LA CARTOLINA DEL LAMANTINO
OPPURE GLI ULTIMI GIORNI DI MARIA
Tratto da un ipotetico romanzo breve, il cui nome è ancora oscuro.
ANDREA LEONESSA
Le pareti della corriera parevano arse dai crepuscoli di tutto il secolo, dal vapore della carne passeggera: cosparso dalla cenere dello strascico abbrustolito del sole, il veicolo popolare procedeva verso la fermata. Che fosse alba, tramonto od artificio, ogni luce addizionava il suo calore alla già vasta ustione della ferraglia; il colore semovente della vampa aleggiava nell’aria, facendo supporre ai passeggeri di presenziare ad un pasto primitivo: così lo sbadiglio, la risata, parevano morsi scevri d’appetito per una pietanza seppia e fatua, dal sapore sì metallico tuttavia speziato dalla naturale predisposizione dell’ossigeno alla combustione. Non distante dall’autista sedeva Giona, la cui esile figura s’accompagnava a quella ben più goffa del tubo catodico: l’uomo stringeva a sé l’apparecchio, integrandolo fra le sue ascelle come una periferica della sua anatomia. Giona trascorse il viaggio osservando il fluire di Apparizione oltre il finestrino, nella moderata fiumana scandita dalla velocità della corriera che, dopo un quarto d’ora, emise il suo squillo: scostando alcune persone con l’escrescenza plastica sul retro del televisore, Giona scese dalla vettura, dirigendosi verso casa che non molto distava dalla fermata. Il peso dell’apparecchio estese la permanenza del suo passo sull’asfalto di qualche minuto; un poco di sudore colò dalle ascelle e, per Giona che poco era avvezzo agli sforzi fisici, fu come osservare l’olio refrigerante di un computer esalato da una porta Usb in seguito ad una richiesta esageratamente esosa. A pochi passi dall’abitazione, l’asfalto cedeva il posto ad una sabbia sottile: Giona fece leva con il piede destro per estrarre la scarpa sinistra, e l’inverso fece per la scarpa destra; se non fosse stato per il televisore, egli, che per evitare di sporcare le sue calzature era divenuto assai abile nel denudare i piedi un istante prima ch’essi affondassero nella sabbia, avrebbe già estratto le chiavi, ed inseritele nella toppa, sarebbe entrato in casa. Quel giorno dovette invece perdere qualche istante per posare a terra il tubo catodico. Giona pose il televisore sul parquet; Maria doveva essersi accucciata in qualche stanza, pensò l’uomo: l’atrio era vuoto e dal salotto non si sporse alcun viso; capitava talvolta che, facendo ritorno, Maria attendesse Giona sul divano, sporgendosi leggermente con il viso con un fare assai dolce. S’ella non si trovava nel soggiorno, lì era deposta la sua lingua, il suo verbo: Giona, afferrata la lettera, indugiò sulla lettura per goderne appieno in veranda.
Caro Giona, innanzitutto ti ringrazio per il tuo dolce pensiero di preparare gli spaghetti con il tonno, erano squisiti. (Sai che è causa delle versioni obsolete della Bibbia, se ancora oggi riteniamo che il pesce non sia carne?) Non ti ho pensato granché oggi, ho guardato il piatto, il sugo, per buona parte del meriggio. La ricerca del televisore si è rivelata fruttuosa? Finalmente un poco di musica! Riflettevo, oggi pomeriggio: mi sono sentita come il pezzo di tonno sopravvissuto all’olocausto delle mie fauci! Era solo, e circondato da alcuni spaghetti maliziosi! Volevo quindi domandarti se, secondo te, sono una troia.
Giona liberò la carne, predata com’era dall’oscillazione del dondolo, accingendosi a trovare il corpo di Maria. Esso giaceva educatamente schiantato contro il materasso, nella camera da letto. Con la determinazione di una salma neanche il respiro, impercettibile, tradiva il suo stato di essere vivente: Giona, con grande devozione, sprofondò fra le lenzuola tentando di emettere il medesimo nulla.
