mercoledì 31 dicembre 2008

FASSINO IN AUTOGRILL?

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Donigaglia ha cominciato a vuotare il sacco (ci aveva già provato tempo fa.... ma curiosamente perse nell'etere le sue parole, nell'epoca delle cimici telefoniche; evidentemente dalle parti dell'ex glorioso Liceo Ariosto "storico", in tempi di cancelleria senza risorse con poche gomme e matite... non sono in uso neppure gli auricolari di un banale telefonino!). L'ex patron della Coop Costruttori, scandalo ferrarese e fantapolitico alla Bulgakov...) e della mitica Spal di Ferrara, giustamente rifiuta ora il facile copione del capro espiatorio con cui certi parrucconi dai capelli futuramente rossi intendono azzerare e archiviare la questione.

A parte il fatto che sarebbe stato opportuno da parte di tutta la nomenclatura dell'attuale PD a Ferrara e non solo, un bella autoriduzione degli stipendi come  fondo sociale per risarcire i compagni danneggiati dalla fine dell'ex Colosso d'Argenta (ma Tagliani e Franceschini farebbero ancora in tempo...): Donigaglia ha chiaramente chiamato in causa il buon Fassino, sulla stampa ferrarese e anche nazionale persino.

Che i Pacs tra i comunisti e la Coop Costruttori non fosse solo fantapolitica... non fu né è un romanzo di fantascienza scritto da Alberto Balboni o i residui Mccartysti ferraresi, anticomunisti fuori moda....  Che Donigaglia (e altri vertici della Coop Costruttori) non sia certamente l'unico responsabile lo sanno tutti i ferraresi , tranne appunto chi di dovere o la stampa stessa cittadina, come sempre  molto silente e omertosa, tranne alcune frecce di Stefano Lolli e pochi altri, frecce comunque sempre alla zucchero filato (ma è certamente arduo a Ferrara dribblare condizionamenti psicologici particolarmente anomali...).

Comunque, insomma, pare che in un contesto cruciale dello scandalo, Donigaglia abbia incontrato proprio l'uomo struzzo postcomunista, magari in uno degli autogrill alla periferia della città, sullo sfondo dell'attuale Turbogas e del grande Drago della Montecatini-Enichem, magari di notte, quando, agli occhi dei turisti...., sembra Capo Kennedy o Veltroni... : ovvio, già smentite non stop, ma dal punto di vista dei detective robot di un Asimov, invece l'ipotesi  appare molto realistica.... Quel che non quadra è proprio Fassino: fin d'ora - per la sua (davvero senza ironia) storia personale e soprattutto stile (non certo tra i peggiori della residua sinistra italiana), il ruolo di Fassino, all'autogrilll con Donigaglia va sicuramente interpretato. Da scommetterci sulla lealtà e l'onestà di Fassino: semmai, già in altre situazioni chiamato in causa, probabilmente proprio perché ancora sano, in certo modo, per zelo arcaico di Partito, ingenuamente (e certa sua ingenuità è anche affettuosamente evidente) certi marpioni in certo modo lo delegano per nodi insididiosi, da lui sottovalutati.

Anche perchè l'arcano... (ma non l'essenza delle dichiarazioni di Donigaglia) pare svelato da una voce che gira ormai da giorni in Piazza: dal 2009 la sede del PD ferrarese si trasferirà proprio nel sedicente Autogrill!

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=315461

martedì 30 dicembre 2008

IL GALILEO DI PAPA RATZINGER

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Uno degli eventi più rivoluzionari dell'anno 2008 è stato, alla vigilia del bicentenario di Darwin (12 9 2008), durante i saluti di Natale, una straordinaria rapida analisi e dichiarazione, senza tanti fronzoli teologici o pseudodialettici, del cosiddetto reazionario Papa Benedetto XVI- Ratzinger su Galileo Galilei.

I media (pure loro addobbati come gli alberi di Natale) hanno poco evidenziato l'importanza storica di simili dichiarazioni dell'attuale raffinatissmo e coltissimo Pontefice, invece al centro di assurde polemiche sempre nel 2008 per il noto tardo Gulag accademico dei Baroni della Sapienza... All'epoca, proprio su Galileo, travisando la citazione da parte del Papa di un certo Feyarabend (alla Sapienza evidentemente poco amato da certi pseudoprogressisti), i Baroni rossi (mi scusi ... Snoopy!), inscenarono una campagna degna dei Soviet, di fatto impedendo l'annunciata visita di Papa Ratzinger (invitato!): curioso, significativo e rivelatore SPECCHIO (molto lacaniano) di certa intellighenzia paleosinistrata... ancora dominante in Italia, ignorante a livello epistemologico, teologico..

