Goldoni la definiva nelle sue "Mémoires" la prima commedia moderna d'Italia. Del resto il successo di questa opera teatrale partorita dal genio dell'Autore de "Il Principe" era stato vasto già con le sue prime messe in scena. E certamente, senza "La mandragola", la vicenda teatrale del nostro Paese sarebbe stata diversa. Non si tratta, nella circostanza, di un lavoro occasionale. Machiavelli, infatti, si era misurato in precedenza in esperienze simili: le traduzioni di Terenzio. Non sufficienti, tuttavia, per fare di lui un "serial" della commedia. La gestione magistrale degli intrighi e degli intrecci, del gioco degli equivoci e dell'ilarità, ma anche delle ostentate volgarità, è l'autentica e assoluta protagonista de "La mandragola". L'approccio è incline alla strategia del dominare, pervasa dei valori de "Il Principe". Un "divertissement" non privo di astuzie, travestimenti e inganni. Una recita sottile, che rinvia, appunto, ad una sorta di realismo politico ante-litteram, applicato alla vita comune. La trama e lo spirito che caratterizzano i momenti e i contenuti dell'opera sono illuminanti. Emerge una vis comica originale, quasi "picaresca", se pur ricca di una straordinaria abilità nel cogliere vizi e virtù, ambiguità e meschinità dell'animo umano. Ce n'è abbastanza da rendere "La Mandragola" un capolavoro, non solo del teatro cinquecentesco italiano. la ripetuta scansione di emozioni, di finzioni e di menzogne trova nel linguaggio usato un'esaltazione senza pari. Il vernacolo conferisce ai colpi di scena amorosi e ai tranelli un mezzo comunicativo veramente moderno. Sul tema de "La Mandragola" si sono cimentati in molti. Dalla Firenze del XVI secolo, ingrata al Segretario, come già con Dante, all'interpretazione "napoletana" di Totò, per la regia di Lattuada, per arrivare, infine, al palcoscenico di Broadway. la lubrica storia di Messer Nicia, Callimaco e Lucrezia continua ancora ai tempi nostri ad affascinare. Casalino Pierluigi, 6.01.2015
Calendario cyber sex da urlo per la Trans artistica estrema Sara Tommasi... ovvero quando le befane saranno sexy come poi c'era volta... dall'ancestrale Tradizione delle Sibille (per adulti in questo caso) anche la tradizionale festa della Befana che vien di notte con le calze tutte rotte.
Tra
le iniziative collaterali una mostra su Mario Sironi,
uno
dei più importanti artisti del '900
Domenica 11 gennaio apre
la «Biennale
Internazionale d'Arte di Palermo»:
1.000 artisti da tutto il
mondo.
Sgarbi: «E'la Biennale della libertà:
non è dei critici ma degli
artisti»
Cerimonia di premiazione, condotta da Piero Chiambretti,
il 25 gennaio al Teatro Politeama con un concerto di
Gino Paoli
PALERMO- Domenica
11 gennaio, alle 17,30, a Palazzo Sant'Elia, alla presenza di Vittorio Sgarbi,
s'inaugura la seconda edizione della «Biennale
Internazionale d'Arte di Palermo», una delle più importanti
vetrine dell'arte contemporanea italiana ed europea,promossa da «EA Editore»e patrocinata dalla Regione Siciliana
(Assessorato regionale dei Beni Culturali e delle Identità Siciliane).
Rispetto
alla scorsa edizione raddoppiano gli spazi espositivi: oltre al Loggiatodi San Bartolomeo e al Teatro
Politeama, questa edizione si estende al Complesso Museale Reale Albergo delle Povere (sede
dell’allestimento speciale «Biennale di Palermo Artexpo») e al Palazzo Sant’Elia dove sono ospitati gli
artisti provenienti dall'estero, alcuni maestri italiani e la mostra «Mario Sironi: illustrazione,
pittura, grande decorazione», curata da Estemio Serri, promossa
da «EA Editore» e da «Edizioni 56» Bologna. La mostra è costituita da
ben 100 opere dell'artista, realizzate tra il 1915 e il 1961; sarà visitabile
dall'11 al 25 Gennaio. Il catalogo, con testi di Andrea Sironi-Straußwald,
Claudio Spadoni ed Estemio Serri, è pubblicato da «EA Editore»ed «Edizioni 56» di Bologna.
