ESTENSE COM by Alberto Cavicchi blog
Iniziando queste considerazioni su emigrazione e convivenza civile è bene premettere, a scanso di equivoci, che non ho ostilità preconcette e pregiudizi di sorta nei confronti dei migranti. Tuttavia ritengo che sia sbagliato il comportamento eccessivamente permissivo adottato da una parte minoritaria della società e della politica italiana. Le scelte dogmatiche e demagogiche di coloro che del buonismo e del relativismo hanno fatto bandiera dell’ospitalità senza regole sono da considerare, a tutt’oggi, fallimentari.
La convivenza civile impone l’accettazione e la condivisione dei valori, dei principi e delle norme che regolano i comportamenti interpersonali all’interno di un paese del quale si è ospiti. Questo principio elementare è stato disatteso dall’ipocrisia pelosetta di una frazione della società e della politica italiane. Queste, arrogandosi il merito dell’infallibilità teoretica e comportamentale, non hanno fatto altro che alimentare a dismisura l’avversione e l’ostracismo (non ancora la diffusa reazione violenta) dei residenti di lunga data nei confronti dei migranti comunitari (rumeni e moldavi, in particolare) ed extra comunitari (nord e centro africani e latino americani, in primo luogo).
Sottovalutare il problema della migrazione è, però, un errore imperdonabile che alimenta e alimenterà sempre più nell’immediato futuro il disagio e la separazione dei cittadini autoctoni dai migranti. Un conflitto finora borbottato ma che potrebbe a breve deflagrare in violenza inarrestabile, come già accaduto, per esempio, nelle banlieue parigine.
Da qualche decennio invito i cittadini e le istituzioni italiani (con scarso successo, a dire il vero) a prendere atto di quanto è accaduto nei paesi europei che per primi hanno dovuto confrontarsi con l’ingresso massiccio e indiscriminato dei nuovi migranti. Mi riferisco, per esempio, a quanto è accaduto nella vicina Francia. In passato ebbi occasione di parlare con alcuni prefetti transalpini i quali mi rivelarono, allarmati, i danni alla convivenza civile arrecati da due fattori apparentemente distanti tra loro ma, in effetti, complementari: la crescita massiccia della grande distribuzione organizzata (città mercato e ipermercati) ha avuto il merito di calmierare i prezzi ma, per converso, ha provocato la chiusura di decine di migliaia di negozi di vicinato e quindi ha stimolato l’abbandono dei paesini di provincia da parte dei giovani a più alte potenzialità a tutto vantaggio dei maggiori centri urbani (Parigi e Marsiglia, in primo luogo); i giovani ad alta professionalità sono poi stati sostituiti da migranti privi, in grande maggioranza, di adeguata istruzione e quindi destinati alla manovalanza e, in assenza di lavoro, alla microcriminalità che ha colpito prevalentemente gli anziani, taglieggiati da furti, scassi e rapine d’ogni genere.
I migranti più “emancipati” si sono invece trasferiti nelle metropoli dedicandosi, prevalentemente, a lavori di basso – medio profilo o, in molti casi, allo spaccio di stupefacenti e all’induzione alla prostituzione.
Quel che è successo negli altri paesi europei (ma anche negli Usa e in Canada non mancano flussi migratori altrettanto pesanti e complessi da gestire) sta accadendo ormai da qualche anno anche in Italia (basti esaminare, anche superficialmente, la situazione delle nostre città metropolitane: da Milano a Roma, da Torino a Bologna, da Napoli a Bari per rendersi conto della violenza che insanguina, in modo inatteso e drammatico, tanto le periferie quanto i quartieri considerati fino a ieri residenziali. Ma gli omicidi, i ferimenti, le rapine, i furti, lo spaccio di stupefacenti e la prostituzione d’ogni genere (compresa quella omosessuale e adolescenziale) sono solo le componenti di un dramma più complesso. E’ in gioco la tenuta sociale, la convivenza civile, la sicurezza delle persone (ragazzi e donne, in primo luogo) e dei beni (la svalutazione crescente degli immobili allocati nelle nuove periferie della devianza) e, infine, i riferimenti identitari delle singole comunità.
Ferrara, in questo panorama desolante, non è un’isola felice; è anch’essa luogo della crescente marginalità che si esprime col linguaggio della separazione e della discriminazione; luogo nel quale, a fianco delle rapine, delle aggressioni e dei furti – privi di denuncia e, ancor più, di arresti – nelle case isolate dell’immediata periferia o della campagna si abbinano le sguaiate e luride attività dello spaccio, senza orario, di droghe che, sempre più, hanno come referenti i giovani e giovanissimi che, in molti casi, hanno perso il senso della vita e della prostituzione, ormai senza più freni inibitori, capace di coinvolgere ragazze straniere, minorenni, viados e quant’altro questo delirio della disumanità riversi per le strade del centro e della periferia.
Di fronte a questo girone dantesco, nel quale siamo tutti – chi più chi meno – riversi, non c’è scusante che tenga: le responsabilità sono da addebitare ai demagoghi del relativismo (ognuno faccia quello che vuole, dicono), ai genitori deresponsabilizzati che hanno dimenticato la loro funzione educativa (guardate che un figlio lo è per la vita!!!); agli insegnanti, digiuni di cultura e inabili alla didattica, che non si pongono il quesito di quale sia il loro ruolo di guida e di esempio; alle istituzioni politiche e pubbliche che hanno rinunciato alla loro missione di definitori delle regole e delle norme, sfuggendo – di conseguenza – il ruolo primario della loro funzione: educare, prevenire e punire.