Vitaldo Conte, “Arte Ultima (pulsional ritual virtual)”, Roma, Avanguardia 21 Edizioni, 2017, pp. 104, 10,66 euro
Conte, saggista e scrittore, sintetizza, in questo testo, molte delle sue riflessioni critiche, attraversando principalmente due suoi noti libri – Dispersione (2000) e Pulsional Gender Art (2011) – ma anche colloqui e scritti su pubblicazioni collettive, riviste. Tra quest’ultime ci sono tre significativi testi pubblicati su ‘la Biblioteca di via Senato’: su Sade nello Speciale marchese de Sade (n. 4, 2015), su La pelle come pagina e raffinato libro d’arte (n. 9, 2015), su Julius Evola nello Speciale Centenario Dada (n. 1, 2016).
Vitaldo Conte ritiene che L’Arte sia Ultima quando l’autore coinvolge la sua stessa vita nell’espressione senza possibilità di un ritorno. Come quando s’incarna nella Rosa rossa corpo lettera di Estremo Amore (ultimo capitolo del libro) che segna il passaggio della teoria nella narrazione. Fra i capitoli da segnalare tre espressioni di cui l’autore è anche protagonista di una possibile riproposta teorico-artistica: Futurismo manifesto di Arte-Vita: ieri e oggi, Il bianco e l’invisibile come arte, Richiami dell’Origine in rumori corpi d’Arte. Quest’ultima costituisce l’ultima sua proposta teorica: il rapporto dell’Origine con esperienze che si ricollegano a istanze, anche estreme, di Avanguardia.
Le poetiche e visioni dell’Arte Ultima, che tendono a cancellare i confini tra evento, espressione, esistenza, fluiscono “oltre ogni genere” prestabilito e unico. Queste creazioni concepiscono, con i loro linguaggi che dialogano, la propria opera d’arte totale, che può divenire anche ambientazione di esistenza, ritualità espressiva ricercante il suo oltre.
L’autore, nella premessa ‘Dispersioni Extreme’ come Arte Ultima, traccia il contenuto ultimo della sua teoria: “Un nuovo destino dell’arte può passare attraverso un destino altro dell’essere. Il nuovo può avere ancora un significato se include un diverso modo di porsi dell’autore verso la propria creazione”. Questa può essere “vissuta” anche nell’esistenza attraverso le sue azioni: “Far diventare sinestetica la vita è un modo per ascoltare il nostro oltre, elevando i gesti, da pura esteriorità e consuetudine, a una ritualità interiore e creativa”.
L’arte, nella sua erranza, ha cercato e cerca sempre possibili estreme latitudini. L’artista può essere “chiamato”, prima o poi, alla prova estrema: quella dello spingersi verso l’oltre. Il suo estremo è la consapevolezza, anche, del proprio limite e di quello di un linguaggio: oltre a questa soglia ci può essere la perdita, il nulla, la morte.
(Il testo... pubblicato su “la Biblioteca di via Senato“ – Milano, febbraio 2017) ‚