venerdì 6 marzo 2015

Racconto surrealista "Il figliastro": di Laura Corsini


di Laura Corsini

 
Il figliastro

Partii da casa con le prime luci dell'alba, tanto il sonno se n'era andato già da un po' e camminare avrebbe aiutato il mio cuore a palpitare a ritmo, ad avere pazienza, a misurare spazio e tempo senza precorrere o bruciare. La città, raggiunta con un breve sfrecciar di treno, era un santo con l'alone rosa sui tetti, uno spettacolo mozzafiato, se si riusciva a non pensare che quel bel colore era donato da un miscuglio di gas venefici che brulicava sulle nostre teste di poveri esseri condannati a respirare. L'ufficio era in un palazzo antico; già l'ingresso, con la gradinata e il portone, metteva una gran soggezione e fuori c'era il silenzio.
“Sono arrivato per primo” pensai con una punta di soddisfazione mettendo in fila le tante cose che, in una lunga giornata che mi sarebbe rimasta, avrei potuto fare. Il corridoio semibuio sfociava in un piccolo atrio dove un usciere alla sua scrivania sonnecchiava, incassato nelle sue stesse spalle.
«Giorno...» gli feci timidamente, tanto piano che quello non aprì neppure un occhio in cambio. Ma non avevo bisogno di indicazioni, la porta bianca, un po' sbucciata, aveva un cartello scritto a mano e attaccato con le puntine che mi orientava, così la spinsi e in un attimo mi trovai in una gialla luce da neon mentre un brusio, un ronzare di voci che a tratti aumentava e diminuiva, senza una logica reale, occupava e saturava l'aria.
«Giorno» ripetei, ma nessuno si voltò. Non ero il primo, la lista delle cose da fare si doveva accorciare un po'. Pazienza. Erano circa trenta persone, sedute a semicerchio e in ordine sparso su seggiole di plastica azzurra, come a far la guardia a un'altra porta, a vetri smerigliati, e a indirizzare incrociando lì le varie attenzioni, seppur con finto disinteresse. Non appena, infatti, l'uscio si schiudeva leggermente come una bocca al suo sorriso, non v'erano terga che restassero appiccicate alla superficie su cui giacevano, ma si sollevavano di qualche centimetro, pronte a scattare all'occorrenza. Faceva capolino quella che doveva essere la segretaria, inespressiva, incolore, inodore, insapore e, con una voce che doveva far molta fatica a usare, pronunciava un nome che spulciava con una breve occhiata da una lista. Il nome corrispondeva a una persona che scattava all'attenti e si infilava nel misterioso antro della Sibilla che si richiudeva con gran fragore alle sue spalle.
«Chi è l'ultimo?» domandai come si fa all'ambulatorio, per prendere la fila.
«Sono io» esclamò un signore coi baffi che si era riadagiato comodo sul suo scranno.
«Ma tanto non vanno in fila, chiamano loro» intervenne una signora con un cagnolino annoiato in braccio.
«Sì, ma un po' ne tengono conto, della fila» precisò una vecchina che speravo non fosse diventata tanto grinzosa e rinsecchita ad aspettare il suo turno. Il brusio riprese. Intanto, dalla porta di ingresso, continuavano ad arrivare persone e i buchi-posti liberi diminuivano. Aspettavo e mi guardavo attorno. Non c'era nulla di interessante, le persone che mi circondavano erano ordinarie, anche se ciascuna di loro vantava, a parole, grandi glorie. Non gli avrei dato un euro, a quella specie di bancario là, invece aveva ottenuto vari premi e riconoscimenti che snocciolava in preciso ordine cronologico a ogni nuovo arrivato. La donna col cagnolino sembrava la perfetta casalinga, eppure sfoggiava sul petto una sorta di medaglia che scintillava donandole un raggio da Sacro Cuore. E il ragazzo senza un pelo sul mento? Appena diplomato alle medie? Ma no, aveva annosa esperienza da come diceva, cercando pateticamente di far la voce grossa.
