzionarono il gusto borghese dei tempi.
Fu per esempio uno di loro a ideare la tuta da lavoro (la futura “tuta blu”) con tasche e cintura, nel 1919: il pittore, scultore e stilista Thayaht (pseudonimo del fiorentino Ernesto Michaelles) che aderì al futurismo nel 1918 dopo aver conosciuto Marinetti. Il prototipo della tuta risale probabilmente a un capo d’abbigliamento nato a fine ’700, ma Thayaht ne semplificò l’utilizzo e ne escogitò il nome: deriverebbe dalle lettere T, U e A che, combinate fra di loro, formavano l’indumento (oppure, secondo un’altra versione dello stesso Thayaht, da “tutta”, cioè “ottenuta tutta da un pezzo solo” o “che veste tutta la persona”).
Colorati
«La scelta di utilizzare colori aggressivi, tipica dei futuristi, ha avuto ripercussioni su tutta la moda successiva» aggiunge Grazioli. «Anche i tagli spigolosi che deformano geometricamente il corpo nelle collezioni di alcuni stilisti sono idee futuriste».
Giacomo Balla progettò un “abito futurista” e nel 1914 firmò un manifesto dal titolo Il vestito antineutrale, in cui dichiarava che gli abiti futuristi dovevano essere aggressivi, dinamici, semplici e comodi, igienici, gioiosi, illuminanti, volitivi, asimmetrici, di breve durata e variabili. Disegnò poi abiti, panciotti e cravatte da uomo e golfini, borsette e sciarpe da donna. Infine, inventò i “modificanti”: pezzi di stoffa ricamata e colorata che grazie a speciali bottoni si potevano applicare in qualsiasi parte del vestito, per rinnovare in modo continuo i propri abiti.
Azione!
Chissà se l’artista Graziano Cecchini indossava “modificanti” quando nell’ottobre del 2007 finì sulle prime pagine dei giornali per quella che definì “azione futurista”. Si era procurato un bidone di vernice rossa e mezzo milione di palline colorate: il primo lo svuotò nella fontana di Trevi, a Roma, le seconde, tre mesi dopo, le rovesciò dalla scalinata di Trinità dei Monti, lasciando che trasformassero piazza di Spagna in un tappeto di sfere multicolori. Dopo la performance Cecchini distribuì volantini con su scritto “Dal Rosso Trevi alla quadricromia, i fratelli d’Italia si son rotti le palle”. Niente di eversivo, avrebbe forse pensato Marinetti, ma, come nella migliore tradizione futurista, di sicuro impatto mediatico.
FOCUS