martedì 6 gennaio 2015

Ferrara e l’Urban netanalfabetismo

Benito Guerrazzi




Le scarsi basi conoscitive  e mediocrità della giunta PD cattocomunista sono ormai flagranti anche nel semplice trasporto pubblico o semipubblico…  leggi Tram e Bus (con risvolti laterali ma centrali sorprendenti e rivelatori).
Evidentemente chi di dovere non ne sa una mazza, vuoi per mere astrazioni istituzionali, vuoi per mnifilosofie tacite o meno par ambientali.
Gli esiti sono penosi, persino, pur con il solito Totem Local PD di scarse risorse e far quadrare i conti, dannosi economicamente anche in questa il-logica da ragionieri istituzionali.
Ferrara città d’arte e turismo? Ebbene nei giorni festivi, il servizio Tram praticamente penalizza mezza città,  una città inoltre per 2/3 di anziani. 
In Tram per attraversare da Via Bologna a Via Modena e viceversa, con le combinazioni 11 e 6 e viceversa dislocate circa ogni mezzora,  neppure han calcolato in modo decente le finestre ottimali, tra un imbarco e l’altro.  Praticamente  in tutte le aree  possibili dove scendere e completare il viaggio, non esistono coincidenze decenti, anzi si intravede il 6  o l’11  partito circa un minuto prima! Ergo praticamente per tali giri banali in città  s’impegna circa un’ora!!!!
Praticamente si fa prima andata e ritorno Ferrara-Bologna via treno!
Nessuno dei numerologi ha almeno calcolato coincidenze medie, visto il trend comunque ogni 30 minuti,  menu di orari per le coincidenze  5 , 10 minuti, ragionevole, lasciando perdere lo standard festivo dei 30 minuti ogni corsa dei  Tram 11 e 6  in questione.
Evidentemente lor Signori non girano in Tram. 
Né supponiamo in automobile…  In ogni caso  sono ignari della circolazione ferrarese e dei percorsi stessi logistici dei tram  spesso penalizzanti i tranvieri, spesso anche con manovre da stuntman, ad esempio per  altra linea costretta a percorrere Via Fabbri.
Ma anche nel boulevard di Via Bologna, con due inutili ciclabili, ne bastava una, e con molte vie laterali con assurdi diritti di precedenza a biciclette, ancora il tranviere deve improvvisarsi quasi stunt ma e per fortuna sono bravissimi.
Più in generale, una città d’arte e turismo, che a parte in stazione i bus (diversi e molti) che – questa dinamica ben azzeccata (noi siamo oggettivi)  efficaci nel dislocare i passeggi verso il Centro Storico  (Ma Palazzo dei Diamanti ecc.?),  taglia però mezza città dal circolare via Bus in tempi ragionevoli, la dice lunga…. 
Più nello specifico e espandendo il discorso:  altro che ZTL estensiva! Andrebbe ristretta, a Roma si arriva nei pressi del Colosseo persino!  Ok i giorni comunque festivi, ma i giorni feriali, le auto non hanno vie  diagonali ad hoc per attraversare la città,  il Centro Storico stesso enormemente danneggiato da tale andazzo che non invoglia alle soste e alle mete…
E molte più auto cosi girano quasi a vuoto in certo senso nel resto della città, per attraversarla da Est a Ovest, da sud a nord, e così via: più inquinamento quindi…
Ma si sa quando si hanno le sinapsi quasi vegane in Giunta, per opzioni irrazionali paraecologistiche, sognando Ferrara come Pechino solo biciclette,  tempo che ci si decida:
Ferrara è una città o un villaggio?