Numerosi
gli artisti per questa seconda edizione della «Biennale
Internazionale d'Arte di Palermo»: il comitato scientifico, presieduto
dal professore Paolo Levi, con la direzione dell’editore Sandro Serradifalco,
ne ha selezionati 1.000tra le 7 mila
candidature provenienti da tutto il mondo.
Tra le
novità dell'edizione 2015 un premio di 10 mila euro per i primi classificati,
rispettivamente nelle sezioni scultura e pittura, mentre ilprimo classificato nella sezione fotografia
avrà finanziata una monografia di 100 pagine con una tiratura di 1.000 copie.
Ad assegnare i premi saranno i visitatori insieme a una giuria composta da
esperti d’arte.
Ad aprire e
chiudere l’edizione 2015 saranno i critici d'arte Vittorio Sgarbi e Paolo Levi.
La cerimonia di premiazione il 25 Gennaio al Teatro Politeama, condotta da Piero Chiambretti, con il concerto di Gino Paoli accompagnato dal pianista
jazz Danilo Rea.
Vittorio Sgarbi spiega:«L'unica Biennale a cui io ho dato la mia
attenzione, dopo quella di Venezia, è la Biennale di Palermo. Il mio compito è
di continuare a osservare,approfondire
e stabilire se alcuni artisti potranno avere qualche certezza per il futuro. Ho
ritenuto di essere l'osservatore dei "rifugiati dell'arte", accolti
nella Biennale di Palermo, nella convinzione che ognuno abbia diritto alla
creatività. Ora, questo può anche essere esperito con altri strumenti, ma
quello che io ho scelto, e dove c'è un metodo e un impegno che mi sembrano
molto rispettabili, anche in tempi in cui non ci sono più finanziamenti pubblici
e quindi assistenze di assessorati o altro che non fanno più l'attività che
facevano un tempo, è la Biennale di Palermo che io ho seguito fin qui.
«La Biennale di Palermo -
aggiunge il critico d'arte - è ispirata a quella veneziana del 2011 e continua il mio
impegno di allora, cioè quello di osservare un campione molto ampio di artisti.
Quindi mi auguro che per gli artisti, al
di là del mio gusto, ci sia la possibilità di farsi conoscere, di affermarsi e
di trovare nelle diverse variazioni della loro ricerca una possibilità di
esistenza, perché il tema di questa Biennale è il tentativo di esistere
piuttosto che essere fuori gioco. Perché la Biennale di Palermo è la Biennale
della libertà: non è dei critici ma degli artisti...
E siccome alla Biennale di Palermo gli artisti sono
tanti, esprimere una realtà così vasta è un compito che non è soltanto del
critico ma di chi vuole rappresentare una realtà multiforme e varia. Nel caso
di Palermo, io sono un uomo che vede, il cui nome può essere vantaggioso o
utile per un artista, ma l'artista intanto è visto da molti ed esiste, e la sua
esistenza è il dato primario, di quello che bisogna tutelare e difendere in
nome del diritto alla creatività»
Il
programma delle giornate
11
Gennaio 2015
Ore 17,30: inaugurazione sede espositiva Palazzo Sant’Elia, con Vittorio
Sgarbi, Andrea Sironi-Straußwald, Estemio Serri, Sandro e Pietro Serradifalco e
autorità politiche. Ore 20,00: cerimonia d’inaugurazione al Teatro Politeama,
con Vittorio Sgarbi, Antonio Purpura, Assessore Regionale dei Beni Culturali e
dell'Identità Siciliana, Paolo Calabrese, Presidente del Movimento
Internazionale della Giustizia e tutela dei Diritti Umani, Antonio Grasso, dirigente Regione Siciliana,
Estemio Serri, Andrea Sironi Strauβwald,Sandro Serradifalco, direttore artistico
della Biennale. A seguire il concerto dell'orchestra Crystal Music diretta dal
compositore Filippo Lui.