Quando sarà il mio turno di cosa parlerò? Non ho nessun ornamento da parare... Vabbè si vedrà” e, in questi dubbi, aspettavo. Fortunatamente appartengo a quella generazione che ad aspettare è abituata. Sono nato con una gran fregola addosso, volevo tutto subito e senza indugi, mi scocciava pure stare cinque minuti con “Per Elisa” all'orecchio mentre il centralino mi passava l'ufficio. Poi, invece, a suon di attese, il mio animo si è tranquillizzato e ha fatto dell'indugio non più un mezzo ma un fine. Mentre si aspetta si possono comunque svolgere altre attività, ma quell'aver qualcosa da aspettare dà un senso a tutto, un più alto significato. Non importa se, poi, l'oggetto anelato non arriva mai. L'attesa ha avuto comunque il suo valore eticamente rilevante.
Dalla porta a vetri smerigliati ogni tanto sbucava il naso adunco della segretaria e il cliente, soddisfatto o meno, usciva. Un momento di suspense e poi la donna, sadica nel suo differirne la pronuncia, gettava là un altro nome e un cliente si alzava, si guardava attorno per cogliere negli sguardi il suo trionfo, e andava a prendere il suo compenso.
Cominciavo ad annoiarmi, così, lasciando girovagare lo sguardo, notai due o tre piante davvero tristi, con le foglie penzolanti e giallognole. “Poverine, chissà da quanto non bevono” pensai. Raggiunsi il bagno accompagnato dagli sguardi feroci di mezza platea che credeva che volessi infilarmi nell'ufficio senza essere convocato. Trovai una bottiglietta di plastica gettata a terra, la riempii e cominciai a prendermi cura dei poveri vegetali. Sentivo la loro gratitudine mentre succhiavano avidamente ogni molecola del liquido ed ero doppiamente contento: avevo fatto del bene a qualcuno e avevo impiegato un po' di tempo, circa due clienti. Vedendomi, mentre usciva per la solita incombenza, la segretaria mi fece il dito a uncino, segno che voleva che mi avvicinassi. Altri sguardi feroci.
«Vedo che si annoia» fece in un tono che voleva essere gentile, ma apparve alle mie orecchie sfibrate alquanto crudelmente indifferente.
«Beh, è un po' che aspetto e...» ma non mossi la sua pietà.
«Mi segua» tagliò corto. Si diresse verso una di quelle porticine segrete che si ritagliano nei muri gialli degli antichi palazzi. Si intravedeva solo una minuscola toppa scura, ma lei con decisione vi infilò una chiave, la girò ed entrammo. Mi trovai di fronte il bailamme più assoluto, comprensivo di scartoffie, faldoni con i laccetti aperti, fascicoli sbudellati, fogli di tutti i toni del giallo a tappezzare il pavimento.
«Questo è l'archivio» mi annunciò. Credevo che fosse uno scherzo di carnevale, ma era seria.
«Sa, non riusciamo mai a sistemarlo, qua siam pieni di lavoro. Se lei potesse veder di fare qualcosa... Tanto deve aspettare e quando sarà il suo turno verrò a chiamarla io.»
L'impresa era titanica, ma alzai le spalle e, rimasto solo, cominciai ad affastellare fogli, metterli in ordine alfabetico dentro le rispettive cartelle e queste in ordinata fila nei faldoni. Ogni faldone su uno scaffale. Man mano che procedevo davo anche una bella spolverata. Da lì i nomi pronunciati a voce alta mi arrivavano come eco lontane, ma avrei saputo riconoscere il mio. “Tra poco toccherà al signore coi baffi e poi ci sarò io” mi consolavo, e mi affrettavo perché mi sarebbe dispiaciuto, in tal caso, lasciare il lavoro a metà.
Finii proprio in tempo. L'archivio era un modello da seguire, ora, e lo ammirai soddisfatto nella sua riacquistata identità, ma solo un attimo perché, dalla porticina lasciata socchiusa, avevo visto entrare in ufficio il signore coi baffi.
Mi misi in piedi vicino alla porta come una guardia svizzera, ripetendo mentalmente quello che avrei dovuto dire, rapida ricontrollata dei documenti da esibire che avevo con me. Le lancette cadenzavano quei momenti infiniti, poi la segretaria sbucò dietro all'uomo baffuto che andava via, mi gettò un'occhiata interrogativa a cui risposi con un'espressione sicura da “tutto finito” e lei, tranquillizzata, esclamò un nome che mi fece battere il cuore solo per un secondo, perché non era il mio. La vecchina grinza mi sfiorò passando, con un lampo maligno nei suoi occhietti azzurri.