Per un Dante virtuosamente moderno

Pierfranco Bruni



Dante per viaggiare in un Novecento oltre il moralismo e tra i linguaggi dei simboli a 750 anni dalla nascita superando le “Lecture” di Pierfranco Bruni‏

A 750 anni dalla nascita di Dante Alighieri il Medioevo è memoria. Un Dante dentro la Commedia, ma anche oltre. quell’oltre che è un viaggio nella sua modernità non smarrendo la tradizione. Ogni età ha la sua “Commedia”. Ovvero la lettura di un Dante che ha le cifre di un’esistenza dentro gli archetipi e i paremetri che si vivono in una griglia simbolica.
Nel  Dante di Cosimo Fornaro nella sua “Costellazione Dante” (un testo che risale al 1989) c’è lo scavo nella “costellazione” tra i dubbi e le maschere.
Ci sono maschere pirandelliane e ci sono maschere che portano alla virtù giapponese. Ma la maschera è la traduzione della danza nel gioco triste degli accampamenti achei e nel silenzioso camminamento religioso delle chiese.

Dante è l’Occidente, nel quale riesce a catturare Omero e Virgilio e le stelle della cristianità in un viaggio ancestrale nella cultura islamica di un Mediterraneo diffuso. Ma resta, fino in fondo, Occidente. La lettura di Renè Guenon, nel suo esoterico Dante, è affascinante perché va oltre la “lectura” e inserisce in una “costellazione” la visione sia della storia che del tempo nel cerchio di una magia che è sacra ma non religiosamente appesa alla cristianità.
C’è un Dante che nel suo pellegrinaggio attraversa la cristianità? Didone e Ulisse (Virgilio e Omero) non sono nel mistero cristiano. Sono il mito che si fa mistero. La prova di questa visione è nella dimensione di una contemporaneità grazie alla quale è possibile leggere quella “Commedia” che nasce tra le sponde di una “vita nova” in cui Beatrice è immaginario mariano e non maddeleniano.
Sembra azzardato un tale percorso ma l’esoterismo, di cui parla Guenon e anche la Zambrano oltre che è riscontrabile nella “luce” di Eliade e Zolla è vitale nel concetto di un “iniziato ai misteri”. Iniziato ai misteri non è Agostino ma Omero sì perché non conosce ancora l’inquieta certezza del cristianesimo. Il dubbio pascaliano è nella profezia di Virgilio. Ma Dante resta Occidente.

Cosimo Fornaro nella sua “Costellazione Dante” aveva proposta una lettura dentro un Occidente che ha come frontiera comunicante, divisoria e includente sia il concetto di storia sia quello di tempo sia quello di mistero. Il sufismo è una chiave di lettura altra della “Divina Commedia” ma questo discorso implica una complicità di meticciato tra Dante e Kajjam.
Tra i poeti “della nostalgia” dantesca c’è il Pascoli della “Minerva” in un illuminato bisogno di uno strato escatologico che ha un rinvio alle fonti musulmane.
Maria Zambrano, mutuando questa lettura, insiste sulle “fonti musulmane dell’escatologia della ‘Divina Commedia’” ma colloca tutta la formazione di Dante in un esilio abitato tra i confini di Occidente ed Oriente. Una comunanza che ci porta ad una lettura di un Dante fratello maggiore di Juan de la Cruz. Il gioco non è teologico ma marcatamente poetico ed è un incastro tra luce e tenebre.

La figura di Santa Lucia è una prospettiva quasi alchemica ma in Omero c’è alchimia: non si spiegherebbe diversamente la figura di Calipso come c’è alchimia nel Virgilio che lascia tra le fiamme Didone, le stesse fiamme che si lascia alle spalle Enea.
Ma Dante propone una morale ed è quella morale teologica e non poetica perché la poesia non ha bisogno né di una etica né di una morale ma di una grazia o di una trasformazione del mito in un mistero nel quale la luce e la pesantezza, come diceva Simone Weil, sono le due forze regnanti nell’universo. Ma la Weil si inoltra nella grazia senza usare metafore.
Dante ha bisogno delle Grazie perché ha bisogno di “utilizzare” i processi per capire la storia dentro il tempo. Perché tutto questo? Perché Dante è Occidente.
Ecco, allora l’ermetico – alchemico – esoterico di Guenon al quale, non volendo, fa riferimento anche il Pascoli della poesia “L’Immortalità” o il Cardarelli che mutua Dante da Leopardi. C’è sempre una discesa agli Inferi che però condurrà (Zambrano) verso l’aurora. Ciò è nel Dante del “Convivio” ma soprattutto nella presenza di Beatrice, Donna – Maria e non Donna – Eva.
Tutto ha una sua impalcatura antropologica: la colpa, il peccato, la superbia, l’umiltà. Ma sono giudizi.
Condanne o non condanne? Sono processi in una cultura. La letteratura dell’Occidente ha ben incarnato le tre vie occidentali di Dante: la grecità, la latinità, la cristianità. Ma in una lettura mediterranea, tra Zambrano e Guenon, Dante diventa universo.