Ora, Benedetto XVI, riprendendo quel che a suo tempo già accennò, travisato in malafede - come- detto dai seguaci residui del Pensiero Unico, ha lanciato esplicitamente i nuovi orizzonti desiderabili dell'incontro Fede Scienza, laicità autentica e trascendenza, libera ricerca scientifica e archetipo religioso, cristiano e cattolico in particolare: un autentico elogio di Galileo e della scienza moderna come umanesimo, nientaffatto in inevitabile conflitto con le verità eterne del sublime Divino.  Orizzonti al passo con l'epistemologia e la teologia più all'avanguardia: da Pierre Tehilard De Chardin , a Paul Davies, a Jean Guitton, allo stesso Antonino Zichichi e molti altri geni della Fisica e della scienza contemporanea stessa. La ricerca della scienza è una via per contemplare ancor di più il Miracolo di Dio e dell'Universo e della Natura!

Bendedetto XVI,  a suo tempo, amico di un certo Hans Kung; altro che reazionario, miseria della vecchia sinistra (persino vulgata marxista) incapace di captare la Meraviglia della Vita e delle Stelle!

Non parlava già Newton di Meccanica Celeste? E - leitmotiv dei matematici "Dio in persona inventò i Numeri!".

http://www.swif.uniba.it/lei/rassegna//davies.htm

lunedì 29 dicembre 2008

PINOCCHIO E I PUNTI DELLA PATENTE

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Da buon ferrarese oggi mi sono fatto la lampada.
Dopo una breve doccia mi sono spalmato di crema dopo-Barba che funziona anche da dopo-Sbronza, dipende da come la si consuma: la dritta del doppio uso mi è stata offerta da una commessa di una nota profumeria del centro, la quale, con gli occhi sgranati, elargisce preziosi consigli ante et post coito.
Consapevole di questo mi sono recato all’aperitivo. Titubante sono andato da Massimo.
Non so se tutti i ferraresi conoscono Massimo, è quel bar di fianco a Mc Donald’s, sotto quella cosa alta e bucata, dove quando piove si fanno laghi di pioggia e tristezza. Non mi viene la parola ma credo che si chiami voltone o cupola, o soffitta di circostanza.
Da Massimo si beve con poco, ma bene.
Vorrei guadagnare qualche soldo con questa pubblicità, ma non sarà così.

L’Aperitivo da Massimo si è svolto nella Seguente Maniera.

Come il miglior Pantani di fronte ai tornanti del Passo Sella, io ho dovuto SCHIVARE ALMENO:
1- un CREDITORE che mi aveva offerto una birra nel 1996 e che ancora devo ripagare;
2- la sorella del mio Ex-Migliore Amico di Convenienza (dal 1999 al 2001);
3- una INGORDA che ho trombato per ben 5 volte e l’ho fatto solo perché ero depresso e mi aveva appena lasciato la mia Ex;
4- ho schivato la mia Ex, che mi guarda come uno sfigato: ha da poco conosciuto l’ INGORDA di cui sopra;
5- tutti i colleghi ai quali ho detto delle palle quand’ero ammalato ma che invece ero in discoteca con il mojito in mano mentre loro si attaccavano alla cannuccia del coca-rum.

Insomma, solo sono un Operaio, non accusatemi.

