domenica 1 marzo 2015

M. Arduini, A. D'Amico, D. Gennai a Firenze per Dialoghi spuri: a c. di C. Giorgetti




Sabato 7 marzo ore 17.30, presso Sartoria Teatrale Fiorentina, P.zza Duomo 2 Firenze , evento Dialoghi spuri in 4 atti Atto I: finzione, ossessione, silenzio:
Con Massimo Arduini - Alberto D'Amico - Delio Gennai.
Un progetto di Chiara Giorgetti

Alcune stanze della Sartoria Teatrale Fiorentina di Massimo Poli si aprono nuovamente al pubblico dei visitatori dopo l'esperienza della mostra Pereživànie (il lavoro dell'artista su se stesso) con la quale si proponeva una singolare indagine sul mestiere e sulla funzione dell'artista parafrasando, nel sottotitolo, uno dei libri di Konstantin Sergeevič Stanislavskij sul metodo di recitazione da lui sviluppato basato sull'approfondimento psicologico del personaggio, nel quale l'attore non imita ma diventa il personaggio che deve rappresentare. Agli artisti invitati era stato richiesto di impegnarsi in un dialogo con gli oggetti e gli arredi del luogo in un percorso espositivo pensato per sottolinearne il ruolo di laboratorio di idee.
Il nuovo progetto denominato Dialoghi spuri in 4 atti intende portare avanti l'esperienza precedente ponendo l'attenzione sull'aspetto della comunicazione verbale, sulle caratteristiche psichiche e sulle modalità comportamentali dell'uomo. Attese, finzioni, cose futili, oggetti misteriosi e pregiatissimi, i misteri della memoria, i racconti e le pause, le zone d'ombra e il cambio d'abito da palcoscenico per rappresentare una parte di sé autentica o falsata sono alcuni indizi dai quali si muoverà la ricerca dei diversi artisti invitati. La parola spurio [dal lat. spurius, di origine etrusca] si riferisce ad un'opera non autentica, attribuita falsamente o erroneamente, non originale e/o non riconosciuta come propria dall'autore, il riferimento è a qualcosa la cui natura non è ben definita, ma rimaneggiata, di un'opera d'arte si dice infatti spuria quando non appartenente all'autore a cui viene attribuita.
Chiara Giorgetti ha invitato alcuni artisti, diversi per formazione, a mettersi alla prova con gli spazi della sartoria teatrale e con i metodi a loro più congeniali in un gioco delle parti in cui ciascuno diventa protagonista e "autore" di una stanza. Il risultato è una serie di eventi che comprendono reading poetici, performance, video, libri d'artista, oltre ad oggetti, disegni e installazioni di vario genere. L'idea è quella di suscitare nello spettatore la sensazione di avere davanti a sé il mondo intimo e personale dell'autore, una stanza emotiva che ha probabilmente tratti comuni con quella stessa stanza in cui lui stesso è rinchiuso, una 'stanza dell'oppressione' di pinteriana memoria ma che al contempo è stanza delle meraviglie, dell'ascolto, della comunicazione e/o dell'incomunicabilità.

La Sartoria Teatrale Fiorentina, situata in piazza Duomo a Firenze, si occupa di costumi teatrali fin dal 1860 ed è la più antica della città. Possiede circa 3000 costumi di varie fogge ed epoche ed una piccola collezione di pezzi originali che vanno da un copri bustino del '700 fino ad abiti degli anni '60 del '900, conservati in grandi armadi dell'800. Di particolare rilievo tra gli altri i lavori realizzati con vari costumisti di fama tra cui Ezio Frigerio e Lorenzo Ghiglia. Qui sono stati realizzati anche i costumi di scena per il corpo di ballo e l'étoile Carla Fracci per il Teatro Comunale di Firenze e i costumi firmati da Elena Mannini, per l'Orlando Furioso di Luca Ronconi, con Edmonda Aldini, Paola Gasman e la giovanissima Ottavia Piccolo, opera pluripremiata e apprezzata in tutto il mondo che portò il regista alla ribalta internazionale del Festival di Spoleto nel 1969. Nel 2005 la Sartoria è stata acquistata dal costumista Massimo Poli che è riuscito a riportare l'azienda ai massimi livelli, rinforzando i rapporti ormai sopiti con la città, forte della sua esperienza professionale maturata anche con produzioni legate a registi acclamati come, tra gli altri, Lindsay Kemp e Misha Van Hoecke.