Maria si svegliò, correndo felina verso l’atrio dell’abitazione. Appena vide il televisore, la sua bocca si estese come faceva un tempo, come per parlare a voce alta: non il tempo concesso allo stupore che già il televisore era percorso dalla corrente elettrica. Lo accese, e fu come se il cosmo apprese le note precise della sua atavica sinfonia: un fruscio ridondante, greve come la somma universale di tutti gli eventi. Il canale Uno produceva un rumore acuto, forse più adatto ad un brindisi con vino, pensò; il secondo canale produceva un disturbo vagamente più soffocato, adatto senz’altro ad una colazione abbondante, che Maria s’apprestò subito a preparare. Giona si svegliò assai lieto, fantasticando di danze malinconiche, di passi convulsi sulla sinfonia del disturbo. Prima di recarsi in cucina, dalla quale proveniva un invitante odore di tonno soffritto, Giona rispose alla lettera.
Cara Maria, come avrai già notato, sono riuscito a reperire un televisore: questa sera potremmo ballare, se ti va… Per quanto concerne l’orgia, non ti devi preoccupare: non posso nascondere una certa amarezza nel riesumare quella lettera che, con una dovizia diabolica di dettagli, comportò per me una certa inquietudine; non penso comunque che tu sia una troia: ammetto che, talvolta, durante la notte, ti chiamo cucciola
Giona, terminata la scrittura, si recò nella cucina dove lo attendevano, oltre a Maria, anche il pane tostato ed il tonno: consegnata la lettera, Maria la lesse rapidamente, facendo d’un solo sorriso sia la risposta alla missiva che l’intenzione di addentare il suo pasto. Giona, deglutito l’ultimo boccone, fece cenno a Maria che, per lui, era nuovamente giunto il tempo di recarsi in chiesa. Pregherò per il tuo mutismo, pensò, uscendo di casa. Giona, appena lasciatosi alle spalle la spiaggia, inforcò le sue scarpe, procedendo con passo deciso verso la corriera. Il viaggio fu assai più confortevole del precedente, senza il televisore, che pur tanta gioia comportava. Nell’attesa di giungere a destinazione, Giona frugò nelle sue tasche: fu rinvenuta una cartolina azzurra e stropicciata, raffigurante un lamantino; l’uomo sorrise, ricordando della visita all’acquario. Pochi mesi prima, pensando d’asciugare la malinconia, Maria fu accompagnata segretamente da Giona nell’acquario di Apparizione; i filari di pesche, che infestavano la struttura celandola dietro alla frutta, contribuirono allo stupore ed alla gioia della donna, che venne premiata per il suo enorme sorriso con l’enorme pupazzo d’un riccio marino.
Raggiunta la chiesa, Giona s’apprestò a celebrare la messa; il sacrestano, facendo oscillare alla guisa d’un metronomo la carcassa più fresca, intonò il corpo corale. La coagulazione dei fedeli avvenne puntuale, e la funzione ebbe inizio.
L’odore di questa carne, che mitighiamo all’incenso, testimonia lo stadio minerario della nostra coscienza. Questa carne, di cui ammiriamo lo stato ordinato e decomposto, è la nostra mediatrice verso la salvezza ed ad essa chiediamo pietà. Il silicio è debole, e se su tale ammissione facciamo ammenda, ogni giorno avviciniamo il nostro spirito alla misericordia ed alla fiera mortalità della carne. La densità spirituale della Carne ci allontana dalla peste che, alla stregua d’un minerale, ci rende muti ed insensibili dinnanzi alla redenzione.
Con queste parole di conforto, la messa ebbe fine: Giona si ritirò nella sacrestia mentre i fedeli abbandonavano il mattatoio. Ogni qualvolta qualcuno sospingesse il portone, un poco della sottile nebbia pregna di luce solare penetrava nel macello, irradiando ad intermittenza le carcasse prossime all’ingresso. Giona dispose in ordine alcune panche di legno di cui qualche fedele distrusse la simmetria, e fece infine ritorno a casa................CONTINUA
ANDREA LEONESSA
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