«Non seguono l'ordine» mi ribadì la signora col cane, mentre il suo raggio si depositava sulle orecchie della bestiola come una meche chiara. E il suo tono era fin troppo soddisfatto. Fu lei la prossima ad essere convocata e, transitando nei miei pressi, mi mise in braccio come un pacco il botolo che ringhiava come se gli si fosse acceso un motorino nella gola: «Me lo tenga, mentre sono impegnata. E magari perché non lo porta un po' nel balcone?» e con il mento mi indirizzò la porta-finestra che introduceva a una sorta di balconata spoglia e grigia. Portai il cucciolo a prendere aria e lo feci contento, finché la sua mammina venne a recuperarlo, di lì a dieci minuti. La segretaria la seguiva.
«Tocca a me?» azzardai ingenuamente.
«Non ancora, ci siamo quasi ma, mentre aspetta, così, lo dico per lei, per ingannar l'attesa, potrebbe dare una pulitina al bagno. Sa, la signora delle pulizie è in ferie questa settimana. Ne terremo conto, della sua gentilezza.»
Strano, non mi sentii umiliato dalla richiesta, piuttosto lusingato che un incarico così di fiducia, tanto delicato, fosse affidato proprio a me. Senza replicare entrai nello sgabuzzino, attesi che un corpulento cinquantenne ne emergesse inondando di violette l'aere e, munito di guanti di gomma e spugna abrasiva, ci diedi talmente bene che, in breve, quella specie di latrina maleodorante sembrò l'amena ritirata di una vecchia zitella. Avevo appena terminato quando le onde dell'etere mi portarono un suono amico: «Bianconi!».
Caspita! Sono io! Sfilai in un nanosecondo i guanti, mi lisciai i capelli davanti allo specchio ed ero già davanti alla porta a vetri dove entrai in collisione con una specie di satellite artificiale altro due metri e venti, uno Schwarzenegger che mi osservò come Terminator quando cercava con i suoi occhi cibernetici il nemico nella notte più nera.
«Bianconi sono io!» mi giustificai.
«Bianconi sono io!» mi fece eco quello con onde sonore più alte dei cavalloni dell'oceano.
«Bianconi è lui!» e la segretaria puntò il dito verso il guardaroba in giubbino di pelle, aggiungendo poi: «Io ho chiamato Italo Bianconi e lei è Mario Bianconi!».
Sospirai.
Seguirono per me altri lavoretti e altre persone che andavano e venivano. Le ore passavano e io ero sempre lì. Oramai non sollevavo neanche più il didietro di quei cinque centimetri quando attendevo l'esclamazione del nome dalla crudele bocca della segretaria. Piano piano mi rannicchiai sulla sedia, a guardare quella varia umanità che mi passava sotto il naso, che faceva le sue faccende e poi se ne andava. Oramai era sera ed eravamo rimasti solo io e un vecchio che masticava tabacco e lo sputava nel cestino, non sempre facendo canestro. Naturalmente fu chiamato e restai da solo nel più assoluto silenzio.
Dai, ci sei solo tu, ce l'hai quasi fatta. Se ti sbrighi riesci anche a prendere l'ultimo treno della sera ed essere a casa alle dieci e cinquanta. Manca poco... coraggio”.
Il vecchio e il suo odore acre uscirono infine dall'ufficio, dopo un tempo interminabile che mi fece friggere pensando a quel treno che dovevo prendere.
Dietro di lui c'era la segretaria, ma non aveva la solita divisa grigio asfalto. Portava il cappotto e la sciarpa. Chiuse a chiave la porta dietro di sé e, prima di uscire, mi salutò gentile: «Buona notte, Bianconi, a domani!».
La luce si spense e restai da solo lì, nella sala d'aspetto buia che diventava sempre più fredda, perché avevano spento anche la caldaia. Mi avvolsi nel mio cappotto di panno, sdraiato su due sedie accostate, senza aver toccato cibo per tutto il giorno, senza aver fatto ciò che avrei dovuto, ma con le ossa rotte per il tanto lavorare, per un attimo temendo che ci avrei trascorso il resto della vita, in quella sala d'aspetto; poi mi assopii non pensando più al treno, alla mia casa che era incredibilmente lontana, consolandomi un po' all'idea che l'indomani sarei stato il primo. Sognai tante facce, gente che mi voleva fare a pezzi per mangiarmi, occhi famelici e la segretaria che rideva sguaiatamente e mi frustava gridandomi: «Lavora, schiavo!».
Mi svegliai con un brusio noto. Le facce del sogno erano tutte lì, almeno una trentina, sedute a semicerchio nelle sedie di plastica. Non mi ero neanche accorto che fosse già arrivata tutta quella gente. Un altro giorno di attesa stava per incominciare.


