Abate, Bonfiglio,Crosa e Luraschi alla Galleria Arrivada di Chur (CH)
Renato Barilli
Le due presenze precedenti comparse nel programma della Galleria Arrivada, Andrea Crosa e Battista Luraschi, hanno illustrato come meglio non si potrebbe il versante aniconico del Nuovo Futurismo, o quanto meno nelle loro opere è rintracciabile il minimo di figurazione che resta ai margini di un oggetto funzionale e che ne consente una qualche ravvisabilità, tanto da poter dire che si tratta di una casa, o di un mobile, o di un utensile, nulla più. Invece nei due protagonisti di questa nuova puntata, Clara Bonfiglio e Gianantonio Abate, le icone sono fini a se stesse, e tutto l’impegno dei due artisti mira alla loro confezione. Ciò detto, però, le rispettive strade dei due differiscono al massimo, e dunque obbligano pure il mio discorso a biforcarsi.
Una strada in togliere (Bonfiglio)
Clara Bonfiglio svuota le sue immagini di ogni materia interiore, le fa passare sotto un rullo compressore, come si stenderebbe uno strato di pasta per assottigliarlo. Diciamo dunque che questa artista si iscrive istintivamente nelle file dei cultori della flatness, lo fa da ancora prima che una parola del genere fosse proclamata, quasi con pretesa di porvi sopra un copyright, dal giapponese Murakami. Del resto, sempre per risalire alla matrice dei Nostri, come non riconoscere che la flatness, magari quando non esisteva ancora il vezzo dell’anglofonia, era carattere fondamentale del duo Balla-Depero? Clara dunque ne è davvero buona e fedele nipote, nel portare tutta l’attenzione al contorno, procedendo a una agile ed elegante sforbiciatura, degna delle ombre cinesi, se non fosse che la perdita di consistenza materica delle varie figure non dà luogo a un triste bianco e nero ma viene compensata da una ardente policromia, stesa anch’essa a tinte piatte, quasi per ricavarne una rutilante segnaletica, un linguaggio da dirsi praticamente ideografico. Lo attesta, in mostra, quel succedersi di mani a dita tese, pronte appunto a prestarsi a una funzione segnaletica. Inseguire un compito stilizzante, astraente nel senso etimologico della parola, vuol anche dire cercare degli schemi grafici opportuni, che siano nello stesso tempo essenziali ma anche gratificanti, morbidi, confortevoli. Da qui la ripulsa dell’angolo retto, che infligge cesure, o addirittura ferite a un proficuo fluire di ritmi organici, ragione per cui risulta assai preferibile il ricorso a contorni flessi, apparentati allo schema del circolo. Siamo ancora una volta nella scia della grande lezione di Balla-Depero, caratterizzata per aver contrastato l’angolo retto, la dura e scomoda legge dei novanta gradi, che Gropius stava imponendo a tutte le avanguardie del tempo. Balla invece voleva che la rigidità del numero strizzasse l’occhio a motivi affettivi, mostrandosi “innamorato”, ed era anche un proficuo tentativo di fondere il maschile e il femminile. Per questa ragione egli non mancò di allearsi col clima dell’Art Déco, che appunto stava facendo del tratto circolare un proprio motivo di fondo, vedendovi la conciliazione tra una mentalità costruttiva e un desiderio di agio e conforto, così portando la funzione ad allearsi alla decorazione, in un vitale connubio, e in questo caso conviene davvero evidenziare il connotato matrimoniale presente nel termine. Non ci meraviglieremo dunque nel constatare che la Bonfiglio, nel suo processo astrattivo, elegge a motivo preferito proprio l’elemento circolare.....
C
http://artestetica.org/articoli/2011/07/renato-barilli-bonfiglio-luraschi-abate-nuovo-futurismo_571.html