R. L'Italia è, per definizione, sotto il profilo culturale e spirituale, tanto il paese delle ortodossie letteraliste, quanto delle più accese eresie. L'inquieto XX secolo ha prodotto scontri tragici tra ortodossi afferenti a diverse "fedi", ma anche confronti serrati, tra eretici ed ortodossi, all'interno delle diverse famiglie ideologiche. Julius Evola fu senz'altro un eretico. Lo fu nei confronti delle culture egemoni nel nostro paese nella prima metà del Novecento, quella neoidealista, cattolica e socialista. Fu eretico rispetto al fascismo durante il Ventennio: con il suo interventismo culturale avrebbe voluto "rettificare" il regime, depurandolo, attraverso il riferimento allo Stato Organico teorizzato da Spann ed Heinrich, dei suoi tratti "democratici" e totalitari. Per questo, molte sue iniziative editoriali furono contrastate (come dimostra la chiusura del La Torre, rivista da lui fondata e diretta). La sua influenza sul regime fu decisamente marginale. Nel dopoguerra, fu certamente eretico nei riguardi dell'antifascismo, la nuova "religione" di cui si è servita la Forma-Capitale per mettere in atto la definitiva disgregazione della comunità nazionale, imponendo i falsi valori del "politicamente corretto"e, successivamente, del mundialismo sradicante.
Fu eretico anche nei confronti di ambienti legati alla scolastica tradizionalista, che mal digerivano la sua lettura dinamica della Tradizione e non capivano il suo impegno nel presente. Insomma, Evola fece parte della sparuta pattuglia dei "persuasi" che, nonostante tutto e contro tutti, si erse a difesa dell'individuo teso alla propria liberazione. La sua figura non deve essere "disgelata", come mi chiedi. Pur permanendo nei suoi confronti il veto discriminante delle guardie bianche al servizio permanente effettivo del potere dominante, molte intelligenze critiche, da tempo, si confrontano con le sue pagine e con la potenza della sua filosofia. Evola è oggi riferimento essenziale per costruire un pensiero divergente e oppositivo nei confronti del senso comune contemporaneo e può fornire un contributo sostanziale al superamento della post-modernità.
Ciò mi ha indotto a raccogliere in volume diversi saggi a lui dedicati, a cui ho lavorato negli ultimi anni. Naturalmente, rispetto alla loro originaria apparizione, sono sati rivisti, modificati, ampliati ed aggiornati. E' nato così il volume Julius Evola e l'utopia della Tradizione, che dal 26 giugno prossimo sarà nelle librerie per OAKS editrice (euro 20,00).
Il libro è impreziosito dalla prefazione di Massimo Donà, rappresentante insigne dell'Altra filosofia, nonché musicista di valore. Nelle sue pagine entro nell'officina teoretica dell'idealismo magico, ponendo a confronto il pensatore romano con Michelstaedter, Emo e Gentile, onde evidenziare l'originalità della proposta evoliana. La filosofia della libertà di Evola è originale in quanto ri-propone nel presente la vigenza dell'origine, in un colloquio sintonico e serrato sia con il filosofo Andrea Emo, che con il romantico Bachofen. Questi è autore, assieme a Nietzsche, davvero cruciale per Evola, in quanto la simbolica della storia dello studioso di Basilea gli permise di rimanere fedele ad una visione sferica ed aperta della storia, anche nell'opera maggiormente influenzata da Guénon e dal suo necessitarismo, Rivolta contro il mondo moderno. In tale contesto teorico, la Tradizione non può essere pensata in termini di passato, ma risulta essere sempre possibile, perfino nell'Età Ultima.
Per rispondere alla chiamata dell'origine, per rendere possibile oggi la Tradizione, l'uomo evoliano deve assumersi la responsabilità eroica del confronto con la liquidità contemporanea, nella consapevolezza che l'azione è comunque rischiosa: può far ri-emergere il tradere o determinarne l'oblio. Per questo, nel libro, sostengo essere un errore ridurre Evola alle anguste categorie politiche reazionarie o condannarlo aprioristicamente in forza della consueta reductio ad hitlerum. Egli lesse la cultura tedesca alla luce del mitologema della Germania segreta, paradigma dell'aristocrazia dello spirito. La sua fu un'utopia in senso classico, altra dall'utopismo moderno. La Tradizione, infatti, è proposta di un modello antropologico a cui adeguarsi in un percorso di ascesa individuale che fa della libertà, fondamento infondato, il proprio (si badi, paradossale!) ubi consistam e che, pertanto, rifugge dal rischio perfettista. Non si tratta, quindi, di sdoganare Evola, è il suo pensiero, latore di libertà, che sta riuscendo a porsi, di per sé, oltre i pregiudizi stantii a cui una cultura ormai asfittica vorrebbe relegarlo.
a cura di R.Guerra