Un universitario pugliese mi ha detto che “l’omologazione è il mio essere e che il perbenismo è il mio scopo”. Ho bevuto un altro bianco poi ho ripetuto le stesse parole alla signora del banco per chiedere spiegazioni. Con voce rauca, mi ha mandato a fare una pisciata e mi ha detto che forse trombo poco. Sarà.
Così ho fatto. Ho tirato fuori il pisello, mi sono allontanato fino ai giardini lì di fianco e ho fatto pipì. Anche i cocker mi guardavano male.
Avevo freddo, quindi ho deciso di tornare a casa.
Davanti a Settimo ho incontrato un uomo vuoto, cioè una persona distinta che mi ha offerto cose che si possono assorbire dal naso. Ho rifiutato poiché la vita mia consiste nel lavorare, ma lui non lavora mai, io sì, quindi sono andato a letto. L’avessi saputo, oggi mi sarei ritrovato con tutti i punti sulla patente che ho perso perché una sera ho accompagnato a casa mia mamma dopo cena e i carabinieri, credo, ci hanno fermato. Vi lascio pensare a come è finita…
Ora vado a letto.
Ripenso alla mia giornata e cerco di fare battute su me stesso e sugli altri. Penso a mia mamma, alla patente, al freddo che avevo alla schiena e a tutte quelle cose che faccio ogni giorno per non pensare al lavoro. Faccio pipì questa volta nel water, e lo spazzolone che mi hanno appena regalato è un cocker di ceramica. Il poster sopra al mio letto è una foto di mio padre, un carabiniere.
Spero di non avere perso punti.
 
DAVID PALADA

28 dicembre 2008
david.palada@libero.it

http://trastasi.ilcannocchiale.it/?TAG=Visco

http://ferrara.blogolandia.it/2008/02/15/vigili-ferrara/

domenica 28 dicembre 2008

RACCONTO DI GIOVANNI TUZET

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LE GIOIOSE BOMBARDE DI GIOVANNI TUZET  

 

A.

Non mi sono mai divertito a capodanno. I motivi li ricordo esattamente: una volta non stavo bene, un'altra sono rimasto a piedi, un'altra era scappato il gatto e l'ho dovuto cercare fra i cespugli in mezzo ai botti che mi scoppiavano sulla testa, un'altra ancora avevo litigato con la fidanzata. Poi una ero triste, una ero completamente stordito, un'altra si era spaccata la caldaia e si gelava. Ieri sera? Non è successo niente. Di praticare l'amore non se ne parla: credo che in fondo porti sfortuna, per cui da molti anni in questa notte gioiosa me ne astengo. Anche stamattina, che mi era venuto malditesta – uno di quelli da mettersi a letto e non fare altro.

Invece sono andato al cimitero. C'era un'aria bella – credetemi – tanto umida, tutta in grigio, spessa ma pungente sulle orecchie, con i cipressi rigonfi, i mazzi di fiori nei cassonetti, un aroma molto intenso e una specie di saggezza, i sassi lucidi. Ho detto più preghiere del solito pensando agli antenati che ho visto solo in fotografia. Me li immagino sempre anziani, mai che li veda nel fiore degli anni. Chissà se la loro anima sottile svolazza un po' irrigidita da qualche parte e sorride quando rendo visita alla buca. Uno di loro ha servito durante la Grande guerra nelle uniformi dell'Imperatore: lui sì che ha passato dei momenti seri. A confronto, le mie chiacchiere senza scopo sono frutti avvizziti e indecorosi.

Ora mi è venuto un desiderio di pioggia, che sembri Pasqua almeno, e si beva un vino dal sapore di trifoglio, un po' commossi.

....

B.

A Pasqua ho visitato il Cimitero degli eroi ad Aquileia. È dietro alla basilica, vi si accede entrando in un cancello di ferro, passando il campanile e inoltrandosi fra i cipressi nell'ombra. Ci sono le spoglie dei primi caduti della Grande guerra. Sono in file ordinate: ognuno in una piccola aiuola ben curata e il metallo della croce con il nome inciso. Alcuni sono ai lati in più grandi sepolcri, di marmo e con frasi celebrative a ricordarne il grado e a volte il gesto. Nel mezzo riposano i militi ignoti in un ossario comune più solenne, ma anche più freddo. Non amo fermarmi lì, ma camminare lungo i cipressi, nei vialetti fra le tombe dei soldati, godere la luce che filtra sui rosai, fissare qualche volto che da tanti anni svanisce. Sul muro della basilica, in faccia alle croci, si vede alzando gli occhi una lapide. Chi se ne accorge può ancora sussurrare i versi di d'Annunzio celebranti le 'primizie della forza nei tumuli di zolle'. Una cedevole forza. Oltre i cipressi si stende una verde campagna, striata di giallo e di macchie più scure, con un piccolo e lento fiume che l'attraversa, la Natissa.

Interrompono il silenzio dei richiami d'animali che non so riconoscere, degli uccelli che si lanciano delle cose a me incomprensibili e che per qualche ragione trovo incantevoli e giuste, anche dei polli in qualche vicina fattoria si uniscono al vociare.

