venerdì 6 marzo 2015

Firenze, Padre Ciolini e La Fede Pensata, con Massimo Cacciari...


Commemorazione P. Gino Ciolini
LA FEDE PENSATA Padre Ciolini nella Chiesa fiorentina, a cura di Marco Vannini, Le Lettere, Firenze 2009.*
Nella seconda metà del Novecento, mentre il nostro paese viveva la secolarizzazione e la scristianizzazione di massa, a Firenze alcuni intellettuali, ecclesiastici e laici, hanno giocato un ruolo importante per adeguare il cattolicesimo alla società attuale.
Tra essi, figura particolarmente significativa è quella di padre Ciolini, uomo ben saldo nelle radici cristiane ma impegnato a trovare ragioni moderne per la fede antica, in costante dialogo con la filosofia e la scienza contemporanee. Di questo impegno, i “Convegni di Santo Spirito”, che per un quarto di secolo hanno riunito a discutere il meglio della cultura italiana, rappresentano il frutto più bello e duraturo.
Il presente libro, che raccoglie testi, anche inediti, di padre Ciolini e testimonianze su di lui, vuole essere un omaggio alla sua figura e un contributo alla storia recente della “religiosa terra fiorentina”.
Gino Ciolini (1919 - 2005) agostiniano, per oltre sessanta anni presente nel convento fiorentino di Santo Spirito, ha insegnato a lungo religione al Liceo Michelangiolo, teologia allo Studio Teologico, entrambi di Firenze, ed all’ Augustinianum di Roma. Autore di numerosi studi su Agostino e sull’ agostinismo, ha diretto i sedici volumi della Collana “Convegni di Santo Spirito”, nella quale sono anche diversi suoi contributi.
* Il libro viene offerto gratuitamente in Palazzo Vecchio dagli amici di p. Ciolini.

mercoledì 4 marzo 2015

Pasolini e il futurismo

Pierfranco Bruni



Scuola e storia. Letteratura, lingue ed etnie nella Grande Guerra: il torto di Pasolini e la ragione del Futurismo
 