Il primo appuntamento è con gli artisti Massimo Arduini, Alberto D'Amico e Delio Gennai.
Massimo Arduini presenta Vestiti animati (quasi un reality) un esperimento/messa in scena in cui i visitatori della mostra saranno invitati ad indossare alcuni abiti della sartoria e a farsi ritrarre di fronte all'obbiettivo fotografico dell'artista. L'operazione ricalca la procedura di En-travesti, realizzato per Perezivanie e di cui sarà possibile vedere la versione dell'animazione video realizzata nel 2014, attraverso forme cosiddette di spontaneità, mediate e veicolate da Arduini. Una metafora dell'ovvietà relazionale, mediatica, che sembra pretendere un riscatto visivo e quasi redentorio, ma anche un gioco di ruoli dove l'azione ripercorre avanguardisticamente la pratica artistica fino al mero e semplice gusto edonistico di farsi ritrarre e di abbigliarsi.
Per Alberto D'Amico è l'ossessione verso i supereroi e l'attrattiva sessuale emanata dai loro costumi "disegnati addosso" e realizzati in stoffe superaderenti, a fornire il pretesto per le tre opere presentate. Una passione coltivata fin da bambino quando immerso nella lettura dei fumetti trascorreva ore nel mondo segreto della sua cameretta, desideroso poi di ritrovare nella realtà quei simboli e colori. La richiesta di disegnare bozzetti fatta a diversi costumisti per la realizzazione del video, coincide con il tentativo di rievocare il rapporto conflittuale con la madre, a cui D'Amico chiedeva insistentemente di disegnare i costumi dei suoi eroi preferiti. Vi sono poi due stendardi che uniscono gli elementi formali e cromatici dell'araldica e l'idea della religione e un costume da Supergirl lavorato a maglia e realizzato per una bambina, la figlia, ideale trasmissione ereditaria di una passione-ossessione.
I lavori presentati da Delio Gennai con la loro presenza/assenza, trasparenza e opacità, luce e ombra sembrano fare da contraltari alla odierna civiltà tecnologica. La ricerca di Gennai colpisce infatti per la cura attenta e raffinata nella lavorazione di materiali dalla trama rada che consentono effetti di parziale trasparenza, un fare che rimanda ad un percorso interiore segnato dalla sobrietà, dall'esigenza di silenzio, di pause espressive e di riflessione. Libri illeggibili, impalpabili segni/simboli che con il proprio biancore suggeriscono un'esigenza di contemplazione in spazi ascetici e solitari.

Info:perezivanie@gmail.com
https://www.facebook.com/events/1705514433008346
Sede: Sartoria Teatrale Fiorentina, Piazza Duomo 2, Firenze
www.sartoriateatralefiorentina.it


 

Elena Leone e la saga dei Fannanna


Emilio Diedo/Recensione

Elena Leone

The Foggy family. La saga dei Fannanna

Foto di copertina di Annarita Fortini

Este Edition, Ferrara 2014, pp. 84, € 8,00





Era dall'e-book del 2011 (Strade d'esilio, Este Edition), che la ferrarese Elena Leone, archeologa, attualmente insegnante di lettere, non usciva con una pubblicazione. Stavolta cartacea, ma del medesimo genere narrativo. E sempre della stessa casa editrice.

   È comunque specifica, quest'opera, molto sui generis. Per quanto il sottotitolo richiami una saga (e ciò farebbe intendere che si tratti di trama seriosa, impegnativa, come usualmente ci si attenderebbe da tale tipologia letteraria, sorta di romanzo familiare esterofilo), invece, sfogliata la prima pagina, sembrerebbe che la scrittrice voglia offrire al lettore un fumetto. Genere letterario altrettanto apparente. Anche del fumetto ne mancano i basilari ingredienti: le sequenziali illustrazioni e, caratteristica principale, le 'fumogene' isole dialogiche. La tipologia del fumetto potrebbe apparire verosimile solamente all'inizio e quale elemento molto ma molto residuale. Abbaglio dovuto al fatto che, proprio alla p. 5, che prelude all'immediato, attiguo contesto narrativo, è descritta una scala genealogica (che già dà l'idea dell'esilarante, caricaturale portata del racconto) nella quale, almeno per la famiglia Foggy, protagonista, i principali interpreti vengono riportati, nelle magistrali effigi cartoonistiche di Annarita Fortini, accanto all'indicazione dell'identità e del grado di parentela gerarchica, incluse appunto in una cerchiatura non dissimile dal fumetto.

