lunedì 23 marzo 2009

IL RASOIO DI OCCAM

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  • Cos'è il ''Rasoio di Occam''?
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    ...il "Rasoio di Occam" - dal nome del francescano che lo formulò, tale William of Occam - è il principio secondo il quale la spiegazione più semplice di un problema è, con tutta probabilità, quella che corrisponde più da vicino alla realtà dei fatti, e viene normalmente invocato nelle argomentazioni più complesse, dove spesso si rischia di perdere di vista l'oggetto stesso della discussione, ad esempio tale principio viene adoperato in filosofia e nelle scienze.

    Tale principio, alla base del pensiero scientifico moderno, nella sua forma più semplice suggerisce l'inutilità di formulare più assunzioni di quelle strettamente necessarie per spiegare un dato fenomeno: il rasoio di Ockham impone di scegliere, tra le molteplici cause, quella che spiega in modo più semplice l'evento.

    La formula, utilizzata spesso in ambito investigativo e - nel moderno gergo tecnico - di problem solving, recita:

    « Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem. »

    « Non moltiplicare gli elementi più del necessario. »

    oppure

    « Pluralitas non est ponenda sine necessitate. »

    « Non considerare la pluralità se non è necessario. »

    oppure ancora

    « Frustra fit per plura quod fieri potest per pauciora. »

    « È inutile fare con più ciò che si può fare con meno.


    Riepilogando il buon frate riteneva che: "A parità di fattori la spiegazione più semplice tende ad essere quella esatta".

     

htpp://ilbohemien.blogspot.com/

http://www.youtube.com/watch?v=g_SO86-cHHc  filmato

VALENTINE de SAINT-POINT di Pierluigi Casalino

VALENTINE DE SAINTPOINT.jpg LA SUPERDONNA FUTURISTA

Valentine de Saint-Point (1875-1953) fu personaggio originalissimo. Provocatrice, avanguardista e femminista, ma anche il suo contrario, Valentine sfuggiva a ogni definizione, in costante confronto con esperienze diverse e burrascose, che finivano per lasciarla insoddisfatta. Nipote del poeta Lamartine, Valentine si sforzava di apparire un angelo decaduto. Bella e seducente, passò da un matrimonio precoce e traumatizzante con uno squilibrato ad altra unione, non meno desolante, con una persona giudicata troppo normale: l’insignificante uomo politico Charles Dumont. Dietro l’immagine aggressiva da virago trasgressiva e insaziabile, tuttavia, si celava una grande bontà d’animo. Non interessata al successo, avida di sensazioni forti e dissacranti, Valentine godeva nel concedersi o nel negarsi, incendiando gli animi, posando anche come modella, per un pittore, probabilmente suo amante. Maliarda, amante della vita audace e dissipata, in cerca di sentimenti tenebrosi e perversi, appassionata di aviazione e di scherma, non amava gli uomini e non era amata dalle donne. L’incontro con Marinetti, il fondatore del Futurismo, nel 1909, cambiò la sua vita. Divenne amante e allieva del vate modernista, convertendosi lei stessa alla religione del movimento e dello slancio vitalistico. La relazione tra i due fu travolgente e comunque difficile e tormentata. Inneggiando al Futurismo, Valentine lanciò nel 1912 il Manifesto della donna futurista e l’anno dopo l’ancor più scandaloso manifesto della lussuria. Ebbra di sensualità e di idee forti, carnali, odiava la massa e prediligeva le élites. La spregiudicata ondata futurista avrebbe, secondo Valentine, aperto la via dell’emancipazione femminile. E l’erotismo ne sarebbe stata la condizione essenziale di evoluzione. In questo quadro, la donna avrebbe ritrovato la propria natura istintiva e dominatrice. Il contrasto con la misoginia di Martinetti, tuttavia, esplose con tutta la sua evidenza, quando Valentine con un clamoroso voltafaccia si unì alle manifestazioni delle “suffraggette” inglesi. Convinta, al pari di Nietzsche, che il mondo non si divida tra uomini e donne, ma tra forti e deboli, si allontanò dal Futurismo, senza però rinnegarne il carattere e l’impostazione rivoluzionaria. Creò, poi, un nuovo tipo di danza, la Métachorie, ispirandola a concetti astratti, decisamente moderni. L’influenza futurista non venne meno anche in quel caso, riconducendone l’esperienza a un’autentica pantomima, simbolo e richiamo della musica. Nel solco del Futurismo, Valentine sognava il sincretismo delle arti e dell’intelligenza. Ritiratasi in Corsica, lavorò al progetto di un centro internazionale di cultura, segnato dalla sua stessa eccentricità e del suo stile di vita. Si trasferì in Egitto, dove abbracciò l’Islam. Entrò a far parte del circolo esoterico di Guénon, assumendo un nome della tradizione musulmana: Nour el Dine.  Nome che conserverà fino alla morte, avvenuta nell’oblio generale e nella solitudine.

