DA LENIN A STALIN. LA DISILLUSIONE DEL 1917

In un manifesto della Russia del 1936 si celebrano i valori della patria socialista, attraverso l'esaltazione del lavoro stachanovista. Si tratta di uno dei tanti esempi di retorica, e ad un tempo di ipocrisia, dell'allora imperante realismo socialista staliniano contro il quale si batté Victor Serge con la fermezza di non venire a patti con esso. Stranamente però Victor Serge non viene citato tra gli intellettuali intransigenti del Novecento come Silone, Orwell, Kostler e Camus, per citarne solo alcuni. La questione Serge resta comunque aperta e così la domanda sul perché essa resti tale, cioè insoluta. Ricorrntemente ci si ripropose il quesito sul perché Serge sia stato dimenticato o sottovalutato. Forse Serge ebbe meno fortuna di altri. Perché, come si dice, fu probabilmente un esule che nessuno può rivendicare a pieno nelle sue schiere? O perché non fu un scrittore impegnato in modo discontinuo nella militanza, ma fu invece un attivista e un agitatore tutta la vita? Perché ha scritto molto e la maggior parte delle sue opere non è considerata letteratura? Perché nessuna letteratura nazionale può rivendicarlo per sé? Anche la sua morte in terra messicana, come è ben noto, fu triste. Forse ancora perché fu un combattente per un mondo migliore (rendendosi quindi inviso alla destra)? E forse perché fu persino un anticomunista abbastanza intelligente da preoccuparsi che il governo americano e quello inglese non avessero capito che dopo il 1945 Stalin puntasse ad impadronirsi di tutta l'Europa a costo di un conflitto mondiale (circostanza che nella presentazione del mio libro IL TEMPO E LA MEMORIA a Radio 24 de Il Sole 24 Ore fu, al contrario, compresa, nella sua pericolosità, da mio padre Michele Casalino, protagonista del libro e testimone oculare dell'irresistibile avanzata dell'Armata Rossa in Polonia): e tutto ciò in un periodo in cui gli intellettuali occidentali, pervasi di filo-sovietismo e di ostilità nei confronti degli anticomunisti, accusavano Serge di essere un traditore e un rinnegato, anzi un reazionario e un guerrafondaio: insomma Serge seppe scegliersi i giusti nemici per nuocergli, come sottolineò Aldo Garosci, presentando nel 1956 la prima edizione italiana del libro di Serge MEMORIE DI UN RIVOLUZIONARIO. Il comunismo sovietico fu capace di creare la leggenda del tradimento sui cadaveri degli oppositori, oppositori che si erano resi prigionieri di loro stessi, dal momento che continuavano a restare fedeli al partito, cercando di renderlo democratico quando democratico non poteva essere: da questo gioco assurdo Serge si salvò perché in lui sopravviveva quella parte liberale dell'Occidente che negli altri suoi compagni oppositori non esisteva affatto. Ciò divenne evidente  durante gli anni del suo esilio, quando venne in contatto con gli esuli dell'antifascismo, che non si trovavano a casa né a Mosca e né negli USA e in Gran Bretagna: tutti personaggi alla ricerca di un ordine e una spiegazione alle loro sconfitte. Nel 1933, alla vigilia del suo secondo arresto nella Russia sovietica, Serge scrive agli amici francesi di essere di fronte ad uno stato totalitario in cui l'uomo non conta, basato su un'onnipotente pubblica sicurezza, che ,come sottolinea lo stesso autore, ha ripreso "le tradizioni delle cancellerie segrete del diciottesimo secolo e un ordine clericale del termine, burocratico di esecutori privilegiati". Da queste considerazioni si apre la via che lo conduce definitivamente alla sua convinzione anti-totalitaria, convinzione che viene sancita nel suo libro DA LENIN A STALIN, che viene pubblicato nel 1937 e che segna il prima e il dopo della sua nuova fede politica.
Casalino Pierluigi