PRIMAVERE ARABE 2013? by Pl. Casalino

Dopo il lungo inverno del terrorismo e dopo le confuse giornate della liberazione dai vecchi regimi, una nuova stagione si sta affacciando nel mondo arabo. Negli ultimi trent'anni l'evoluzione dei Paesi arabi è stata in linea con i cambiamenti suscitati dalla globalizzazione neoliberale. Le primavere arabe, quindi, non sono nate solo dalle esigenze dei quei popoli a lungo repressi da regimi autoritari e corrotti, ma rappresentano la conseguenza locale di una crisi globale. Solo in tale contesto si possono leggere i mutamenti in corso e i limiti strutturali a tale processo difficile, ma ormai irreversibile. Occorre muovere l'analisi dalla questione sociale e dal risultato disastroso dell'infelice applicazione di ricette liberiste, che hanno finito per concentrare nelle mani di pochi  quelle risorse che un tempo erano già di proprietà statali in mano a élites privilegiate. Si ricordi il ruolo dei militari nell'Egitto di Nasser e anche successivamente fino all'inizio dell'epoca di Mubarak, quando per tenere sotto controllo il dissenso la polizia ha assunto una parte egemone, sfruttando abilmente le divisioni e contrasti interni al Paese, al fine di favorire l'ascesa di interessi particolari e del nepotismo. La marginalizzazione delle forze armate ha costretto queste ultime a sostenere il movimento rivoluzionario. Ora i militari stanno riprendendo in mano la situazione, anche se è difficile dire come si ricomporranno le élites che comunque dovranno tenere conto degli interessi di quelle sub-élites popolari rappresentate dai gruppi islamici, anche moderati. Il timore è che si ricreino le condizioni di un nuovo autoritarismo non in linea con una sana riforma sociale e quindi capace di riaprire nuovi processi di radicalizzazione tra militari e spinte neo-islamiche pericolose. Il riaffermarsi di forme dittatoriali o cripto-dittatoriali, nello stile post-coloniale, dall'Egitto alla Libia, alla Tunisia (casi particolari l'Algeria e il Marocco, per i quali valgono altre analisi), comporterebbe una frammentazione vischiosa e ingovernabile nei tempi lunghi. Per comprendere a pieno le rivoluzioni arabe, tuttavia, non si può prescindere dalle scelte economiche e ciò riguarda sia il Nord Africa che le monarchie del Golfo. Anche nell'area del Golfo, infatti, la liberalizzazione economica non ha condotto a al pluralismo e ad una maggiore partecipazione politica, ponendosi in realtà in contrapposizione con la richiesta di diritti umani. Si è formato perciò un deficit democratico che non può essere ridotto al solo fattore dell'Islam, ma anche e soprattutto a quello della rendita petrolifera, all'autoritarismo e alla repressione, con relativa fragilità della società civile, sullo sfondo della rivalità con l'Iran. Senza sottovalutare, al riguardo, la complicità e la inadeguata preparazione dell'Occidente, che, spaventato dall'affermarsi di tendenze islamiche, in realtà finisce per incoraggiarle, sia sostenendo questi regimi, e sia tollerandole laddove, per ingraziarsi sempre tali sistemi politico-religiosi, se ne consente l'esportazione in zone non certo di analoga cultura musulmana (vedi Mali, Tunisia e altrove in Africa Nord Occidentale), al solo scopo di ingraziarsi le scelte energetiche di quelle monarchie.
 
Casalino Pierluigi.