Cosimo Fornaro tutto ciò lo aveva ben capito proprio quando, commentando il II Canto dell’”Inferno” nel v. 94 parla di peccato e di redenzione. E soprattutto quando cita una frase di Ginzberg detta a Ezra Pound. Ovvero: “Ci avete mostrata la via … Il Paradiso è nel desiderio, non nel modo imperfetto in cui è stato realizzato” (nel commento al v. 36 dell’VIII Canto dell’”Inferno”).
I poeti, sempre nel suo Dante, il Dante di Fornaro, non chiedono al crepuscolo di insistere o di restare. Cercano la luce oltre il crepuscolo stesso. Cercano le stelle quando la notte si fa buio.
Quando il desiderio viene a mancare le emozioni si incupiscono e giungono i ricordi. Non vorrei che Dante oggi assumesse le parole della nostalgia della morale. In questo emisfero la costellazione è luce. Fornaro lo rende vivo nella Costellazione. Ma questa luce ha anche i segni di un esoterico vivere la vita anche oltre il peccato. Dante non è solo immaginario medievale. È simbolicamente “vita nova”.


L'INCONTRO DELL'ISLAM CON IL MONDO ESTERNO SUL PIANO DELLA STORIA -.4 e fine

La politica religiosa degli arabi fu dunque di tolleranza dei culti, considerandoli tutti uguali; ciò risulta dalle varie capitolazioni e da altri documenti. Si venne insomma a stabilire una pacifica convivenza in base a reciproche concessioni, per cui le popolazioni ripresero la loro vita normale. Di fronte a questo stato di cose risorsero, allora, le controversie fra i cristiani, profondamente scissi com'era ed è tuttora noto, con danni alla predicazione evangelica. Gli arabi, davanti a ciò, si mantennero in una stretta neutralità, non tanto per politica, quanto per il senso di disprezzo che essi nutrivano nei confronti delle controversie agitate dai loro sudditi e verso il cristianesimo stesso, che, a loro, purtroppo, non appariva sotto la miglior luce, oltre ad essere stato incontrato nelle forme forse non così corrette dell'ortodossia. Questa neutralità assoluta lasciò chiese e beni dello statu quo ante e la cosa tornò a vantaggio degli eterodossi. Intanto un segno della ripresa della vita religiosa si ebbe nella gerarchia: i patriarchi cattolici di Antiochia e di Alessandria ripresero la successione episcopale rispettivamente nel 740 e nel 742 con Stefano III e Cosma, mentre Gerusalemme passava direttamente alle dipendenze della Santa Sede con la nomina di Stefano di Dore, succeduto a Sofronio fin dal 649. Gerusalemme ritornò dunque sede patriarcale con Giovanni V. Occorre però notare come, sciolti i legami e le ingerenze del regime bizantino, i cattolici di Oriente parteciparono assai meglio e più della vita di tutta la Chiesa. Così si unirono i prelati di Antiochia, Gerusalemme e Alessandria, uniti con Roma, contro il monolitismo bizantino, con conseguente libertà d'azione di San Giovanni Damasceno contro gli iconoclasti. L'atteggiamento neutrale ed equidistante dei dominatori arabi - fatto nuovo nella storia della politica ecclesiastica del mondo antico - attirò odio e opposizione contro il regime musulmano proprio da parte di coloro che ne beneficiavano. Sembrerà strano, ma lo si comprenderà considerando l'abitudine a vivere in condizione di continua inframmettenza politica nel campo ecclesiastico con effetto di traslazione di beni e nomina di vescovi in una o nell'altra comunità. Il fenomeno è pari a quello dell'intervento di un terzo imparziale fra due contendenti eccitati: lo si accuserà dagli uni e dagli altri di partigianeria. Così gli arabi raccolsero le contumelie di tutti. Il catholicos armeno Giovanni maledisse Mohammed, perché non aveva fatto distinzione fra i suoi monofisiti e i melchiti avversari, e questi accusarono di di filo-monofisismo gli arabi perché continuavano a rimanere spettatori inattivi nella lotta. Tutto ciò dipendeva dalla concezione di allora che tendeva a realizzare in pieno l'unione integrante tra Stato e Chiesa e non ammetteva la scissione delle due potestà. Cosicché era principale studio delle diverse comunità di accaparrarsi influenza sul potere civile per dar origine a quel concetto che modernamente si chiama Chiesa nazionale, ignorando l'esigenza di stabilire invece una libera Chiesa in un libero Stato. Non fu possibile, pertanto, quindi una tale scelta. Dinanzi poi all'uso indifferente che gli arabi facevano degli ebrei, dei giacobiti o dei nestoriani si accrebbe l'animosità dei melchiti, che si accorgevano di non poter sfruttare a proprio vantaggio il potere politico. Questo era, per concludere, il momento storico e le circostanze nelle quali avvenne il contatto fra l'Oriente islamico e l'Occidente cristiano e tali le prime idee e i primi rapporti fra i due campi. -fine.
Casalino Pierluigi, 6.01.2015