 La storia di un popolo è anche la lingua nella etnia di un popolo. La lingua, le etnie nella Prima Guerra Mondiale. È un tema di estrema rilevanza sia linguistica che antropologica il cui percorso non può che passare attraverso quei processi che sono strettamente letterari. La letteratura nella Grande Guerra ha svolto diverse funzioni. Una tra queste è la visione delle contaminazioni linguistiche tra lingua italiana e dialetti.  Pasolini aveva torto quando parlava di una cultura popolare all’interno del mondo contadino caratterizzato dai dialetti con il “meticciato” delle lingue.
Le diversità linguistiche in Italiana si aprono a ventaglio proprio durante la Grande Guerra. Slataper e Stuparic sono un esempio. Come sono un esempio Alvaro e D’Annunzio. Come è un esempio Curzio Malaparte. D’altronde sono gli scrittori futuristi che portano una innovazione linguistica passando attraverso le trincee. Ungaretti è un esempio emblematico come lo è Marinetti ma tutta la “covata” che si forma intorno alla rivista “La Voce” con Papini e Prezzolini.
Pasolini anche in questo non fa storia. Anzi. La sua “passione” e “ideologia” sono la dimostrazione di non aver ben capito il rapporto tra lingua e cultura popolare e contadina con la struttura mentale di un linguaggio proletario. Giuseppe Berto, infatti, aveva ben ragione nel definire la cultura popolare una antropologia dell’anima e non delle cose.  Ma ci sono altri aspetti nel dialogante colloquio tra lingua, etnia e Guerra. 
C’è da dire che il ruolo istituzionale e politico, oltre che formativo, giocato nella Grande Guerra sono stati quei militari che hanno avuto una forte formazione culturale ed hanno avuto la capacità di trasmetterla ai propri commilitoni sia attraverso esempi che grazie ad una dialettica che è servita a far comprendere il senso dell’identità nazionale.
Ci sono stati militari che hanno rivestito non solo gradi importanti nelle loro funzioni, ma anche visioni in cui il legame tra etica e morale è stata significativa. Tra questi va ricordato, nel centenario dell’entrata in Guerra dell’Italia,  una personalità che nato con i gradi di tenente, sottotenente anzi, ed è arrivato a indossare i gradi di colonnello durante la fase che ha portato alla Seconda guerra mondiale.
Si tratta di Agostino Gaudinieri , le cui origini sono etniche in quanto è nato in una comunità Arbereshe, Spezzano Albanese, in provincia di Cosenza. È stato ferito più volte, anche sull’Isonzo, e più volte decorato con diverse croci al merito. Era nato il 28 luglio del 1892.
Un Arbereshe che ha portato alto il vessillo della sua etnicità attraverso il suo amore per i libri, per lo studio dei classici e per la sua passione a custodire testi, documenti e materiale con amore e forte cura.
Un bibliofilo nella Grande Guerra, e di origini Arbereshe. Mi pare che sia un fatto da segnalare con molta forza soprattutto se si pensa che tra i suoi libri, ben custoditi, alla cui costola vi è impresso l’iniziale del suo nome e cognome, ovvero A.G., ci sono testi molto rari.
Oltre a libri sull’arte militare e sulla storia di Roma, sulla storia d’Europa e sulla storia d’Italia sono conservati testi su Parini, Petrarca con prefazione di Leopardi. La figura e l’opera di Agostino Gaudinieri va riconsiderata sia come studioso che è riuscito a legare il rapporto tra cultura classica e quella militare grazie alla sua fedeltà al mondo delle sue radici. La sua etnicità è ben presente anche perché la sua “arte” militare proviene da studi profondi sul rapporto tra la storia Occidente e quella Orientale.
Il mondo Italo – albanese è stato sempre nel suo cammino. Un militare, dunque, la cui identità è Arbereshe, un bibliofilo attento e un classicista che ha saputo legare Parini, Petrarca e Leopardi nella sua formazione culturale scavata in quella realtà che è stata il Regno di Napoli, un Regno di Napoli che ha sempre saputo guardare, culturalmente e militarmente, al Mediterraneo. Proprio intorno allo scontro storico tra Mediterraneo e mondo Anglosassone che si definiscono i modelli culturali.
La Grande Guerra sul piano linguistico è tutta da scavare attraverso delle letture che sono letterarie, ma anche antropologiche e filosofiche. C’è da dire che uno dei maggiori interpreti resta proprio Renato Serra. Il letterato in trincea. L’esame di coscienza di un letterato che diventa l’esame di coscienza di una storia di un’epoca.
Cesellando questi aspetti le prospettive si aprono su tre versanti.
1. la lingua e l’etnia dal Risorgimento sino alla Guerra del 1911 (in questa lettura la presenza di Giovanni Pascoli resta fondamentale).
2. Il linguaggio del Futurismo sino all’Ermetismo oltrepassa il realismo dei Capuana e dei De Roberto compreso Borgese e si ferma al linguaggio che prepara il Fascismo.
3. La lingua e le etnie tra il 1918 e il 1922: da un modello contadino popolare ci si avvia verso un modello proletario – ideologico.
Dunque la lingua e le etnie hanno avuto un ruolo fondamentale. Anche nel linguaggio militare e tra i militari stessi. Qui è chiaro il torto di Pasolini di sprigionare una lingua dialettale popolare prominente dal mondo contadino.
È emblematico il ruolo dei Futuristi nel non avvertire il concetto di popolare come provinciale, ma di considerare i linguaggi e le etnie della Grande Guerra come elementi di una letteratura universale. Storia e lingua, dunque, sono il vissuto di un testamento di un popolo.




La Grande Guerra 15-18: L'ora dei ricordi, a c. di Elisa Ruggiero, con C. Rocchio e altri ricercatori

Redazione 


Segnaliamo tra i diversi eventi in atto dal 2014 per il centenario della prima guerra mondiale, il volume collettaneo a cura di Elisa Ruggiero :
L’ora dei ricordi. Cent’anni dalla Grande Guerra, edizioni Aracne (9-2014) Contributi e saggi dei seguenti autori:  Adriano Favaro, Mirco Melanco, Silvia Rampazzo, Cristiano Rocchio, Mauro Scroccaro, Paolo Seno, Sergio Tazzer

Un’indagine in occasione del centesimo anniversario della Grande Guerra che mira a valorizzare, attraverso un’eredità culturale e artistica, alcuni documenti e fonti raccolti in cent’anni, restituendoli come granelli corroboranti del vasto repertorio conservato in Italia. Partendo dalla presentazione del CEDOS Centro di Documentazione Storica sulla Grande Guerra, l’opera prosegue raccontando le vicende d’uomini, autori e paesaggi visti attraverso la fotografia, il documentario cinematografico, le avanguardie artistiche e le pagine di letterati. Un percorso interdisciplinare, esemplificativo nel metodo, che offre tracce e notizie inedite nel tempo della memoria. 