12
Gennaio 2015
Ore 10,00: inaugurazione della sede espositiva Loggiato San Bartolomeo con
Vittorio Sgarbi, Paolo Levi, Sandro e Pietro Serradifalco, autorità politiche. Ore
12,30: inaugurazione delle sede espositiva Complesso Museale del Reale
Albergo delle Povere con Vittorio Sgarbi, Paolo Levi, Sandro e Pietro Serradifalco,
autorità politiche.
25 Gennaio
2015
Ore 20,00: cerimonia di premiazione al Teatro Politeama, con Piero
Chiambretti, Paoli Levi, Sandro e Pietro Serradifalco, Vittorio Sgarbi . A
seguire il concerto di Gino Paoli e Danilo Rea.
"In volo con l'Ippogrifo. Viaggio nei musei di terra e d'acqua del
ferrarese". Videofilmato in HD, durata di 25 minuti. Conferenza stampa
per presentare l'anteprima nel salone della Camera di Commercio di
Ferrara, recensione su Sestopotere.com
Da sinistra: Ethel Guidi, Francesca Felletti e Andrea Samaritani
Regia di Andrea Samaritani
Riprese con il drone di Dino Marsan e Alessandro Bersanetti
Aiuto regia Maria Chiara Samaritani Testi dell'io narrante (Ippogrifo) di Claudia Fortini Lettura dell'Io narrante di Enzo Minarelli Testimonianze di Carlo Bassi, Marcello Simoni e Caterina Cornelio Comparse Shade Amini e Gregorio Caselli Produzione Ex-Press Comunicazione ( Mauro Curati e Alessandro Alvisi) Committente Provincia di Ferrara, nell'ambito del progetto europeo Herman Supervisione Moreno Po Coordinamento Ethel Guidi Organizzazione Francesca Felletti “This project is implemented through the CENTRAL EUROPE Programme co-financed by the ERDF."
I Balcani, l’Albania
e la cultura italiana negli scritti di Ernesto Koliqi a 40 anni dalla morte:
l’Adriatico che incontra il Mediterraneo
Il 15 gennaio di quarant’anni fa moriva Ernesto Koliqi. Il legame
tra la cultura italiana e la cultura albanese ha avuto sempre un protagonista
che ha sancito un rapporto di straordinaria valenza tra l’Occidente, i Balcani
e l’Oriente: Ernesto Koliqi. Morto a
Roma il 15 gennaio del 1975, era nato a Scutari il 20 maggio del 1903. È stato un studioso, uno scrittore, un
saggista che ha dedicato la sua via alla ricerca del mondo albanese e italo
albanese. Il suo impegno per diffondere la cultura e la letteratura, in modo
particolare, ha avuto una costante che è rintracciabile in quasi tutti i suoi
scritti. La profonda meditazione sui valori spirituali lo hanno portato a
confrontarsi con gli scrittori e con la letteratura attraverso parametri di
comparazione al cui centro non sono mai mancati i sentimenti.
La letteratura stessa
è, per Koliqi, il risultato di una conoscenza di sentimenti la cui tensione
culturale non può che derivare da una visione chiaramente spirituale della
vita. I motivi legati al sentimento dell'appartenenza provengono da una
dimensione che ha come punto cruciale il rapporto tra storia umana e storia
cultura di un popolo. La letteratura è il percorso di una eredità.
Koliqi non ha mai
smesso di confrontarsi sia con gli scrittori e i poeti di Albania sia con
quelli arbereshe. Ha sempre indicato quegli interpreti che hanno segnato un
tracciato di spiritualità. Il suo rapporto con l'opera di Girolamo De Rada,
d'altronde, è una testimonianza emblematica. Ha scritto su questo poeta ma
scrivendo della sua opera e della sua vita non ha fatto altro che indirizzare
quella sua consapevolezza verso un testimone di una eredità che ha assommato la
spiritualità albanese con la spiritualità arbereshe. Una chiave di lettura che
ha permesso di penetrare realtà complesse e quella storia degli uomini e dei
territori il cui filo tra le comunità italo albanesi e la cultura albanese è
abbastanza consolidato. In una visione poetica la storia si lascia catturare e
offre legami inportanti.
