Oltre che da un punto di vista psicologico e politico-satirico, L'Apocolocyntosis di Lucio Anneo Seneca è preziosa anche come espressione del gusto letterario, di un gusto e di una maniera di stile particolari nel contesto della già pur vasta produzione degli scritti di Seneca. Attraverso tale opera suggestiva, scopriamo un lato assai significativo, se non il più felice del percorso letterario e filosofico dell'autore latino. L'Apocolocyntosis è una sicuramente una satira "menippea" e tale definizione ha senso fino a che essa vale come comodo tipo di struttura esteriore da identificare. Quando però ci si muove dalle satire di Luciano di Samosata per giudicare in termini menippei Seneca si deve ammettere la precarietà critica, se non l'illegittimità, di una tale lettura. Se nell'Apocolocyntosis vi è un'ascesa al cielo, un concilio degli dei, una discesa agli inferi, temi cari alla satira lucianea o menippea come si dice. Si può ben affermare per componimenti simili non esiste un genere letterario, esiste solo il genio letterario, quello di Seneca. Chi studia questa straordinaria opera di Seneca individua molte diversità rispetto al metodo menippeo: non è un caso che nella satira di Seneca non si trovano allegorie, né si danno finti nomi ai protagonisti, neppure intenti di critica sociale: i personaggi, a cominciare da Claudio conservano il loro nome e ripetono il loro stesso ritratto fisico. L'Apocolocyntosis ci richiama senza dubbio quella produzione satirica in auge nella Roma contemporanea incentrata nel libello polemico: di tale intreccio, della rapida e sapiente costruzione, delle trovate si può qui tacere, perché, data la brevità e la vivacità del componimento, il lettore gusterà subito da sé; si può osservare peraltro come sia abile l'autore nel passare da una scena all'altra, dalla terra al cielo, dal cielo alla terra e quindi agli inferi, senza preoccuparsi di espedienti o altri mezzi, sicché l'azione ha in complesso un andamento veloce ed essenziale, che si nota specialmente negli ultimi tre capitoli. Il secondo paragrafo dell'ultimo è piuttosto estraneo alla questione del genere satirico: in questo caso si può ben concludere che la satira desinit in minimum, come un mimo che si dissolva, all'improvviso nel nulla. E del mimo il libello ha spesso gli andamenti e gli sbalzi. Alla bizzarra composizione corrisponde un impasto linguistico ed uno stile nelle parti prosastiche, abili saggi o parodie e ricalchi di toni elevati nelle parti versificate, gustose ed ironiche citazioni ed adattamenti periodici da "classici": e anche quest'ultimo tratto nel genio inventivo di un vero artista come Seneca. Non è qui il momento di dilungarci sulle tematiche linguistiche del lavoro dello scrittore e che rinviamo ai filologi. Vogliamo invece soffermarci sulla trasformazione in zucca o meglio sulla zucca che anche presso gli antichi veniva accostata alle teste più dure ed insulse, senza nulla togliere alle pregevoli qualità salutistiche della cucurbitacea. Già in Dione ci si imbatte nell'interpretazione della parola "Apocolocyntosis" non tanto come trasformazione in una zucca, quanto nella deificazione di una zucca, di uno "zuccone" ovvero di una "zucconeria divinizzata". In altri termini, per terminare, quel bizzarro vocabolo greco, messo lì per essere compreso, ma certo per invogliare lo sconcertato lettore, va interpretato satiricamente e scherzosamente e non etimologicamente, e per questo non bisogna allarmarsi se nella satira non si parla di belle ed insipide zucche e di Claudio in zucca trasformato. E si potrebbe pensare, sempre nella stessa linea, ma più semplicemente, che Seneca abbia preso la zucca come simbolo della grossolana bestialità e all'apoteosi decretata dal senato abbia a risposta con l'Apocolocyntosis di Claudio; quasi a dire: attenzione! Quello di Claudio è un "in...diotimento"!
Casalino Pierluigi, 1.05.2014
Casalino Pierluigi, 1.05.2014