Marx to Market....

MARX TO MARKET: ESORCISMI DENIGRATORI AL POSTO DI UN’ANALISI. COME TENTARE DI SFUGGIRE ALLA REALTA’ ECONOMICA.


L’articolo de Il Fatto Quotidiano, che Davide Benincasa ha invitato a leggere nella propria mail, merita di essere accompagnato da alcune avvertenze critiche.


Nessuno mette in discussione la correttezza della battaglia che Il Fatto quotidiano conduce contro la casta politica che domina l’Italia, ma non tutte le opinioni del quotidiano possono essere condivise, ne’ l’opera di tutti i collaboratori si pone sullo stesso piano di acume e plausibilta’.


E’ proprio il caso di Roberto Marchesi, che si accredita esperto economista, commentando, en passant, l’opera di  Thomas Piketty “Il capitale nel XXI secolo”.


Ci assicura di avere letto una dozzina di articoli sull’argomento e, dopo aver anticipato le sue lodi per J.M. Keynes, appunta piu’ che altro la propria critica su Karl Marx, cogliendo l’occasione per esprimere sull’opera dell’autore tedesco il giudizio tombale di “obsolescenza”.


Sarebbe stato probabilmente meglio se avesse riflettuto con maggiore profondità su quanto gli era capitato tra le mani, ivi compreso lo scritto argomento di discussione.


La tendenza generale di questo momento storico e’ proprio la riscoperta di Marx, ovvero della circostanza che, in termini generali, ci si sta avvededendo che Marx aveva proprio avuto ragione, con le proprie osservazioni critiche dell’Economia politica, sin dal lontano Ottocento.


Sin d’allora Marx aveva rilevato che il rapporto di produzione capitalistico genera inevitabilmente le basi della propria distruzione e fa questo sotto forme diverse e concorrenti, di cui esempio manifesto e’ la obbligatorietà di crisi cicliche che polverizzano il valore accumulato da una parte dei capitalisti e riducono alla miseria i lavoratori.


Marchesi, pur avvedendosi della attuale riscoperta di Marx, e’ principalmente spaventato dalla possibilita’ che la critica dell’economia politica, formulata ne “Il Capitale”, possa dimostrarsi nella sua interezza del tutto corretta, perche basata su una analisi oggettiva, e cerca di esorcizzare il demonio con frasi, atte, secondo lui, ad evitare uno studio odierno paziente e serio, che metta a confronto le analisi marxiane con le analisi delle dottrine economiche, basate sul soggettivismo, che han sostenuto sino ad oggi, a piene mani, i difensori economici del Capitale Finanziario.


Marchesi non si e’ accorto che proprio queste teorie si sono dimostrate scientificamente sbagliate e del tutto fallaci, ed in particolare che il proprio sostegno al Keynesismo, e’ del tutto inopportuno dopo il crack delle tesi keynesiane su vasta scala, avvenuto negli anni ottanta.


La dottrina di Keynes aveva imperato ovunque e, in Italia, in partricolare, era stata adottata dagli stessi politici di sinistra e dai sindacati. In conformità con questa teoria, che sosteneva che lo Stato doveva spendere soldi perche’ automaticamente si produceva ricchezza nuova e che non ci si doveva preoccupare del deficit di bilancio, perche’ automaticamente si sarebbe tutto risanato, gli stati cominciarono la loro lunga strada verso l’indebitamento totale.


Marchesi e’ sconcertato dal fatto che, in tutto il mondo, si estenda la protesta contro il capitalismo e, lungi dal rendersi conto che, di fronte al capitalismo che vacilla, le larghe masse hanno ben il diritto di chiedere che finanzieri ed industriali vengano assoggettati alla stessa responsabilità che hanno i lavoratori per i disastri che determinano e che paghino i loro debiti sociali con il trasferimento della loro proprietà alla società intera, avanza la storica lamentela del piccolo produttore impoverito: redistribuiteci il reddito, con le tasse strappate del denaro, e datelo al piccolo imprenditore ed al piccolo commerciante!


La geremiade e’ rivolta al governo di turno, senza la specificazione che il politico al potere e’ del tutto subordinato agli interessi del Grande Capitale e che (come e’ successo sempre invariabilmente) le tasse per l’operazione, vengono strappate inevitabilmente dal piccolo peculio delle masse lavoratrici.


Marchesi pare ignorare che la propria soluzione non e’ una novita’ del ‘900, ma che, nella identica sostanza, sia stata anticipata nell’Ottocento da Sismonde de Sismondi e da Malthus, prima di Marx, e successivamente ripresa da Keynes.


Alla logica domanda, se Karl Marx non avesse avuto proprio ragione nella sua analisi del capitale, Marchesi riporta in sintesi il parere di alcuni economisti, chiamati a rispondere alla questione da parte del New York Times, condividendo il contenuto di tre di loro.


Michael Strain, tra questi, indulge nella lode della ”libera imprenditorialita’”, da tradurre piu’ esattamente nell’azione del piccolo capitale, che avrebbe ridotto al solo 5,4 % la fascia di persone povere sussistenti con un solo dollaro giornaliero, che, a livello mondiale, nel 1970 era del 26,8 %.


Lo strepitoso risultato non menziona ne’ a quale “dollaro” si faccia riferimento (se a quello del 1970 quando valeva mediamente 625 lire, oppure ad un dollaro ponderato nel tempo), ne’ ora, per il restante 21,8 %, con quanti dollari giornalieri i poveri riescano a sopravvivere)


A Strain ed a Marchesi, che non sembra abbiano mai messo effettivamente il naso tra la gente povera del mondo, sfugge la differenza fra la povertà relativa e quella assoluta, in funzione della quale non e’ per nulla detto che chi oggi sopravvive con 10 dollari al giorno non fosse in grado di sopravvivere meglio ieri con soli 5 dollari.  


Yves Smith, alla stregua di Strain, si appoggia alla classe media di cui auspica una ripresa nella crescita dei profitti. In verità e’ proprio il capitale finanziario che ha operato una profonda modificazione della classe media, cioe’ del piccolo capitale.


Una parte considerevole della classe media e’ stata proletarizzata in mille forme, resa nella sostanza identica al proletariato di fabbrica. E tale trasformazione e’ penetrata solidamente nella campagna (fatto impensabile ai tempi di Marx).


La Smith come Strain come Marchesi non si accorgono delle trasformazioni avvenute nel mondo contemporaneo, le quali, pur essendo macroscopiche, non sono gigantesche come appare loro l’effetto classico della crisi, inclusa la rivolta delle masse. Per questo e piu’ semplice cercare spiegazioni alternative alla insubordinazione dei popoli, quali la ineguale distribuzione del reddito, rispetto alla pura e semplice verità, un poco piu’ profonda, che il sistema sociale e’ basato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e che la diseguaglianza dei redditi ne e’ solo l’ultima conseguenza.


Mario Zisa  *by  Beppe Grillo '98 Meetup