ALDO MORO OVVERO LA CAPACITA' DI GUARDARE LONTANO

Della particolarità di Aldo Moro politico e statista si è detto continuamente che è stato una figura con un proprio profilo, tutto suo. Di questo profilo si sono, tuttavia, perdute le fonti e la circostanza è stata messa in luce soprattutto lo scorso anno, in occasione del centenario dalla nascita dell'uomo politico democristiano, trucidato dalle Br nel 1978. Eccetto i testi della prigionia, non si disponeva di una raccolta di scritti che almeno proponesse il senso adeguato di quel profilo. Attraverso il recupero recente di un insieme di interventi significativi dal 1943 alle soglie della morte (1978), è stato tuttavia possibile ricostruire al meglio il pensiero moroteo, cogliendone la  sua straordinaria capacità di guardare lontano. Tre sono i temi che si evidenziano in tale ricostruzione: la concezione dello Stato, la riflessione sulla classe politica, l'attenzione sulla società civile: tutte e tre queste parti ci parlano a noi oggi di Aldo Moro. "La costruzione dello stato democratico, scriveva nel 1959, non è un punto d'arrivo, ma solo un punto di partenza. ....Lo stato democratico nega in radice e non per calcolo la rozza chiusura dello stato totalitario": è questo il profilo di ragionamento che apre alla sua proposta politica verso il PSI e che all'inizio degli anni 60 produce il centro-sinistra; è lo stesso principio che sovraintende più avanti, dieci anni dopo, cioè, l'apertura al PCI di Berlinguer, un confronto in cui Moro non attenua le distanze e in cui chiede che si metta al centro la visione globale dell'ordine sociale che li distingue più che solo le necessità del momento. Nel marzo del 1976, alla vigilia di quelle elezioni che, nella storia dell'Italia repubblicana, più di ogni altre, segnarono quel bipolarismo di fatto dei due partiti maggiori, la DC e il PCI, che raccolgono rispettivamente i 3/4 dei voti, Aldo Moro interviene al congresso del suo partito (come ben ricordo anche per personale mia presenza in quell'occasione, che portò all'elezione a segretario scudocrociato del ravennate Benigno Zaccagnini) e sottolinea come il collasso del sistema possa non essere solo un'ipotesi se a fronte degli scandali politici non si dà una risposta capace di soddisfare la domanda di intransigenza morale che sale dall'opinione pubblica. Una domanda che richiede, aggiunge Moro, una risposta seria ed ineludibile al fine di non mettere in causa le stesse istituzioni democratiche, oltre che uomini e partiti. Non più quindi si deve tentare di conservare l'esistente, ma di avere il coraggio di rinnovare il costume pubblico e la società (parole profetiche che riecheggiano il linguaggio di Massimo d'Azeglio e che trovano ancora riscontro nell'attuale convulsa congiuntura politica). Il guardare lungo di Moro appare pertanto di alto livello intellettuale e strategico in vista di una democrazia matura e moderna. Si tratta di quella nuova idea della politica che Moro concepirà come essenziale per lo sviluppo futuro del Paese anche negli anni seguenti fino all'ultima tragica esperienza della morte (Ricordo ancora le sue ultime parole, pronunciate durante la riunione che si svolse proprio la sera prima del rapimento di Via Fani e che conservo nella memoria, avendole ascoltate quasi dall'ingresso di quella sala: Moro ci parve oracolare e pervaso da profondo senso dello Stato). Nella memoria pubblica, peraltro, di tutto questo nulla rimane, della sua riflessione, della cifra del suo interrogare e scavare nella realtà del suo tempo, rimane ben poco. Rimane la vicenda umana dolente e crepuscolare in uno stile spesso definito retorico, ma non l'inquietudine delle domande, e nemmeno l'antieroismo programmatico di quell'uomo normale che fu il Moro prigioniero delle Br. Tratto che Leonardo Sciascia aveva colto acutamente nel suo "L'affaire Moro"(Sellerio) in quella che rimane ancora l'insuperata analisi culturale della mens politica dello statista democristiano. I  testi morotei che ha di recente raccolto nel suo "Governare per l'uomo" lo studioso Michele Dau si configura invece come un contributo nuovo per riempire un vuoto. E non è poco.
Casalino Pierluigi