Segnaliamo, in questa notevole e originale antologia, come si evince dall'incipit editoriale dedicata anche alle avanguardie artistiche e letterarie "contemporanee" alla prima guerra mondiale,

tra gli autori il filosofo Cristiano Rocchio per certa sua peculiarità futuristico sociale...

INFO ARACNE EDIZIONI

martedì 3 marzo 2015

La storiografia araba delle Crociate



Sulle Crociate e sul loro significato storico ed economico è stato scritto molto e ancora si scrive in Occidente e nel mondo arabo-islamico. Il concetto delle Crociate come di un fenomeno storico a sé stante, con una sua articolata e spessa monografia o nel quadro di una generale periodizzazione della storia, è peraltro estranea alla storiografia musulmana. Tale estraneità deriva da una mancata e compiuta valutazione da parte araba fin dal tempo stesso di tale evento straordinario. La causa di questo errore da parte dell'Islam, nella valutazione di un fenomeno storico di cui esso fu dapprima vittima, poi tenace difensore, poi avversario accanito, e, infine, vincitore, sta soprattutto nell'indifferenza, nata da un complesso di sprezzante superiorità, con cui i musulmani guardarono sempre, salvo poche ed illuminate eccezioni, anche risalenti alla stessa epoca in questione, al mondo occidentale, alla sua storia e cultura medievale (e non solo), in contrasto con il così profondo interesse da essi manifestato verso le culture e le civiltà d'Oriente. Tale contrasto nel loro atteggiamento risulta assai chiaro paragonando la storiografia araba delle Crociate con quella musulmana in genere (in particolare quella persiana) sui Mongoli, che, venendo dall'altro capo del mondo, invasero il territorio dell'Islam nel XIII: avvenimento che resta nella coscienza collettiva arabo-islamica come un autentico "flagellum Dei", a causa dell'orribile e terribile devastazione che provocò con la sua occupazione e distruzione (un qualcosa che assomiglia molto alla sciagurata esperienza del cosiddetto Califfato dei nostri giorni, che nel nome di un Islam distorto, sta gettando la terra mesopotamica, culla della civiltà mondiale, in uno scenario di barbarie senza precedenti, superando gli stessi eccessi dei mongoli). Se l'invasione mongola fu raffigurata da cronisti attenti come un momento eccezionale e terribile e fu descritta con consapevole e intelligente analisi, le Crociate non trovarono analoga spiegazione critica: da un lato sottovalutandone la portata e non comprendendo a pieno il significato e la prospettiva storico-politica successiva., Uno ricerca deludente, quindi, che non andò mai oltre la curiosità, lasciando spazio ad interpretazioni non scientificamente esaurienti. Solo di recente gli studiosi arabi hanno cominciato (grazie ad una più specifica e profonda rilettura delle fonti originarie) a rivisitare quel periodo, rintracciandone motivi di più meditata analisi critica. Tale progressivo rovesciamento di pensiero si accentua, rilevando anche una miglior valutazione degli eventi in argomento. A questo proposito emergono quei difetti del "particulare" che Machiavelli individuò nella politica italiana del Rinascimento: e vale a dire gli scoraggianti comportamenti di emiri locali, che esultavano per le vittorie dei Franchi contro i loro vicini e correligionari e concorrenti. E persino Saladino, al quale spesso fu tributato un ossequio servile anche da parte dei suoi cortigiani (e non solo dagli storici contemporanei) mise l'accento sulla tenacia, lo spirito di sacrificio e il valore dei suoi avversari cristiani. Questa ritrovata obiettività andò però, di fatto, scemando in seguito all'affievolirsi dell'apologia delle vittorie musulmane. La riscoperta e lo studio di tali successioni resta comunque un fondamentale motivo di incoraggiante speranza accademica nel mondo islamico, il quale non può che sposare finalmente quel realismo critico della storiografia araba che promosse il massimo maestro di questa scienza che fu Ibn Khaldùn.
Casalino Pierluigi, 28.02.2015

Quale volto dell'Islam?