   Veniamo però ai protagonisti. Sono sei esseri che d'umano hanno pochissimo. E vediamoli: il defunto nonno "Mullernorth Quinto"; la nonna, vedova, "Money"; papà Daivan"; mamma "Intelligence"; i due figli gemelli (molto originalmente "gemini" nel testo), ossia la femmina Fastidy" detta "Fast" ed il maschio "Depression" detto "Dep".

   A pensarli viene subito in mente la comicissima, televisiva Famiglia Simpson («Dep era piuttosto corto […], indossava un'esplosione di colori, con un cappellino rosso fuoco e un paio di occhiali enormi e rossi con la montatura rotonda. Due occhietti neri, vivaci, troneggiavano su un visetto a luna piena carico di lentiggini. // Fastidy era più alta del fratello, una figuretta magra infilata in una tuta nera sportiva, due scarpe da tennis più grandi di lei di almeno due misure con lacci spessi e fluo. Aveva un caschetto di capelli corvini e un colorito grigio, ma sul suo volto brillavano due occhi color smeraldo», p. 23). Nomi idealmente, icasticamente attagliati ad ognuno della famiglia, riflesso delle loro principali peculiarità. 

   Su tale falsariga, il nucleo familiare è arricchito da una serie di ironici mostriciattoli, che rendono il libro squisitamente ridanciano. Eccoli i gingilli del trastullo del quale Elena Leone vuole renderci parte: "NineKeys", "gatto passe-partout", "gatto di strega"; "Orkey", "similpesce, di Troll"; "GigaSguazzo", "animale di specie imprecisata". Perfino la flora è resa protagonista, nelle vesti d'un ficus, "Tabata Mai". Attorno alla famiglia gravitano: "Billy Rubina", compagno di classe di uno dei figli Foggy; "LeGore Nesh", personaggio buffo in assoluto, loro ospite ed inventore del "SuperFrigoAdAutoriempimento (leggasi: autoriempimento dei viveri ivi conservabili)", vero motivo di disperazione dei supermarket. Autentiche sagome, originali cartoni animati, tutti. E lo divengono ancor di più nel loro evolutivo intreccio parossistico, assolutamente assurdo, improbabile, umanamente incoerente.

   Mi si chiederà: i Fannanna, di cui accenna il titolo, dove sono? chi sono? cosa c'entrano con quanto detto finora? Vi svelo subito il mistero. Nonno Mullernorth e papà Daivan certamente lo sono Fannanna. Vedete, l'uno (ormai trapassato) lo era e l'altro (tuttora vivente) lo è, in quanto ambedue dormiglioni della grossa.

   Ragioniamo, per semplicità, sul secondo, su Daivan.

   Cosa suggerisce il nome? Un comodissimo divano, non è vero? Infatti è un personaggio che, appena messo il sedere su qualsiasi tipo di seggiola morbida (che sia un divano, una poltrona, un sedile d'automobile, di treno o d'altro mezzo di trasporto, o qualcos'altro ancora purchessia imbottito) vi si "ingloba" (questo il termine ogni volta usato dall'autrice). E sparisce, letteralmente irreperibile, introvabile, dalla vista di chiunque vi sia vicino; detto fatto. Altrettanto improvvisamente, una volta che venga anche involontariamente toccato, rieccolo comparire. Tric trac: sparito e ricomparso.

   Fannanna non è certamente un cognome (il loro cognome è, come anticipato, Foggy, anche se, nella sua versione in inglese, non ne è molto discosto) e neanche un soprannome ma una specie di sopra-cognome. Quindi per essere un Fannanna occorre esclusivamente appartenere a quell'assonnata catena di persone. E, ahimè, purtroppo per lui, i figli di Daivan sembrano non esservi inclusi (è una specifica domanda che proprio loro, increduli, si pongono, senza darsene una definitiva risposta). Io, da parte mia, direi che non appartengano per niente ai Fannanna.