A volte arrivano dei turisti italiani, spesso distratti, a volte in gruppi, con dei cappelli sportivi e degli zaini a colori indecenti o qualche panino a metà, che rimangono stupiti e commentano rumorosi. A volte hanno un accento romano o del Sud. Mi chiedo se provino qualcosa. Se sappiano che tanti, più giovani di me, più forti di me, più generosi di me, salirono dai loro paesi lasciando le famiglie, i loro amori, gli amici, le case, venendo a combattere qui, a soffrire, a colpire e uccidersi in uno sfacelo di proporzioni mai viste. Per cosa? Per questa buffa e graziosa nazione? Ne valeva una goccia di sangue? Ne valeva una sola goccia di quel sangue?

Più composti sono gli austriaci, passano di qua cercando il mare a cui non sapranno abbandonarsi. Ne sono entrati due l'ultima volta, mentre ero lì, intorpidito, fra le trame di luce ad ascoltare gli uccelli invisibili. M'ha scosso una maglietta bianca. Si aggiustavano gli occhiali dalla montatura fine. Cercano i loro? Non li troveranno qui. Ma chi sono i loro e i nostri? Guardate quegli ovali che sbiadiscono… Chi sono più? Sono i martiri delle trincee, i San Sebastiano da baionetta, i fucilati, quelli aperti dalle bombe? Vorrei andare loro incontro e senza una parola, così, abbracciarli. Forse potrei piangere. Ma so che per primo non lo farò e che loro non capirebbero. Che sarebbe un gesto esagerato, velleitario. Che sarei preso per pazzo, un debole, un vinto, un mentitore, un giuda. E allora niente. Lasciate che siano gli uccelli a parlarsi, anche senza capire o trattare una resa.

Ora mi è venuto un desiderio d'estate e di afa, di caldo asfissiante, dove si possa dimenticare…

....

C.

Ho avvertito la mia ragazza che una sera saremmo andati a Torre Viscosa. A fare che? In effetti è un posto dove non c'è niente, a parte le fabbriche orribili e gli stradoni desolati. Ma avevo dei motivi molto seri per andarci.

Una domenica avevamo deciso di mangiare il pesce in una trattoria che c'è da anni su un isolotto, a Porto Buso. Non avendo una barca nostra c'eravamo andati con un taxi acquatico attraversando la laguna, approdati come gli attori che arrivano a Venezia per il festival. La ragazza di mio cugino aveva delle scarpe rosse con un tacco vertiginoso, che non sono le calzature indicate per salire e scendere dalle barche, ma il tassista non se ne preoccupava. Anzi, sembrava ben contento di avere una clientela insolita come la nostra, con mio cugino che disquisiva di champagne, il sottoscritto che proferiva dei motti filosofici e le fanciulle a ridere come oche. Nelle domeniche d'agosto i tavoli sotto il pergolato sono sempre pieni ma con un po' di pazienza c'eravamo seduti e nutriti a sazietà di branzini, polipi e scampi.

Qualche giorno dopo, mentre ero a casa, mi capita di leggere degli scritti di Marinetti e un poema ambientato in un paesaggio lagunare fra le canne. Ha un'aria familiare e a un certo punto menziona un Porto Buso. Possibile? Che sia proprio quello? Proseguo la lettura, controllo le note e scopro che sì, è proprio quello e che il titolo originale del lavoro era 'Il poema di Torre Viscosa'. E che cavolo di posto è Torre Viscosa? Oggi il nome è contratto in 'Torviscosa'. Ci sono nei pressi degli allevamenti con molte mucche, dove si producono latte e latticini, c'è un Bar Bianco dove il gelato è a quanto pare molto buono. Voglio andarci a mangiare un cono? Niente affatto. Perché mai allora? Torre Viscosa venne fondata in era fascista, per creare in quella zona di campagne e acquitrini un orgoglio industriale, un grande faro di produzione in epoca di autarchia. Il poema di Marinetti ne canta il nascere, tutto il fervore e il dinamismo, rinvigorendo la mitologia futurista della macchina e della velocità, coniugandola a un motivo vitale: la sintesi di natura e artificio, la prodigiosa alchimia con cui dalla terra dall'acqua dalle canne sorgono beni per il popolo la guerra la nazione. Un miracolo d'ingegno. Crescere e moltiplicarsi di beni gioia tessuti attraverso gli operai i nastri trasportatori le macchine meravigliose. Oggi ancora ci sono le fabbriche. Voglio vederle, voglio vedere cos'è rimasto.