Ferrara, intervista alla scrittrice Laura Corsini: Psiche nel Post Reale



(Laura Corsini intervista) a cura di Roby Guerra

D -  Diversi romanzi di carattere psicologico esistenziale, un postrealismo raffinato, esatto?
Ciao Roby, sì, hai colto nel segno. Esaminare la psiche umana mi ha sempre intrigato. Sarà perché di “matti” nella mia vita ne ho incontrati tanti. Mi piace sviscerare le patologie, anche quelle nascoste, che ammalano la nostra anima di uomini moderni; non a caso adoro Pirandello e Svevo, quella loro antesignana capacità di cogliere la miccia della follia anche in un soggetto apparentemente sano e la sanità in una personalità disturbata. Per quanto riguarda l’aggettivo “raffinato” ti ringrazio. Sono i miei studi i responsabili, a volte credo che sia una condanna esprimersi in maniera corretta nell’epoca della lingua sbrodolata e approssimativa, ma non posso fare altrimenti, non so scrivere in altro modo che non sia questo

.

D-   Più nello specifico, una mini autobiografia, evntuali "modelli" d'ispirazione?
On c’è molto da dire su di me, non scriverei mai un libro su una persona come Laura Corsini, schiva, poco avventurosa, tranquilla e solitaria. Dalla vita assolutamente insipida. I modelli dei miei personaggi sono gli incontri quotidiani, gli ascolti che mi piace fare. Quando devo scrivere di un personaggio io cerco, tra la folla, uno con il suo stesso viso, i suoi gesti, la sua voce. Poi lo trovo e di nascosto lo esamino e scruto. Ho anche modelli letterari e cinematografici. Io amo molto il cinema e quando scrivo mi vedo già davanti il ciak e la scena. Le storie migliori si pescano per la strada.



D-   Recentemente, anche una vera e propria biografia per il "personaggio" Kitty Vinciguerra...
Collaborare con Kitty è stata un’esperienza gratificante. Anche se ho dovuto “piegare” la mia scrittura a una storia già esistente. Ma, come sappiamo, c’è differenza tra fabula e intreccio e Kitty è stata talmente generosa da lasciare a me tutta la costruzione del secondo, così che la storia, rielaborata, diventasse mia quanto sua. Chi sta leggendo Kitty ad ogni costo dice “credevo che il libro sarebbe stato noioso come tante biografie di personaggi famosi. Invece è avvincente, è un romanzo”. Certo, l’intento di uno scrittore è coinvolgere, non lasciare mai il laccio che tiene il lettore legato al suo libro, o lo perderà. Avvincere e appassionare è la mia maggiore ambizione. Poi, se la storia è bella, ci si guadagna tutti.