   Credendo di non aver più nulla da dire, se non fare i dovuti complimenti alla feconda, fantasiosa nostra scrittrice, sto pensando che non saranno tanti ad apprezzare questa recensione. M'aspetto che qualcuno mi dica che faccia addirittura ridere. È qui che vi volevo. Sono contento che sia questo l'esito. Perché anche la narrazione oggetto del mio scrivere fa proprio ridere. Ma ridere da vero e in un senso criticamente buono. Fa un gran ridere, da scompisciarsi, da creparci addirittura. Provare per credere!

   Oh, io non mi vorrei assumere nessuna responsabilità. Voglio dire che sarebbe opportuno cercare comunque di contenersi nel ridere. Insomma, pensateci voi alla vostra salute, se ci tenete alla pelle. Intanto però procuratevi il libro!



www.literary.it 
Emilio Diedo...

Pompei, la Barcaccia, i muri di Roma

 Marco M. Tani

Leggo di una dichiarazione del cittadino Di Battista, deputato pentastellato (Scusate ma la parola "onorevole" mi dà fastidio. Nella rivoluzione francese ci si rivolgeva ai deputati chiamandoli non a caso "cittadini" e non "onorevoli) in cui lo stesso invita a non dimenticare che i tifosi olandesi che hanno danneggiato la Barcaccia di Roma non sono gli unici su cui puntare il dito e contro cui indignarsi. C'è di peggio, avverte Di Battista come se non lo sapessimo. C'è il governo, composto non da hooligans ma da gente con la cravatta firmata che, nel silenzio, sta distruggendo giorno dopo giorno Pompei e i muri di Roma che vanno in pezzi, mentre le spese militari aumentano. Questo, in sintesi, il discorso di Di Battista. Come dargli torto?
Ma, cittadino Di Battista, tutto ciò, ribadisco, lo sapevamo già, almeno noi che continuiamo a indignarci, nel nostro piccolo (che altro non è se non il nostro umanesimo ancora vivo e vegeto nonostante l'assalto dei barbari su tutti i fronti)  anche per la Barcaccia di Roma. Nessuna distinzione dunque fra i barbari della strada e chi, a colpi di leggi, li ospita sempre e indiscriminatamente. Nessuna distinzione fra gli autori materiali di ogni scempio contro la nostra civiltà e quelli che, più elegantemente, si limitano a "favorirne le condizioni". Oggi, se non si è del tutto ciechi, basta  un po' di onestà intellettuale per capire che qualunque "barbaro", holligans o no, tifoso o clandestino che sia, "fa più business" di qualunque cittadino italiano. Nessuna distinzione fra chi lascia crollare Pompei e chi distrugge la Barcaccia non avendo il potere necessario per distruggere di più (come invece ha chi siede in Parlamento con la "cravatta firmata"). Anche perchè chi distrugge Pompei proviene dalla stessa cultura che ha eletto il tifo calcistico a valore in quanto parte integrante della cultura del "business" a qualunque costo (Chiedo scusa anche per la parola "business", non a caso anglosassone. In italiano si dovrebbe usare la parola: 'affari'. E' più che sufficiente a chiarire il concetto). Uso la stessa unità di misura per gli olandesi che ci han fatto capire chiaramente che non sborseranno un euro di danni per la Barcaccia (D'altronde non siamo forse da decenni lo zerbino della cosiddetta Unione Europea ? Perchè dovrebbero improvvisamente trattarci da pari visto che noi di rispetto per noi stessi non ne abbiamo?)  e quelle autorità di Roma che, a quanto pare, hanno alzato le spalle concludendo in buona sostanza: "Meglio questo che tensioni di piazza..." (Spero sempre che certe voci riportate siano bufale ma spesso scopro che, purtroppo, corrispondono a verità). Provo orrore per gli uni e gli altri. Ma il discorso credo sia sempre lo stesso, in definitiva. Smettiamola, cittadino Di Battista, di limitarci a gridare: "Governo ladro!" e "Governo assassino!" Non basta più. Lo gridano tutti, anche quelli che poi questo o quel governo li votano regolarmente. Perchè il popolo italiano non prova a fare un piccolo gesto reale contro questo meccanismo perverso? Perchè, per esempio, non spegne in lmassa la tv quando c'è una partita di calcio e magari in qualche campionato, in onore di Pompei e della Barcaccia, dei muri di Roma e di tutto ciò che per questo schifo sta andando in malora? E' una colpa orribile per un governante lasciar crepare Pompei, per un barbaro di strada distruggere la Barcaccia, ma è una colpa gravissima anche per un semplice cittadino non sapere quanto valgono Pompei e la Barcaccia. Uno dei concetti più complessi da spiegare è il concetto di "inestimabile". Pare impossibile ma è così. Quanto costa il Colosseo? Spiegare che un'opera d'arte può non avere un prezzo... Perchè allora gli italiani non mandano a monte per un momento il business con qualche gesto significativo? Basterebbe azionare qualche milione di telecomandi in meno.  Il popolo lombardo smise di fumare in massa per non pagare una tassa sul tabacco agli Austriaci nel nome dell'Unità d'Italia (Col senno di poi e visto come stanno andando le cose, l'avesse mai fatto, ma al momento era in buona fede quindi lo perdono) Nel nostro contesto storico e politico sarebbe un bel segnale, mi creda! Ci pensino tutti coloro che dimenticando, temo assai presto, Pompei, la Barcaccia e i muri di Roma, si ritroveranno nei vari bar dello Sport a gridare: "Goal!" a squarciagola, coprendo in un attimo il silenzio agghiacciante di Pompei...
 