Allora una sera andiamo. Prendo il vecchio Maggiolone rosso, la vecchia Volkswagen ovvero la macchina del popolo. Passo a prendere Sara e lei mi guida, verso la mitica Torre Viscosa.

Dopo dieci minuti siamo in zona, estraggo dal cassetto un raro nastro di musica elettronica e lo faccio partire: ora ci siamo. Io sono molto eccitato, Sara mi prende in giro. Ecco! La vedo, vedo all'orizzonte, a sinistra dello stradone, ergersi nel buio una torre verde illuminata, uno stelo esile e miracoloso e una gonfia corolla, come un faro per imbarchi sconosciuti e spaziali, poi altri edifici illuminati di viola e la distesa immensa delle fabbriche con le piccole luci bianche sui dorsi infinite. È lei, la mitica, italiana, simultanea Torre Viscosa.

Possiamo inoltrarci nel suo lampo? Sara mi indica la via principale d'accesso, il gas del Maggiolone è alle stelle ed entriamo con energia! Non c'è nessuno. Percorriamo dei viali immensi, vuoti, sovrastati dalle masse architettoniche, attraversiamo piazze imponenti, passiamo accanto a un grandioso teatro per il popolo, chiuso da luci leggere sul frontone, vediamo un profondo viale per le marce, bordato di statue e limitato da una possente catena. Non c'è nessuno. Intanto la musica del mangianastri è scandita e ossessiva. Raggiungiamo con la macchina la grande torre illuminata di verde e attraversando più volte in modo concentrico un parcheggio ai suoi piedi mi torco il collo per guardare con la massima attenzione il corpo della torre e le sue cifre luminose. Mi sembra che celino un segreto inumano, un presagio. Sara non vuole che ci fermiamo e usciamo dalla macchina. Non c'è nessuno neanche qui. Continuiamo a girare e i ripetuti sibili della musica iniziano a inquietarci. Intanto m'accorgo che la pelle degli edifici non è tesa, fatica a conservare il turgore. Le vernici sono sfogliate in più punti, la grande torre verdastra ha delle parti screpolate, come rughe, forse ha delle crepe invisibili da qui. I grandi corpi delle fabbriche sono attaccati da ruggine, la vedo oltre il filo e i cancelli, mentre ci passiamo accanto con i finestrini ben chiusi… e quante fra le piccole luci sono spente o rotte, chissà quante ancora, dentro i muri protetti, sono le infiltrazioni, i nidi di ragno, le falle, nere putrefazioni. Non è più in sé, inizio a credere, non è più questa. L'elettrica, imperiale, simultanea Torre Viscosa ora vive in un'altra fibra dello spazio, in una diversa regione del tempo.

Ci allontaniamo dal nucleo della città e lungo strade meno larghe vediamo gli alloggi seriali degli operai e delle loro famiglie. Sara, che è cresciuta qui vicino, mi racconta di certe mattine in cui andando a scuola si vedeva nel cielo una nuvola abnorme, salire di qua, l'aria era strana e pungente e i bambini tossivano, i più deboli avevano una febbre costante, ad alcuni si producevano macchie in viso o sulle braccia. Intanto le autorità democraticamente elette non mancavano di tranquillizzare le popolazioni ed esibivano certificati di sicurezza. Poi il gelato del Bar Bianco è eccellente, il latte delle mucche è sopraffino, il pesce a Porto Buso è saporito, saporitissimo. Ma la musica sta diventando intollerabile e Sara mi prega di spegnerla. Lo faccio e restiamo in silenzio, si sente solo il rombo della macchina del popolo. – È finita, andiamo.

Ci seguono gli estremi bagliori della torre verdastra lasciata alle spalle, li sorveglio nello specchietto retrovisore.

