Non date per morta l'America: parola del futurologo Kurzweil


 
Non date per morta l'America
di FRANCESCO GUERRERA
La città si chiama Aurora ma da una settimana è il simbolo di un’America al tramonto.

La follia omicida di James Holmes, lo studente che ha ucciso 12 innocenti e ne ha feriti altri 58 alla prima di «Batman» in Colorado, ha sconvolto una nazione e accentuato la sua crisi di identità. I proiettili sparati dal 24enne con i capelli rossi e gli occhi da pazzo sono echeggiati nei televisori, case ed uffici di un paese che fa fatica a trovarsi ormai da anni. Non più superpotenza economica, senza un nemico chiaro con cui confrontarsi, e con il fiato della Cina sul collo, l’America è attanagliata dai dubbi.

L’atto barbarico di Holmes è un’altra batosta alla fragile psiche nazionale, la «prova» che nell’America di oggi nessuno è sicuro, nemmeno in un cinema di provincia del Colorado. Non se è possibile comprare 6000 pallottole per fucili e pistole su internet come fossero buoni del Tesoro.

L’ esortazione del presidente Obama - l’America deve far fronte al massacro di Aurora come «una grande famiglia» - è sintomatica del momento. Il carismatico «padre» del Paese, l’uomo più potente del mondo, non ha risposte, solo parole.

Con l’economia sull’orlo della recessione, il mondo della finanza alle corde e una quasi-guerra di classe tra i ricchi di Wall Street e i sempre più poveri che vogliono «occupare» il capitalismo, sembra naturale concludere che siamo ormai alla fine dell’impero americano. L’intelligencija fa la sua parte, riflettendo e fomentando l’idea che i giorni migliori del paese sono nello specchietto retrovisore.

Da ideologi di destra come Pat Buchanan - il consigliere di Nixon e Reagan che ha scritto un libro intitolato «Il suicidio di una superpotenza» - alla sinistra liberal di Thomas Friedman, il columnist del New York Times la cui ultima opera si intitola «That Used to Be Us» (Un tempo questi eravamo noi), il mormorio dei benpensanti è un coro di laudatores temporis acti.

Il parossismo, quasi parodico, di questa mentalità è esemplificato in un monologo nella nuova serie televisiva di Aaron Sorkin - il creatore della «West Wing» - ambientata in uno studio televisivo. Parlando ad un gruppo di studenti, il protagonista, un vecchio anchorman incarnato da Jeff Daniels, urla: «Quando dite che l’America è il migliore paese del mondo, non ho la più pallida idea di che cazzo parliate. Il parco di Yosemite?».

Ma siamo proprio sicuri che l’America sia in declino terminale? Aurora è un capitolo tragico e la congiuntura economica e finanziaria non è certo favorevole, ma pazzia e recessione non portano automaticamente alla decadenza di un paese come gli Stati Uniti.

I molti critici dell’America di oggi fanno un errore abbastanza basilare e ben noto a chi studia economia - confondendo fattori ciclici e fattori strutturali. Mi spiego. Non c’è dubbio che gli Stati Uniti siano in un momento
di profonda crisi, economica e sociale. Ed è senz’altro possibile che l’economia Usa ricada nella recessione prima di essersi completamente ripresa dall’ ultima contrazione. I numeri sono deprimenti: dai dati sulla fiducia dei consumatori, al tasso di disoccupazione, al moribondo mercato immobiliare.

Persino il terziario, il settore dei servizi che ha tenuto l’economia a galla e dato posti di lavoro a milioni di persone per decenni, ha l’acqua alla gola. Basta guardare a Wall Street - che pochi anni fa era una fonte di orgoglio nazionale ed un’aspirazione per tanti giovani ed ora è diventata un sacco da pugile per politici, giornalisti e ragazzi del movimento «Occupy».

Attenzione, però, a sottovalutare gli Usa.

Chi li dà per morti deve prima considerare il contesto storico. Non è la prima volta che gli Stati Uniti hanno paura di essersi svegliati dal Sogno Americano. La Grande Depressione degli Anni 30, la crisi di fiducia scatenata dalla guerra in Vietnam e il senso d’impotenza rivelato dagli attacchi dell’11 settembre sono tre esempi di momenti critici nel passato di un paese ancora abbastanza giovane.

L’America è riuscita a superarli grazie alla flessibilità di un sistema politico - il federalismo - e di un’economia che, a differenza della rigidissima Europa, sono capaci di adattarsi ai tempi che corrono.

E’ possibile che la storia si ripeta in questo nuovo, difficilissimo, frangente. Un attento osservatore può già notare il cambiamento camelontico dell’economia americana, da gigante manifatturiero a mostro dei servizi, soprattutto finanziari, ed ora, campione di nuove tecnologie.

Non solo Facebook - una società che non esisteva nemmeno dieci anni fa ed Apple (e Google e Microsoft e Twitter etc etc). Ma anche esperimenti come Singularity, un’«università» non a scopo di lucro fondata da scienziati della Nasa, che è specializzata nello studio e nell’insegnamento di nuove tecnologie a gente in carriera.... C



O figure come Ray Kurzweil, l’inventore del software che permise ai computer di «ascoltare» voci umane e di tradurle sullo schermo. Ad una conferenza piena di manager d’impresa il mese scorso, ho sentito Kurzweil giurare di essere capace di «riprodurre» il cervello umano in un computer - una scoperta che, per esempio, potrebbe aiutare a debellare l’Alzheimer ed il morbo di Parkinson.... C
 
LA STAMPA
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