Casalino Pierluigi, 13.03.2009. 

 http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=122768&PRINT=S    

 http://www.youtube.com/watch?v=6tJivyeVL2o Filmato

UN CONVEGNO PER ITALO BALBO ANTIFASCISTA!

ITALO BALBO.jpgL'AEROPOETA ITALO BALBO (Nuovo Corriere Padano, Ferrara, 1996)

from LA CASTA FERRARA E-BOOK FUTURIST EDITIONS

 

100 anni fa nasceva a Ferrara Italo Balbo, giustiziato dai precursori di Ustica nell'azzurro cielo di Tobruck, negli anni della rivoluzione fascista. E anche a Ferrara, nell'odierna democrazia della quercia, dell'ulivo e dei cespugli, celebrata con i soliti stuzzichini di Abbado, ancora offerti ai sudditi dal politburo ora rosso verde, dopo la fine politica dei grandi promoters Soffritti, Siconolfi, Cristofori, è necessaria la ri-scoperta della "polibibita" Italo Balbo (al di là del talento mondiale di Abbado o dell'intelligenza del Duca o del valore pubblicitario dei Grandi Eventi). E di tanto in tanto la questione Italo Balbo ritorna in primo piano a Ferrara, un tempo soprannominata la Nera, poi, dalla Resistenza, clonata in Rossa.  Ma, incredibilmente, chiedere di dedicare soltanto una via al trasvolatore atlantico (ricordiamo le battaglie di Carlo Ferretti) suscita reazioni sempre eccessive, a Chicago ad esempio esiste da molti decenni una Balbo Avenue, vale a dire in Usa, patria della democrazia occidentale più avanzata. Che dire? Per ragioni storiche a Ferrara, molti sono naturalmente convinti che gli Stati Uniti sia una nazione solo imperialista, inoltre l'ostracismo a Balbo significa non fare mai i conti con il comunismo, nonostante sguardi diversi suggeriti da storici non banalmente revisionisti ma critici, eretici ed attualissimi come - dopo De Felice - i vari Nolte o lo stesso Giordano Bruno Guerri, sicuramente antipatici non solo alle roccaforti postcomuniste ma anche in ambito universitario. In realtà Italo Balbo è stato probabilmente, nel bene e nel male, il più grande uomo anche politico di Ferrara nel XX secolo: solo l'ex duca rosso Roberto Soffritti sarà ricordato con lui dagli storici futuri e sicuramente nessuno si opporrà ad una via dedicata in avvenire a quest'ultimo. Soprattutto, tranne a Ferrara, la storia ricorda già Italo Balbo tra i primi grandi trasvolatori atlantici: per intenderci quasi come i primi uomini sulla Luna (l’Apollo 11!). Infine, alla luce anche di avvenimenti recenti (vedi l'atteggiamento antiamericano di tutta la sinistra postcomunista italiana), persino il Balbo fascista e ferrarese domandano oggi revisionismi rivoluzionari: il fascismo ha certamente impedito negli anni del ventennio all'Italia di diventare uno stato satellite dell'Unione sovietica di Stalin, la buona volontà dei comunisti italiani non avrebbe retto allo strapotere dell'ideologia totalitaria di Madre Russia! Riassumendo: Fascista di sinistra, pioniere eroe futuristico dell'aeroplano e dell'aviazione mondiale, marinettiano e dannunziano, oppositore alle famigerate leggi razziali e alla suicidale alleanza con Hitler, uomo moderno, Italo Balbo è un antidoto alla normalizzazione reazionaria, arrogante e passatista che attanaglia, neopiovra rossoverde, l'Italia del 2000, da Roma a Ferrara. E anche a Ferrara, gli intellettuali sono quasi tutti filogovernativi, qua - come noto - è stato anticipato da decenni il compromesso storico. Italo Balbo è una provocazione, ma compito di artisti e intellettuali è sempre di essere controcorrente, soltanto schiavi e pazzi credono nel duemila nella politica e grande politica nell'era cibernetica significa soprattutto liberare i figli del computer dall'inquisizione politica stessa. Italo Balbo era un fascista scomodo e libertario, così distante dal mondo museale-vegetale delle querce e degli ulivi o dalle margherite da morire persino in volo, in cielo, forse ucciso dagli stessi fascisti devoluti a bigotti reazionari, come Majakowskij con Stalin o Aldo Moro con la prima repubblica. Italo Balbo va ri-clonato, non celebrato con liturgie anoressiche o necrofile, il suo spirito moderno, coraggioso, dinamico e aeropoetico (scrisse all'epoca autentici bestsellers!) invita le generazioni nuove a rinnegare il servilismo ferrarese, certa lentezza "antropologica" di un popolo padano ferrarese mai ferrarista! Balbo suggerisce ancora la liberazione di Ferrara città d'arte da certa depressione quasi genetica (il primato dei suicidi, un’economia a pezzi); a salvare il turismo e il parco del Delta (e la cultura) dai recenti e dai nuovi business catto-comunisti, oppure a concretizzare con efficacia tale scommessa, a stimolare infine con convinzione molti giovani e talentuosi artisti (il loro numero è insospettato) prima di volare altrove. Il misconosciuto eroe atlantico ferrarese, dopo le cadute del Muro di Berlino, dell'Unione Sovietica e di Saddam, esige - ora più che mai - a dire No a Soffritti, Siconolfi, Cristofori e ai loro eredi, alla stampa estense sempre intrisa d'acqua inchiostro santa, dimentica dei moniti di Karl Kraus o Oscar Wilde o Orson Welles; a smascherare l'umanesimo comunquista ortodosso o gaio dei paleocompagni al potere. Resistenza ciberpolitica a Ferrara, anche in nome di Italo Balbo, pioniere del cielo, padre fondatore delle fantastiche Frecce Tricolori!