Mentre torniamo sono pensieroso; mi chiedo cosa ne direbbero oggi, cosa ne penserebbero, Marinetti e i futuristi, di questo sfacelo avanzato e delle conseguenze di quel volo. Delle guerre atomiche e dei campi di sterminio, dei tumori nei petti degli operai, del sangue leucemico nelle madri, delle malformazioni sul corpo dei figli. Di ogni grande male in ogni piccolo esistere. Prima di rincasare ci fermiamo vicino alla basilica in paese, parcheggiamo e scendiamo a mangiare un gelato nei nuovi locali aperti accanto al museo. Ci sediamo su una panchina con i nostri cucchiai di plastica colorati. Ora m'è venuto un desiderio di freddo.

....

D.

All'abbazia di Novacella, presso Brixen, ho seguito una messa in tedesco, nella chiesa dell'abbazia, il mattino. Era una messa cantata e suonata, con musiche di Haydn per voci, piccola orchestra e organo.

La chiesa è curiosamente barocca in contrasto al rigore di tutto ciò che la circonda. I tedeschi seguivano la cerimonia con partecipazione ed esattezza. Non capivo quasi nulla di quanto detto dall'officiante, ma l'architettura, la musica, i gesti, mi facevano sentire al cuore di qualcosa di mio, di conosciuto, di profondamente intimo. Ho iniziato a fantasticare, a chiedermi che cosa provassi in quel momento, per quale emozione e sentimento mi sentissi felice e partecipe di qualcosa. I tedeschi non parevano accorgersi del mio stato, nessuno se ne curava e distoglieva i propri sensi dalle formule.

Così il sottoscritto, un italico dai capelli crespi e la barba nera, un calcolatore avvezzo al vino, vuole provare ad essere preciso ed elencare i pensieri che ha avuto in quel momento:

(a)    quanto fu grande l'Impero romano che ci ha uniti, ce ne sono ancora le rovine da Istanbul alla Spagna, alla Tunisia, all'Inghilterra;

(b)   quale superbo fiore il Rinascimento – a Ferrara, a Firenze, in tante magnifiche città;

(c)    che scoppio salutare la Rivoluzione scientifica, a liberarci dalle superstizioni medievali e passatiste!

(d)   noi abbiamo avuto l'Illuminismo e i rinnovati costumi giuridici e filosofici; ma anche

(e)    le guerre di religione, di Stato, di razze e di cazzate;

(f)     l'orrore dei campi di prigionia e di morte; e ora

(g)    le bombe, il terrorismo, le minacce alla libertà conquistata a tanto prezzo…

Mentre pensavo al terrorismo mi sono accorto che un bambino accanto a me, non visto dai genitori, si infilava le dita nel naso. Loro non si distoglievano dall'altare, lui si stropicciava le narici sotto il banco, pensando a chissà cosa. Mi è venuto da sorridere ma non ho voluto abbandonare il filo dei miei ragionamenti. Mentre il sacerdote apriva le braccia, chiedevo a me stesso toccandomi la barba:

(h)    bisogna dimenticare le pagine nere, per unirsi contro il nuovo pericolo? O invece non bisogna dimenticare, ma

(i)      capire freddamente poi unirsi in uno slancio?

Con la coda dell'occhio ho guardato il bambino, che continuava il suo lavoro di esplorazione. Dicevo:

(j)     sorridere a chiunque s'avvicini, pensare che è una parte di bene, un fratello? Anche se ricambia il sorriso con i denti? Anche se c'è chi ti pugnala?

Intanto la messa era avviata a concludersi. I fedeli accanto a me avevano iniziato a sollevarsi diretti all'altare per la comunione. Li osservavo, uno dopo l'altro, fra le volute zuccherose della navata, in fila, ricevere il sacramento, ruotare di centottanta gradi, tornare al loro posto. Il bambino ha approfittato del momento per ultimare il lavoro e appiccicare a un inginocchiatoio il risultato della ricerca. Appena conclusa la sua impresa liberatoria ha alzato gli occhi e ha visto i miei. Si è come spaventato, voltato subito dall'altra parte a vedere se tornassero i genitori. Prima che fosse troppo tardi mi sono sforzato di formulare questi altri pensieri, tirandomi la barba:

(k)   se si debbano tollerare gli intolleranti;

(l)      se si possa restringere la libertà di chi vuole soffocarla.

Poi hanno iniziato le campane e l'orchestra vaporosa con la musica finale. Confezionata per bene l'ultima nota, i teutonici dalle mille guerre hanno iniziato a salutarsi fra i fiocchi rosa e azzurri uscendo a gruppetti. Sono rimasto con la mia lista interrotta di pensieri, mentre le campane non smettevano e altre domande si aggiungevano. Il bambino, uscendo in braccio al padre, mi ha guardato per un istante, come per chiedermi di tenere il segreto, di non dirlo a nessuno.