In questi giorni l'Islam non gode certo buona stampa, anche aldilà dei suoi stessi demeriti. Le cronache quotidiane ci presentano un volto dell'Islam tutt'altro che rassicurante e sotto certi aspetti assai pericoloso per la pacifica convivenza: in altri termini rappresenta un problema grave per l'ordine e la sicurezza pubblica internazionale. A tale aspetto chi scrive ha dedicato qualche tempo fa uno specifico articolo dal tutolo Mai dire Islam (casalinopierluigi.bloog.it), anche se non ha mancato di argomentare in proposito anche in altre occasioni ed in altre sedi, soprattutto di recente. Ci si domanda tuttavia quale sia il vero volto di questa religione. L'Islam si manifesta nella storia come evento sociale, culturale, politico e anche come un vasto movimento religioso di grande valore. Come le grandi religioni storiche, contiene in sé alcuni innegabili e fondamentali elementi di spiritualità, che trovano il loro fulcro generativo nel Corano e il loro primo sviluppo negli hadith del Profeta Maometto. A tali elementi di base si andranno ad aggiungere, a partire dal VII secolo, alcuni altri valori maturati nelle scuole del sufismo (non sempre visti con favore dall'ortodossia), che costituiranno un nutrito bagaglio di indicazioni e di insegnamenti per una religione e per una ascesi più interiori e universali, al punto che alcune vie spirituali proposte sono simili a quelle del misticismo cristiano. La cristianità latina, dopo secoli di misconoscenza e disistima, ha cominciato a cogliere motivi di un interessante messaggio devozionale nell'Islam. E ciò nonostante le derive fanatiche che l'Islam ha partorito da suo seno, anche in forza di strumentalizzazioni politiche ben individuate nel contesto degli equilibri di forze internazionali e all'interno dello stesso mondo arabo-islamico. La conclusione, peraltro, su tale meditata rivisitazione della natura sana dell'Islam ci venne suggerita qualche decennio fa dal filosofo francese Jean Guitton, il quale, commentando l'enciclica di Papa Giovanni Paolo II, ora elevato agli onori degli altari, Dives in misericordia , mise l'accento proprio su tale tematica di unità e di riconciliazione. "Quello che l'enciclica non dice (sulla misericordia), disse Guitton, e che potrà un giorno completarla, è che essa coincide con uno dei concetti più intimi dell'Islam. Un amico musulmano, colpito dalla intuizione così originale del documento pontificio, mi ha detto:-noi musulmani abbiamo una formula che ritorna in tutte le nostre preghiere e nelle nostre azioni, Bismillahai r-rahmani r-rahimi (Nel nome di Dio, ricco di clemenza, abbondante in misericordia- E uno dei più autorevoli maestri della spiritualità islamica contemporanea, Kamal Hussein, in un'opera su La Città Unica ha espresso l'idea seguente:- Esistono tra stati dell'unione con Dio. Il primo fu manifestato da Mosè e il suo assioma è: se desiderate stabilire con gli uomini rapporti di giustizia, avete lo spirito di Mosè e d'Israele. Se la vostra felicità personale è legata alla felicità altrui (e questo fino al martirio) se volete sacrificarvi per gli altri e rendete onore a coloro che dedicano la propria vita agli alti, allora voi avete lo spirito di Gesù Cristo. Ma se voi ponete la vostra speranza in una misericordia totale, e, pienamente fiduciosi in Dio avrete bandito da voi ogni timore, voi avrete allora lo spirito di Maometto- Ho risposto al mio interlocutore, proseguì  Guitton, che quello che voi chiamate lo spirito di Maometto è contenuto nello spirito di Gesù Cristo, com'è provato nella prima lettera di San Giovanni e in tutta la tradizione dei nostri mistici. Ma la caratteristica dell'enciclica è di avere dimostrato che il legame di Dio con l'uomo implica un legame dell'uomo con Dio, che la misericordia è uno scambio meraviglioso, che essa è, in un certo senso aldilà dell'amore mentre nello stesso tempo ci rivela l'essenza dell'amore; e infine che la nostra epoca di riconciliazione e di ecumenismo troverà le vie dell'unità mediante un ritorno alla sorgente primitiva, la divina sorgente di quello che Teresa del Bambino Gesù chiamava Amore Misericordioso". Tale dialogo appare ani luce lontano dalla attuale polemica forzata portata avanti da una banda di esaltati nel nome di un'Islam caricaturale, troppo caricaturale per essere autentico, salvo il dover concludere che il cuore di questa religione sia ormai irrimediabilmente segnato dalla politicizzazione assoluta del suo messaggio originario.
Casalino Pierluigi, 2.03.2015