D-  Esiste una peculiare letteratura al femminile o mito ancora fallocratico?
Sì, esiste una letteratura femminile, già da diverso tempo, ma non ne faccio parte. Per me la letteratura è cultura e universalità. Pensa che in “Non si dispensano tartase” mi trasformo in un uomo per narrare una storia tutta maschile e per farlo ho osservato decine e decine di maschi, che sono poi riassunti nel mio Guido. Non sono una femminista, non sono arrabbiata col fallo né ne sento la mancanza e sono contenta di essere donna. Non invidio nulla all’uomo, come credo che un uomo non dovrebbe invidiare nulla a una donna. Esistono scrittori bravi e scrittori mediocri, uomini o donne, senza distinzione. Non mi riconosco in nessun filone. Scrivo, questo è tutto.

D – Progetti e un sogno per l’avvenire?
Dovrebbe a breve uscire “Ritorno a Canossa”, romanzo dedicato a uno dei personaggi della storia che mi affascinano di più, la contessa Matilda di Canossa. Questo è il progetto più imminente, poi si vedrà. Sogni e aspirazioni? La serenità, continuare a essere in pace con me stessa e riconoscermi allo specchio. Oltre a vedere una delle mie storie diventare un film.

*Laura Corsini ha edito diversi libri, vedi link IBS, tra essi Tutti gli incontri possibili e  Kitty ad ogni costo (con Kitty Vinciguerra- biofrafia) per DavidandMarthaus edizioni;  Non si dispensano tartase (Ediz. 6pollici), Il cuore a volte cammina all'indietro (come i gamberi), Universitas Studiorum (vedi photo)
Info




Guire - Life card (Official Video - Soulove Rec/Delamix)

*segnaliamo da DJ Agfhan, nuove produzioni del noto musicista DJ e produttore discografico under/overground

Brand new video 

Guire - Life card (Official Video - Soulove Rec/Delamix)




--
SouLove Records
Ferrara
Andrea Malservigi aka Dj Afghan
Booking Manager

E-mail : djafghan@gmail.com

Reggae - SouLove Sound, Strike (IT), Skarra Mucci (JA), YT (UK), Paulinho (IT), Winston Francis (JA), Dennis Bovell (UK), Forelock (IT), Arawak (IT), Navigator (UK), Tenor Fly (UK), Gappy Ranks (UK), Tippa Irie (UK), Macka B (UK), Solo Banton (UK), Anthony Johnson (JA), A.J. Franklin (JA), Little Roy (JA), Al Capone (JA), Marumba (IT), Mad Professor (UK), Ranking Joe (JA), Deadly Hunta (UK),Michael Prophet (UK), Trojan Sound System (UK), Earl 16 (UK), Rod Taylor (JA), Anthony John (JA), Denial (UK), Lp International (USA), Wadada Sound (IT), Delamix Dubmaster (UK),  and many more.
Jungle - Benny Page (UK), Serial Killaz (UK), Nicky Blackmarcket (UK)
David Rodigan MBE (UK), Bitty Mclean (UK), Jah.9 (JA), Mighty Crown (Japan), Massive.B (USA), Black Chiney (USA), Rory – Stone Love (JA)