Uscito, sono rimasto a fissare una porta di pensate legno scuro e ho sentito con le dita il muschio verde che si infoltisce fra le pietre della corte, dal lato dove non batte il sole. Ogni fine ha un inizio.

 

www.este-edition.com  (autori Giovanni Tuzet)

 

http://didattica.unibocconi.it/docenti/cv.php?rif=49852&cognome=TUZET&nome=GIOVANNI

 

IL FUTURISMO SECONDO ALESSIO BRUGNOLI

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L'assessore alla cultura del Comune di Milano, Finazzer Flory si è dispiaciuto per una velata critica che il Giornale avrebbe rivolto al programma dell'anno futurista milanese presentato il 4 dicembre scorso alla presenza del sindaco Moratti. Diciamo "avrebbe" perchè in realtà di critica non è trattato, ma di una puntualizzazione.

Non ricordando i contenuti dell'articolo, non entro nella polemica. Devo però riconoscere come il Comune di Milano, ha presentato un ampio programma di celebrazioni, qualcuna pacchiana, qualcun'altra discutibile dal punto di vista critico, ma che han tutte l'enorme pregio di catturare la rottura del diaframma tra Arte e Quotidiano che era uno degli obiettivi del Futurismo.

Sono iniziative migliorabili ? Sicuramente, tutto è perfettibile, ma sicuramente è meglio qualcosa del Nulla

Non si può parlare della più esplosiva delle avanguardie europee senza ricordarne la valenza politica: i futuristi furono prima interventisti e poi fascisti. Diciamo, in genere, decisamente bellicisti (chi ha scritto che la guerra è suprema igiene del mondo ?) Se è vero che Maurizio Scudiero, studioso del futurismo, ha rintracciato anche i futuristi antifascisti o addirittura anarchici, è altrettanto vero che Marinetti (uno dei pochi a criticare apertamente le leggi razziali) fu comunque fedele alla sua scelta fino alla Repubblica sociale

Qualche piccola puntualizzazione:

1) Han ragione Scudiero e decine di studiosi del resto del mondo. Il Futurismo e Fascismo, indipendentemente dalle scelte personali degli artisti, han sì una delle radici culturali in comune, la sinistra radicale di Sorel, ed affinità, il mito della creazione dell'Uomo Nuovo, ma son fortemente antitetici.

Il Fascismo credeva in una società ed in una visione del mondo gerarchizzata, in cui l'ordine discendesse dall'Alto. Il Futurismo in un mondo caotico ed autopoietico, in cui un equilibrio instabile ed in continuo divenire si generasse spontaneamente dal basso.

L'uno cercava di ricostruire il Passato, basti pensare al culto della romanità, l'altro vi si confrontava criticamente.

Che poi, il Fascismo abbia tratto idee e slogan dal Futurismo e che intellettuali futuristi, nell'ambizione di affrettare la ricostruzione del Mondo e inseguendo il mito dell'impegno, abbiano collaborato con il regime è un dato di fatto

2) Il concetto "la guerra è suprema igiene del mondo" è di natura filosofica, recupero del pensiero di Eraclito che politica

E fu proprio l'orientamento politico della maggior parte dei futuristi a provocare l'ostracismo che per un trentennio li ha relegati ai margini delle correnti artistiche del Novecento.

In Italia ed in Francia a causa dei "salvati", quel gruppo di intellettuali, più organici al fascismo dei futuristi che passano armi e bagaglia al PCI ed al PCF e che dovettero crearsi un capro espiatorio intellettuale.

Ma se dimentichiamo questo lato storico del futurismo, si rischia di presentarlo al vasto pubblico in maniera parziale, privilegiando l'aspetto puramente artistico e polemico

L'importanza del Futurismo è invece proprio questa: l'avanguardia seminale del Novecento, che contiene in sè tutti gli sviluppi e le contraddizioni intellettuali di quel secolo...Il che è assai più importante delle simpatie politiche marinettiane.

ALESSIO BRUGNOLI

http://arteeartisti.splinder.com

http://www.educational.rai.it/lezionididesign/designers/SCUDIEROM.htm