ROBERTO GUERRA

 

http://futurismo2009.myblog.it

http://www.youtube.com/watch?v=lO22_HsEh7k  FILMATO

 

GIORGIO CATTANI A ROMA

GIORGIO CATTANI.jpgGiorgio Cattani a Roma tra i maestri degli anni ‘80 

from Estense Com Ferrara

Roma, città che per eccellenza suscita incroci culturali, di costume e mondani, negli anni ‘50 si è identificata nel leggendario Caffé Greco, luogo che ha accolto figure legate all’arte come Guttuso e soprattutto De Chirico. Negli anni ‘60 e ’70 lo scettro passa all’altro caffé dirimpettaio in Piazza del Popolo, cioè Rosati, dove la nascente Pop romana, impersonata da Schifano, Tano Festa e Franco Angeli, brindava al tavolo con Marina Lante della Rovere e la sempre presente Marta Marzotto. Gli anni ‘80 e ‘90, poi, vedono questi ambienti raccogliersi al Caffé della Pace attorno ad un personaggio colto, amante dell’arte e anfitrione di lunghe notti di nome Bartolo Cuomo. Ecco che fra i suoi tavoli si incrociano gli artefici dell’anima culturale di quegli anni: appaiono sulla scena dell’arte Achille Bonito Oliva, i membri della Transavanguardia Enzo Cucchi e Sandro Chia, la figura enigmatica di Gino de Dominicis, e anche l’artista che arriva da Ferrara Giorgio Cattani risulta protagonista di quella nuova onda culturale che non è più legata alle stanze chiuse delle biblioteche e dei musei, ma si propone in nuove gallerie che aprono all’arte e alla musica.

Cattani è così presente ai tavoli con Yoko Ono, Mario Monicelli, Alessandro Haber, rappresentando nella modernità un estense esportato a Roma che nella sua opera rimescola la sensibilità dei silenzi della sua città come prima di lui fecero Bassani e Antonioni.

Per rendere omaggio alla memoria dello straordinario Bartolo Cuomo, a distanza di cinque anni dalla sua scomparsa, Achille Bonito Oliva ha curato al Chiostro del Bramante di Roma – "A Bartolo", da oggi fino al 14 aprile – una collettiva di trenta artisti che hanno frequentato quel Caffè, in cui il ferrarese Giorgio Cattani è presente a fianco dei maggiori maestri dell’arte italiana, da Luigi Ontani a Jannis Kounellis, da Fabio Mauri a Vettor Pisani, da Carla Accardi a Claudio Abate, in un’ideale ritorno a quei momenti di eccezionale effervescenza culturale.

http://www.estense.com/?module=displaystory&story_id=48896&format=html

http://www.youtube.com/watch?v=7ngz9mJRYt4  FILMATO

RICCARDO CAMPA ETICA SCIENZA E RIVOLUZIONE

MATRIX.jpgEtica della scienza pura: Riccardo Campa

La Voce di Mantova - 10 ottobre 2007, p. 19

Paolo Bertelli

 

Etica della scienza pura (Sestante Edizioni, 2007) si preannuncia, sin dal titolo, come un libro ambizioso. La sua mole, circa seicento pagine, non fa che rafforzare questa prima impressione. Il testo riesce comunque a non tradire le aspettative. Ripercorre tutta la storia del pensiero scientifico e filosofico occidentale, nel tentativo di scoprire i presupposti etici della conoscenza oggettiva. E centra senz’altro l’obiettivo.