LA MANDRAGOLA

Goldoni la definiva nelle sue "Mémoires" la prima commedia moderna d'Italia. Del resto il successo di questa opera teatrale partorita dal genio dell'Autore de "Il Principe" era stato vasto già con le sue prime messe in scena. E certamente, senza "La mandragola", la vicenda teatrale del nostro Paese sarebbe stata diversa. Non si tratta, nella circostanza, di un lavoro occasionale. Machiavelli, infatti, si era misurato in precedenza in esperienze simili: le traduzioni di Terenzio. Non sufficienti, tuttavia, per fare di lui un "serial" della commedia. La gestione magistrale degli intrighi e degli intrecci, del gioco degli equivoci e dell'ilarità, ma anche delle ostentate volgarità, è l'autentica e assoluta protagonista de "La mandragola". L'approccio è incline alla strategia del dominare, pervasa dei valori de "Il Principe". Un "divertissement" non privo di astuzie, travestimenti e inganni. Una recita sottile, che rinvia, appunto, ad una sorta di realismo politico ante-litteram, applicato alla vita comune. La trama e lo spirito che caratterizzano i momenti e i contenuti dell'opera sono illuminanti. Emerge una vis comica originale, quasi "picaresca", se pur ricca di una straordinaria abilità nel cogliere vizi e virtù, ambiguità e meschinità dell'animo umano. Ce n'è abbastanza da rendere "La Mandragola" un capolavoro, non solo del teatro cinquecentesco italiano. la ripetuta scansione di emozioni, di finzioni e di menzogne trova nel linguaggio usato un'esaltazione senza pari. Il vernacolo conferisce ai colpi di scena amorosi e ai tranelli un mezzo comunicativo veramente moderno. Sul tema de "La Mandragola" si sono cimentati in molti. Dalla Firenze del XVI secolo, ingrata al Segretario, come già con Dante, all'interpretazione "napoletana" di Totò, per la regia di Lattuada, per arrivare, infine, al palcoscenico di Broadway. la lubrica storia di Messer Nicia, Callimaco e Lucrezia continua ancora ai tempi nostri ad affascinare.
Casalino Pierluigi, 6.01.2015 

lunedì 5 gennaio 2015

Italia in the future: quando le befane saranno Sibille HOT

 Marco Cremonini



Calendario cyber sex  da urlo per la Trans artistica estrema  Sara Tommasi...  ovvero quando le befane saranno sexy  come poi c'era volta... dall'ancestrale Tradizione delle Sibille (per adulti in questo caso) anche la tradizionale festa della Befana che vien di notte con le calze tutte rotte.


 VIDEO E INFO