Evola, Eros, immaginazioni integraliste

FRA IMMAGINAZIONI INTEGRALISTE Eros nel Virus-Evola di VITALDO CONTE* docente Accademia Belle Arti, Roma L’attuale presente è gravido di rigurgiti integralisti, religiosi e di pensiero. Umberto Eco (L’Espresso 9 ott. 2014) parla del “progetto fondamentalista che si propone di islamizzare tutto il mondo conosciuto, arrivando sino a Roma”, che induce a pensare che “le grandi minacce transculturali vengano sempre da religioni monoteiste”. Le espansioni dei Greci e Romani non erano ricercate per imporre i propri dei, ma per preoccupazioni territoriali ed economiche. Quando incontravano nuovi dei, li integravano con i loro: “I primi Cristiani sono stati martirizzati non perché riconoscevano il dio di Israele (...), ma perché negavano legittimità agli altri dei”. Nessun politeismo hai mai espresso una guerra di dimensione ampia per imporre le proprie divinità. I monoteismi, che hanno scatenato guerre sante per affermare un unico dio e sradicare un culto, sono prevalentemente quello islamico e cristiano. Questi credi totalizzanti, in un qualche modo, hanno avuto come preoccupazione la repressione dell’alchimia vitalistico-rituale dell’eros e della donna. Basta ricordare la paranoica, morbosa individuazione della presenza diabolica, che ha giustificato inquisizioni, roghi di ogni tipo, la caccia alle streghe. Un’equivalente di questi monoteismi sono state le grandi ideologie laiche del ‘900.

Gli integralismi verso le aperture dell’eros e le ricerche del dio in noi, ritornano oggi sotto varie spoglie. Come rintraccio su un testo uscito sul sito dell’edizione Effedieffe (tra collaboratori spicca Piero Vassallo), espressione del tradizionalismo cattolico, che si propone di “combattere la battaglia”, sia formativa che informativa, per la difesa del Cattolicesimo e della Chiesa. Lo scritto a cui mi riferisco è Il Virus Evola (parte 2, 3 gen. 2015): è “costruito” mixando realtà romanzate, chiacchiericci, ipotesi non documentabili o approssimativi (vedi Maria de Naglowska), elementi oggettivi talvolta però indirizzati. L’estensore è Roberto Dal Bosco, autore anche del libro-crociata Contro il Buddismo. Il volto oscuro di una dottrina arcana, il cui titolo riassume il contenuto. Ho letto il sopraindicato scritto, non per il valore scientifico, ma come indicazione del suo contesto integralista. Un esempio di decontestualizzazione è nella presunta ammirazione di Evola verso Crowley come collegamento satanico: in Metafisica del Sesso ne parla sì come di un uomo possedente una forza reale che chi entrava in rapporto con lui avvertiva. Ma risulta assente un’indicazione successiva: che proprio “tale circostanza crea una pregiudiziale nei riguardi dei suoi insegnamenti, nel senso che è difficile stabilire in che misura certi eventuali risultati erano dovuti a procedimenti oggettivi e fino a che punto avevano invece per condizione” il suo particolare magnetismo.

Un’ulteriore assonanza lussuriosa-luceferina, tra i due, è intravista nella comparazione di due quadri: La genitrice dell’universo (1968-70) di Evola con un’immagine del pittore Lorenzo Alessandri, definito para-satanista, che è stata scelta per la copertina de La figlia della Luna, romanzo di Crowley (‘29), per l’edizione italiana (Arktos, 1983). Il rapporto, contenutistico e simbolico, evidenzia viceversa le diverse visioni della magia sexualis. La donna evoliana è un manifesto visivo delle peculiarità dell’eros femminile: ha le gambe immerse fino alle ginocchia, dentro l’ondulazione orizzontale dell’acqua, simbolo dell’archetipo femminile, opposto a quello verticale del maschile. Gli occhi sono circondati da due globi cerulei. L’azzurro acqueo trascende schiarendosi verso il cielo: all’interno di un grande sconfinato triangolo rivoltato in giù, che si amplifica gradualmente verso l’alto, partendo dal triangolo ricavato dalle linee del pube femminile, il cui segno arcaico è lo stesso della Donna e Dea o Grande Madre. I triangoli rappresentano la luminosità della forza ascetica. Il nudo della ragazza dipinta da Alessandri, con i suoi simboli oscuri e lunari, è l’espressione di un artista fantastico e surrealista, anche se attraversante il macabro e l’occulto. Questi giocava spesso con il satanico, talvolta per far lievitare il prezzo dei suoi quadri. La cronaca racconta che fosse fedele di Padre Pio e Madre Teresa di Calcutta e che donasse in beneficenza parti della vendita dei suoi lavori.
Ciò che risulta significativo, nel citato testo, è la relazione tra la sua chiusura – “Per questo c’è un lavoro da fare, è quello di liquidare per sempre questa triste e indecifrabile pagina del pensiero europeo, e ricominciare dal fondamento: Cristo e la Sua Verità” – e il suo attraversare Evola. Diverse sue espressioni risultano infatti carenti di sensibilità cristiana: “oscuro esoterista paraplegico”, “barone handicappato”, “un uomo che stava in carrozzella forse per gli effetti a lungo termine di un’infezione luetica”. Un percorso di scrittura che connota eloquentemente il proprio stile. Svilire Evola è diventato però oggi un virus di moda, contagiante anche qualche presenza in passato vicina al suo pericoloso pensiero.