A porre la firma su quest’opera è Riccardo Campa, intellettuale ben noto al pubblico mantovano, anche perché può dire - con Virgilio - "Mantua me genuit". Ha lasciato la sua città una decina di anni orsono, per occupare la cattedra di sociologia della scienza all’Università di Cracovia. Ma ha ottenuto notorietà anche al di fuori della sua città natale per avere fondato il movimento transumanista, balzato subito all’onore delle cronache per le spregiudicate posizioni in materia di biotecnologie. Non c’è giornale nazionale che non abbia dedicato qualche articolo alle sue idee.

Questo libro, più che sulla bioetica e le nuove tecnologie, si concentra sulla scienza pura, ossia sul valore della conoscenza aldilà delle possibili applicazioni. È tuttavia evidente che esso non può non avere un impatto sul dibattito bioetico. In fondo, quello che l’autore ci sta dicendo è che la verità scientifica è un valore in sé. E questo non dovrebbe essere mai dimenticato, quando si prende in considerazione la possibilità di porre un limite alla ricerca scientifica, o addirittura di metterla al bando.
Ecco allora cos’è in breve Etica della scienza pura: un’appassionata difesa della libertà di ricerca scientifica, fondata sulla riscoperta dei caratteri più tipici della tradizione occidentale. In altre parole, l’esatto contrario di ciò che si indica in genere con l’espressione "etica della scienza". Ma Campa è piuttosto convincente quando scrive: «chi parte dal presupposto che la scienza è contro il bene dell’uomo e che l’etica deve perciò essere contro la scienza, dovrebbe a nostro avviso denominare diversamente la propria prospettiva disciplinare. Suggeriamo tre denominazioni: etica dell’antiscienza; antietica della scienza; etica dell’ignoranza scientifica». Come a dire: il dibattito è viziato da un clamoroso equivoco.
L’ethos della scienza è costituito da norme già codificate dal sociologo Robert K. Merton negli anni Trenta. Campa ricostruisce la storia di queste norme e, nel contempo, rielabora il codice alla luce delle sue scoperte storiografiche, aggiungendo norme e princìpi prima ignorati.
È piuttosto evidente che le argomentazioni razionali e le ricostruzioni storiche del filosofo mantovano non nascono per rimanere confinate nel dibattito accademico. Per quanto l’argomento sia difficile, l’autore si industria per scrivere in modo chiaro e comprensibile. La lunghezza del testo è dovuta anche al fatto che Campa cerca di non dare nulla per scontato. Entra nei dettagli, definisce, spiega, fornisce indicazioni bibliografiche. L’autore ritiene che questa conoscenza possa avere un impatto positivo sulla società e sulla vita delle persone.

Campa si confronta con un numero sconfinato di opere ed autori, rischiando di scoprire il fianco alle critiche degli specialisti di ogni singolo autore. Ma un argomento del genere non poteva essere affrontato in modo diverso. Per dare un’idea plausibile dello sviluppo dell’etica della scienza, questo rischio doveva essere corso. Tra gli autori trattati, spiccano le 34 pagine dedicate a Nietzsche, addirittura più delle 26 consacrate a Robert K. Merton, che pure ha ispirato l’opera. La spregiudicata interpretazione, in senso scientista, della filosofia nietzscheana farà probabilmente storcere il naso agli epigoni del pensiero debole, ma appare molto ben documentata. In fondo, è Nietzsche che ne La gaia scienza scrive: «Viva la fisica! E ancora di più quello che ci spinge verso di lei, - la nostra rettitudine!», perché noi dobbiamo conoscere la fisica se «vogliamo divenire ciò che siamo; - nuovi, unici, incomparabili, legislatori di noi stessi, creatori di noi stessi!». Questa, ridotta all’osso, è anche la filosofia di Riccardo Campa e del movimento che guida: i transumanisti.

Da: La Voce di Mantova - 10 ottobre 2007, p. 19

 www.transumanisti.it  rassegna stampa

http://www.youtube.com/watch?v=1CwUuU6C4pk&hl=it filmato