Futurismo spaziale: un grande arrivederci al Dottor Spock


REDAZIONE 

*estratto da Estense com

...............E' morto il Signor Spock, come era conosciuto da noi l'alieno metà umano e metà Vulcaniano. Leonard Nimoy, che in modo magistrale, per decenni, con le sue orecchie a punta, ha interpretato l'alieno divenuto uno dei simboli della, quasi sicuramente, più importante serie cult della fantascienza mondiale, si è spento venerdì 27 febbraio nella sua casa di Bel Air, vicino alle colline di Los Angeles dopo una lunga e grave malattia ai polmoni. A 83 anni ha lasciato questo pianeta, avendo accanto a se la moglie Susan Bay Nimoy. Lo si ricorderà sempre per aver dato vita a quell'icona fantascientifica che è il vulcaniano Spock, ma Leonard era un artista poliedrico, fotografo, musicista, regista ed anche poeta.........
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Russia, il passato nel suo futuro?

Il misfatto di Mosca, con l'eliminazione di uno dei più importanti oppositori del regime, fa sempre di più assomigliare ad un tradizionale dispotismo orientale che ad un paese con vocazione democratica come spesso il suo leader afferma essere. Non è qui il caso di fare dei processi alle intenzioni, ma sembra che l'evento porti la firma di qualcuno molto in alto, anche se non si può puntare il dito su una persona in particolare. E pur tuttavia il segnale non è confortante e si configura come una riprova che in Russia il processo democratico è ancora lungo, molto lungo. Quando la Russia era zarista e poi quando la Russia era sovietica il modello di potere era asiatico o paternalistico orientale. Con la nuova Russia post-sovietica non è chiaro quale nuovo sistema si stia affermando, perché il vizio d'origine permane ed il suo nome è tentazione totalitaria". Aldilà della facciata, la Russia ritrova quel virus letale per la democrazia che in questi ultimi anni ha rinnovato la sua presa sulle istituzioni e sul comportamento di esse. Se il dopo- Rivoluzione d'ottobre fece dire allo stesso Lenin che il paese si stava avviando ad una restaurazione orientale, il pessimismo del fondatore dell'Urss non fu senza seguito. Lenin sapeva che Marx aveva insistito sulla necessità del controllo democratico di base sullo stato proto-socialista. E si accorgeva che l'involuzione burocratica derivava, purtroppo, la sua ragion d'essere da un fondamento sociale e di pensiero che era nel DNA del potere in quel paese. La nuova burocrazia trascinava la Russia verso una restaurazione asiatica con maggiori strumenti di controllo. La Russia diventerà un'oligarchia di funzionari che dettava legge con un consolidato apparato industriale, che teneva le redini sugli organismi intermedi tra il vertice e il popolo, come i sindacati e le altre organizzazioni di mediazione sociale. Tale sistema restò in piedi fino alla caduta dell'Urss, ma come l'araba fenice è andato risorgendo nelle diverse stagioni del dopo Urss. Un sistema di schiavitù si era infranto, ma non vedeva ancora la luce un compiuto sistema di libertà e i segni di questo stato di cose si colgono ora ancor più chiaramente. Una questione su cui riflettere.
Casalino Pierluigi, 1.03.2015.