Nello stesso scritto si cita l’articolo ­– Il barone Evola e Moana Pozzi, la pornostar che sdoganò il filosofo nero – di Renato Berio (Secolo d’Italia 15 sett. 2014), che scrive: “Da ideologo nero ad autore prediletto da Moana Pozzi (...) Moana lo citava con una frase che in realtà era stata a sua volta resa celebre da Giorgio Almirante: “Vivi come se dovessi morire subito, pensa come se non dovessi morire mai”.”. L’associazione Moana Pozzi, attraverso Mauro Biuzzi, ne ha preso umoristica distanza, segnalando l’articolo con una menzione speciale al PremioMoanaPozzi, in quanto il rapporto descritto è quello di “una coppia italiana davvero impresentabile e futurista, meglio di Mori/Celentano e anche degli Addams. Imbattibile!. Il motto, come spiegato nell’introduzione a La filosofia di Moana (’91), è di Seneca che lei aveva tratto da un articolo di Evola. L’Eros-Virus-Evola ha il potere di liberare dunque anche le morbosità immaginali degli integralisti.

*da IL BORGHESE Marzo 2015


Firenze, Padre Ciolini e La Fede Pensata, con Massimo Cacciari...


Commemorazione P. Gino Ciolini
LA FEDE PENSATA Padre Ciolini nella Chiesa fiorentina, a cura di Marco Vannini, Le Lettere, Firenze 2009.*
Nella seconda metà del Novecento, mentre il nostro paese viveva la secolarizzazione e la scristianizzazione di massa, a Firenze alcuni intellettuali, ecclesiastici e laici, hanno giocato un ruolo importante per adeguare il cattolicesimo alla società attuale.
Tra essi, figura particolarmente significativa è quella di padre Ciolini, uomo ben saldo nelle radici cristiane ma impegnato a trovare ragioni moderne per la fede antica, in costante dialogo con la filosofia e la scienza contemporanee. Di questo impegno, i “Convegni di Santo Spirito”, che per un quarto di secolo hanno riunito a discutere il meglio della cultura italiana, rappresentano il frutto più bello e duraturo.
Il presente libro, che raccoglie testi, anche inediti, di padre Ciolini e testimonianze su di lui, vuole essere un omaggio alla sua figura e un contributo alla storia recente della “religiosa terra fiorentina”.
Gino Ciolini (1919 - 2005) agostiniano, per oltre sessanta anni presente nel convento fiorentino di Santo Spirito, ha insegnato a lungo religione al Liceo Michelangiolo, teologia allo Studio Teologico, entrambi di Firenze, ed all’ Augustinianum di Roma. Autore di numerosi studi su Agostino e sull’ agostinismo, ha diretto i sedici volumi della Collana “Convegni di Santo Spirito”, nella quale sono anche diversi suoi contributi.
* Il libro viene offerto gratuitamente in Palazzo Vecchio dagli amici di p. Ciolini.