Gramsci, il Futurismo, il web, i limiti della politica e dell’Accademia. Riflessioni intorno alla lettura di Roby Guerra
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Lo scorso giugno, infatti, in Sardegna una serata promossa dalla Biblioteca Gramsciana Onlus in collaborazione con l’Associazione Fitzcarraldo e la Nur nella Sala Convegni del Municipio di Ales (città natale del filosofo) ha ospitato un appuntamento suggestivo: “Gramsci, Futurismo, Neo-Futurismo e Graziano Cecchini RossoTrevi” e una videoconferenza-presentazione “Futurismo per una nuova umanità” di Roby Guerra. Lo stesso, sempre nel 2013 ha pubblicato un pregevole libretto “Gramsci e il 2000. Per una sinistra italiana nell’era di Internet”.
Sassi futuristi gettati nello stagno dell’Accademia nostrana che non sono rimasti semplici episodi: il 1 febbraio 2014, a Salerno, il giovane critico d’Arte Marcello Francolini è intervenuto al convegno “La traccia incancellabile. Riflessioni su Antonio Gramsci” con la relazione “Un Gramsci di Marinettiana memoria”.
Il riferimento a Marinetti era d’obbligo, poiché nel Manifesto del Futurismo, elaborato da Filippo Tommaso (Parigi, 9 febbraio del 1909), tra le altre cose, erano contenute queste finalità artistiche: «Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla rivoluzione nelle capitali moderne; canteremo il vibrante “fervore notturno degli arsenali e dei cantieri».
Questo programma, innovatore e sensibile alla realtà industriale e operaia che andava emergendo nella società, fece nascere, tra i marxisti italiani (e non solo), la convinzione che si avesse a che fare con un’arte rivoluzionaria, assolutamente “marxista” come scrisse Gramsci. Perfino Giuseppe Prezzolini, nell’articolo «Fascismo e Futurismo» pubblicato ne «Il Secolo» il 3 aprile 1923, affermò: «La fabbrica è stata la sorgente delle idee politiche bolsceviche; ed è stata la inspiratrice dell’arte futurista». Tale realtà industriale e operaia non trovava alcuna eco nei movimenti artistici tradizionali, in cui prevalevano con tenuti sentimentalisti, intimistici, individualistici, arcadici. La città, con le sue esigenze e con i suoi problemi, era ignorata: i letterari erano impegnati a scrivere soltanto «sonetti e canzoni arcadiche» come disse Gramsci. Queste lacune furono, con vistosità e clamore, colmate dei futuristi.
Ciò quanto accadeva quasi cento anni fa. Ed oggi? L’incipit da cui parte Roby Guerra è esattamente questo: “Gramsci nel 2000?”. Una domanda che assume le fattezze di «una grande scommessa possibile per una rinascita […] in Italia di una nuova sinistra realmente democratica, anti ideologica e futuribile, soprattutto presentista creativa». E di creatività, infatti, si parla nel volumetto di Guerra pubblicato dalle Edizioni La Carmelina.
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