In una sua conferenza
letta il 20 settembre del 1964
a Cosenza annotava riferendosi agli albanesi in Calabria:
"Anche al viandante esperto di contrade e genti le più diverse del mondo,
raramente avviene d'incontrare come in terra di Calabria, ricca di sconosciute
meraviglie, costumi così suggestivi per armoniosa fusione di tinte. Si
riflettono in essi i colori ora vividi ora sfumati del mare e del mediterranei
e l'incanto delle primavere rigermoglianti su piane e alture che coprono resti
di antiche cività e di cui la risonanza musicale del nome conserva tenaci
sapori classici. I solenni orizzonti che ci dànno il senso dell'infinito,
perdendosi oltre i grandiosi scenari dei monti, sembrano immersi in un' aura di
primordiale solitudine dove spazio e tempo assistono immobili all'avvicendarsi
di condizioni umane, le quali mantengono pressoché intatta nella loro interiorità
una remota saggezza materiata in millenarie esperienze. Terra di monaci,
filosofi e poeti, di pastori ed eroici fuorilegge che sempre preferivano la
libertà dei boschi a una vita menomata nella sua dignità da crude costrizioni
tirraniche, nobilissima terra abitata gente rude e silenziosa che cela nelle
pieghe dell'anima singolari qualità umane, le quali lampeggiano di viva
improvvisa bellezza a chi vi si accosti con cuore amico a somiglianza dei
segreti recessi pieni di prode fiorite e fresche acque, inseriti fra le quinte
delle sue aspre rupi montane" (ora in “Saggi
di letteratura albanese”, Olschki Editore, 1972, pag. 76).
Un paesaggio, si nota
benissimo, fatto non solo di luoghi ma dentro i luoghi c'è l'anima. L'anima di
un popolo ma anche l'anima di una geografia in cui il sentimento della
spiritualità si avverte. Koliqi proprio attraverso gli studi su De Rada ha dato
una dimostrazione di come l'approccio letterario deve stabilirsi attraverso i
testi. Lo studio dei testi ci introduce in una visione prettamente critica.
Ovvero di valutazione critica. Una valutazione non basata su elementi storici
ma creativi. Infatti quel gioco (prima citato) di fantasie calato dentro una
geografia ben definita Koliqi lo adotta anche negli studi sugli autori.
Una prosa d'arte, la
sua, che ha una indelebile forza interiore. Riferendosi a De Rada ne coglie in
alcune battute il senso vero di una definizione poetica: "I poliedrici
aspetti della eccezionale personalità di Girolamo De Rada si sintetizzano nel
suo genuino talento di poeta, che ad essi infonde vigorosa efficacia di
irradiazione. L'ispirazione poetica è all'origine di tutta la sua molteplice
attività di linguista, di “grammatologo”, di studioso di estetica e di
ordinamenti statali, di politico e di propagatore dell'idea risorgimentale
albanese". Ma Koliqi va oltre perché è un convinto assertore di un De Rada
che va oltre i confini della stessa cultura arbereshe.
E', in altri termini,
un poeta che va oltre il senso del nazionale che non può essere circoscritto ad
un ambito rigorosamente culturale. Infatti coglie con acume questo aspetto:
"Il suo messaggio poetico non rimane circoscritto agli interessi
nazionali, sia pure nobili e generosi, della stirpe albanese, ma li supera
raggiungendo la sfera universale della grande arte nella quale si trasfigura la
sua profonda umanità grondante di sofferto dolore e lievitata da uno schietto
anelito di elevazione spirituale". Un'analisi che giunge ad una
sottolineatura significativa proprio nel campo dell'indagine spirituale:
"Il de Rada superò con l'ardore della fede e la luce della poesia ostacoli
che parevano ed erano insormontabili" (da una conferenza svoltasi a
Palermo il 28 novembre 1964, e ora nel testo citato sopra, pag. 115).
