Da: oscarbartoli
Io emigrante italoamericano
Quando a fine carriera mi è stato proposto di andare negli Stati Uniti a dirigere la sezione americana dell' IRI Istituto per la Ricostruzione Industriale ho telefonato a Romano Prodi che aveva lasciato la presidenza dell'Istituto per la seconda volta dopo averlo risanato.
"Vai, mi ha detto, sarà un'esperienza interessante per te ma soprattutto per i tuoi figli."
Negli Stati Uniti c'ero andato un'infinità di volte per ragioni professionali. Anzi diciamo meglio: in prevalenza New York era stata per anni un punto di riferimento con le sue agenzie di pubblicità.
Ma un conto è fiondarsi in America al massimo per una settimana, e un conto è viverci stabilmente.
La sede dell'Iri si trovava a Washington una città estremamente vivibile e in pratica sconosciuta alla maggioranza dei turisti italiani per i quali America è uguale a New York, San Francisco, e le Cascate del Niagara.
Inutile dire che la decisione di andare negli Stati Uniti ha creato nella mia famiglia immediate reazioni che andavano dall'entusiasmo di mia moglie sempre pronta a trovare interesse in nuove esperienze, alle contrastate proteste dei figli che dovevano lasciare il loro amorazzi e dovevano completare uno il corso di laurea in giurisprudenza alla Luiss, e l'altro decidere se iscriversi ad una università americana (con quello che sarebbe costata).
La previsione era quella di rimanere negli Stati Uniti per non più di due, tre anni.
Dopo sarei dovuto ritornare nella sede centrale dell'Iri a Roma in Via Veneto a respirare il fumo delle sigarette degli altri colleghi dirigenti deambulanti nei corridoi in attesa del raggiungimento della pensione.
Per farla breve mi sono gettato nel lavoro per ridare smalto ad un dipartimento che negli anni era stato emarginato nella considerazione generale dei dirigenti Iri.
Quanto ai figli Max laureato col massimo dei voti e lode alla Luiss decide di trasferirsi a Washington e Marco si cimenta nella ricerca di una università di prestigio americana disposta ad accettarlo. GeorgeTown University lo accoglie e riplasma un giovane che in Italia galleggiava come tanti altri sulle recriminazioni nei confronti di tutto di tutti.
Laurea 'magna cum laude' e la voglia di affermarsi in un contesto sociale molto difficile come quello americano.
Nel frattempo avevo dato inizio alle pratiche per l'ottenimento della carta verde per me i miei familiari.
Quando si è trattato di ritornare a Roma abbiamo deciso che ormai era meglio rimanere a Washington impegnandoci in una nuova vita.
Noi emigranti di lusso se paragonati ai milioni di connazionali arrivati all'inizio del 20º secolo in questo paese, senza conoscere una parola d'inglese ma con la solida determinazione di riuscire a dare un futuro ai propri figli, lottando strenuamente contro l'ostilità delle altre componenti sociali ormai stabilizzate.
Vivendo negli Stati Uniti mi sono sorpreso ad amare sempre più intensamente il mio paese di origine, l'Italia, grazie soprattutto all'interesse e all'entusiasmo dimostrato da tanti americani quando venivano a sapere che eri italiano, di Firenze, vissuto per anni a Roma.
Perché Italia per molti miei nuovi connazionali significa il sogno di un viaggio in un paradiso di arte, cibo, moda, talento del saper vivere. Per altri che in Italia ci sono stati la voglia di tornarci.
E questo nonostante il persistere della connotazione mafiosa che viene regalata ad ogni italiano credendo di fare una battuta di spirito.
L'America paese di emigranti sembra vivere oggi uno dei momenti più cupi della sua storia di oltre 240 anni.
E noi nuovi emigranti italoamericani assistiamo con disagio al riaffiorare di mescolanze razziste in una società che sino ad ora è riuscita a plasmare culture e razze diverse in un unico contesto fatto di garanzie e di libertà.
Oscar
Io emigrante italoamericano
http://oscarb1.blogspot.com/2018/01/io-emigrante-italoamericano.html
oscarb1.blogspot.com Quando a fine carriera mi è stato proposto di andare negli Stati Uniti a dirigere la sezione americana dell' IRI Istituto per la Ricostruzione Industriale ho ... |