Aristotelismo e razionalità nel pensiero arabo classico ovvero la libertà di coscienza.

L'aristotelismo di al-Farabi e di Avicenna (Ibn Sina)era di un tipo
particolare, che Aristotele stesso avrebbe fatto fatica a riconoscere
come suo, e certamente avrebbe ripudiato. Averroé (Ibn Sina) fa invece
epoca nella filosofia europea per aver tentato di interpretare
onestamente l'insegnamento genuino dello Stagirita, e il fatto che
egli non sempre riuscì nel suo scopo non toglie nulla alla grandezza
del suo tentativo. Egli sdegnò di ricorrere a sotterfugi con cui
Aristotele veniva armonizzato con i dogmi religiosi della creazione,
della provvidenza e dell'immortalità. Per lui la scienza e la
filosofia sono una cosa, la religione un'altra. Ciascuna di esse deve
confinarsi nella propria sfera e non intromettersi in quella
dell'altra. La religione è fatta per tutti ed è quindi espressa in
forma e in linguaggio accessibile alle menti comuni, la filosofia, al
contrario, è patrimonio di pochi che possiedono il potere
intellettuale, la disciplina e la preparazione scientifica che essa
richiede. Il filosofo non deve andare a vendere la sua scienza sul
mercato, minando così la fede del semplice credente; la filosofia,al
contrario, è patrimonio di pochi che posseggono il potere
intellettuale, la preparazione scientifica che essa richiede. I
peggiori nemici della fede. I peggiori nemici della fede, agli occhi
di Averroè (Ibn Rushd), erano i teologi come al-Ghazali, che volevano
fondare la le verità sui loro ragionamenti dialettici e sulla loro
pesudo-metafisica, e pretendevano che gli uomini dovessero credere non
solo ciò che era rivelato, ma anche le ragioni che essi assegnavano
alla rivelazione. Questo modo di evitare il conflitto tra filosofia e
religione, non lasciando ad esse un terreno comune dove incontrarsi, è
stato proposto più di una volta, ora a beneficio della libertà di
pensiero e ora per l'immunità della fede della ragione. Presso alcuni
degli scolastici si trasformò in dottrina, quella dell'esistenza di
una doppia verità (anche se Averroè non si pronunciò apertamente in
questi termini), per cui una proposizione può essere allo stesso tempo
vera in filosofia e falsa in teologia e viceversa. In una storia della
filosofia musulmana sarebbe necessario, a questo punto, esporre la
teoria di Averroè sull'unità dell'intelletto. Per gli scolastici
cristiani essa costituiva l'eresia caratteristica dell'averroismo e
come tale fu combattuta da Alberto Magno e da San Tommaso d'Aquino, i
quali, paradossalmente, erano pervasi dall'influenza averroista. Così
anche Dante Alighieri, ammiratore di Ibn Rushd (Averroè) è tributario
delle idee del filosofo arabo-andaluso e ne trae spunto proprio da
quell'Aquinate che sembra condannarle. Ma la dottrina, per cui Averroè
trovò qualcosa di meglio che l'immortalità dell'anima individuale, non
ebbe eco rilevante nella teologia dell'Islam, lasciando tuttavia la
sua grande eredità nell'Occidente latino. Quindi l'influenza
dell'ultimo grande filosofo musulmano fu senza paragone più grande nel
mondo europeo che in quello islamico. L'ostilità dei teologi cercò di
combattere quella che essa reputava corrotta libertà di pensiero dei
filosofi, il quali ritenevano invece superiore la capacità
dell'intelletto e della ragione nei confronti della metafisica. Ciò
nondimeno, i filosofi godettero, nell'Islam classico, un'ampia libertà
di manovra rispetto ai loro colleghi occidentali. Solo nella prima
metà del XII secolo la situazione cambiò e correnti fanatiche si
posero contro la libertà di pensiero. L'aristotelismo arabo, in fondo,
ebbe il merito di riscoprire il valore della ragione in Occidente e
aprire quest'ultimo alle nuove esperienze della scienza e ala nascita
delle idee moderne.
Casalino Pierluigi, 30.10.2015