Attenti studi Koliqi
ha condotto sul rapporto tra Islam e Cristianesimo nella letteratura albanese,
sulle influenze orientali sulla letteratura, sui fenomeni linguistici, sui
poeti e sugli scrittori albanesi e arbereshe, sul legame tra poeti italiani e
poeti albanesi, sulla figura di Skanderbeg, sulle traduzioni. Un capitolo
imponente resta la lettura su Gabriele D'Annunzio e la letteratura degli
albanesi. Al centro di questa sua ricerca ci sono sempre i temi fondamentali
della cultura popolare e dell'anima religiosa.
Temi, dunque, che
hanno caratterizzato tutto il suo percorso di scrittore, di studioso e di uomo.
Quell'anima popolare che è la vera anima di una spiritualità pregna di
riferimenti religiosi. A conclusione di un suo scritto dedicato a "Le
nuove correnti della letteratura albanese" cesella: "L'anima popolare
si nutre ancora della poesia conservata viva nella memoria collettiva del
Fishta e di Naim Frasheri, di quella poesia che s'impernia sui temi immortali:
Dio, santità del focolare, vita sul solco delle tipiche usanze schipetare, al
ritmo delle quali è bello vivere e per cui vale la pena di morire" (op.
cit., pag 230).
Il richiamo alle
origini, all'identità, all'appartenenza grazie a dei modelli che sono culturali
ma marcatamente, come già si è detto, spirituali resta fondamentale. Un
richiamo che è chiaramente inossidabile. Ma l'uomo Koliqi era un uomo della
tradizione, un uomo della conservazione, un uomo rimasto fedele ai principi
della fede. L'anima albanese non è mai stata un vissuto soltanto culturale o
soltanto letterario e storico ma dentro il valore della difesa di una
tradizione i segni della religiosità sono stati dei baluardi. Uomo che ha
rivestito, tra l'altro, anche delle prestigiose cariche politiche e
istituzionali. Ma la sua formazione umanistica lo ha sempre distaccato dalla
burocrazia e dagli apparati.
Ha pubblicato testi
sulla letteratura albanese, ha fondato riviste (si pensi a "La
scintilla" del 1940), ha scritto poesie, novelle ("Le ombre delle
montagne" nel 1928 e "Mercante di bandiere" nel 1935), ha
tradotto autori come Dante, Petrarca, Ariosto, Tasso, Parini, Foscolo, Monti,
Manzoni. Il mondo popolare è stato sempre punto di riferimento dei suoi studi
ma anche i suoi testi creativi vanno in questa direzione (si pensi a "Le
orme delle stagioni" nel 1933). Un autore che è riuscito ad imporsi con
straordinaria vitalità ed ha innovato la ricerca sulla letteratura albanese e
arbereshe. su questo non ci sono dubbi.
Giuseppe Schirò junior
nel 1959 scriveva: "In Ernest Koliqi è possibile ravvisare in linee più
decise un nuovo stadio della letteratura albanese. (…) Nella sua poesia, come
nella sua prosa, s'avverte dunque il respiro delle Alpi Albanesi e una elegante
modernità occidentale, l'ampia eco degli aedi e dei suoi monti e la melodia
delle forme colte. E son questi i motivi per cui la posizione spirituale ed
artistica del Koliqi è destinata ad esercitare sensibili influenze sia sui
desiderosi radicali innovazioni sia sui retrivi di forme nuove e di nuova
poesia" (in “Storia della letteratura albanese”, Nuova Accademia, Milano,
1959, pag. 244).
Schirò junior aveva
visto bene. Dunque, Koliqi un innovatore. Ma non ha mai tralasciato di leggere
la letteratura albanese e italo albanese in un contesto la cui dimensione
culturale è legata alla spiritualità di un popolo. Una spiritualità che si
regge attraverso la difesa della tradizione. Innovatore nella tradizione. Una
tradizione in un intreccio che porta sempre ad un dialogare tra civiltà.
........ Tema: Një familje mesdhetare. Historia e artistes italiane dhe shqiptarit të birësuar Te ftuar: Antonella Pagnotta, Marcello Francolini, Bledar Hasko