lunedì 5 gennaio 2015

II Biennale Internazionale d'Arte di Palermo con Vittorio Sgarbi

Vittorio Sgarbi /Ufficio Stampa





Tra le iniziative collaterali una mostra su Mario Sironi,
uno dei più importanti artisti del '900
Domenica 11 gennaio apre
la «Biennale Internazionale d'Arte di Palermo»:
1.000 artisti da tutto il mondo.
Sgarbi: «E'  la Biennale della libertà:
non è dei critici ma degli artisti»
Cerimonia di premiazione, condotta da Piero Chiambretti,
il 25 gennaio al Teatro Politeama con un concerto di Gino Paoli


PALERMO  - Domenica 11 gennaio, alle 17,30, a Palazzo Sant'Elia, alla presenza di Vittorio Sgarbi, s'inaugura la seconda edizione della «Biennale Internazionale d'Arte di Palermo», una delle più importanti vetrine dell'arte contemporanea italiana ed europea,  promossa da «EA Editore»  e patrocinata dalla Regione Siciliana (Assessorato regionale dei Beni Culturali e delle Identità Siciliane).

Rispetto alla scorsa edizione raddoppiano gli spazi espositivi: oltre al Loggiato  di San Bartolomeo e al Teatro Politeama, questa edizione si estende al Complesso Museale Reale Albergo delle Povere (sede dell’allestimento speciale «Biennale di Palermo Artexpo») e al Palazzo Sant’Elia dove sono ospitati gli artisti provenienti dall'estero, alcuni maestri italiani e la mostra «Mario Sironi: illustrazione, pittura, grande decorazione», curata da Estemio Serri, promossa da «EA Editore» e da «Edizioni 56» Bologna. La mostra è costituita da ben 100 opere dell'artista, realizzate tra il 1915 e il 1961; sarà visitabile dall'11 al 25 Gennaio. Il catalogo, con testi di Andrea Sironi-Straußwald, Claudio Spadoni ed Estemio Serri, è pubblicato da «EA Editore» ed «Edizioni 56» di Bologna.

Numerosi gli artisti per questa seconda edizione della «Biennale Internazionale d'Arte di Palermo»: il comitato scientifico, presieduto dal professore Paolo Levi, con la direzione dell’editore Sandro Serradifalco, ne ha selezionati 1.000  tra le 7 mila candidature provenienti da tutto il mondo.  

Tra le novità dell'edizione 2015 un premio di 10 mila euro per i primi classificati, rispettivamente nelle sezioni scultura e pittura, mentre il  primo classificato nella sezione fotografia avrà finanziata una monografia di 100 pagine con una tiratura di 1.000 copie. Ad assegnare i premi saranno i visitatori insieme a una giuria composta da esperti d’arte.

Ad aprire e chiudere l’edizione 2015 saranno i critici d'arte Vittorio Sgarbi e Paolo Levi. La cerimonia di premiazione il 25 Gennaio al Teatro Politeama, condotta da Piero Chiambretti, con il concerto di Gino Paoli accompagnato dal pianista jazz Danilo Rea.

Vittorio Sgarbi spiega:  «L'unica Biennale a cui io ho dato la mia attenzione, dopo quella di Venezia, è la Biennale di Palermo. Il mio compito è di continuare a osservare,  approfondire e stabilire se alcuni artisti potranno avere qualche certezza per il futuro. Ho ritenuto di essere l'osservatore dei "rifugiati dell'arte", accolti nella Biennale di Palermo, nella convinzione che ognuno abbia diritto alla creatività. Ora, questo può anche essere esperito con altri strumenti, ma quello che io ho scelto, e dove c'è un metodo e un impegno che mi sembrano molto rispettabili, anche in tempi in cui non ci sono più finanziamenti pubblici e quindi assistenze di assessorati o altro che non fanno più l'attività che facevano un tempo, è la Biennale di Palermo che io ho seguito fin qui.
«La Biennale di Palermo - aggiunge il critico d'arte - è ispirata a quella veneziana del 2011 e continua il mio impegno di allora, cioè quello di osservare un campione molto ampio di artisti.  Quindi mi auguro che per gli artisti, al di là del mio gusto, ci sia la possibilità di farsi conoscere, di affermarsi e di trovare nelle diverse variazioni della loro ricerca una possibilità di esistenza, perché il tema di questa Biennale è il tentativo di esistere piuttosto che essere fuori gioco. Perché la Biennale di Palermo è la Biennale della libertà: non è dei critici ma degli artisti...
E siccome alla Biennale di Palermo gli artisti sono tanti, esprimere una realtà così vasta è un compito che non è soltanto del critico ma di chi vuole rappresentare una realtà multiforme e varia. Nel caso di Palermo, io sono un uomo che vede, il cui nome può essere vantaggioso o utile per un artista, ma l'artista intanto è visto da molti ed esiste, e la sua esistenza è il dato primario, di quello che bisogna tutelare e difendere in nome del diritto alla creatività»


Il programma delle giornate

11 Gennaio 2015
Ore 17,30: inaugurazione sede espositiva Palazzo Sant’Elia, con Vittorio Sgarbi, Andrea Sironi-Straußwald, Estemio Serri, Sandro e Pietro Serradifalco e autorità politiche. Ore 20,00:  cerimonia d’inaugurazione al Teatro Politeama, con Vittorio Sgarbi, Antonio Purpura, Assessore Regionale dei Beni Culturali e dell'Identità Siciliana, Paolo Calabrese, Presidente del Movimento Internazionale della Giustizia e tutela dei Diritti Umani,  Antonio Grasso, dirigente Regione Siciliana, Estemio Serri, Andrea Sironi Strauβwald,  Sandro Serradifalco, direttore artistico della Biennale. A seguire il concerto dell'orchestra Crystal Music diretta dal compositore Filippo Lui.

12 Gennaio 2015
Ore 10,00: inaugurazione della sede espositiva Loggiato San Bartolomeo con Vittorio Sgarbi, Paolo Levi, Sandro e Pietro Serradifalco, autorità politiche. Ore 12,30: inaugurazione delle sede espositiva Complesso Museale del Reale Albergo delle Povere con Vittorio Sgarbi, Paolo Levi, Sandro e Pietro Serradifalco, autorità politiche.

25 Gennaio 2015
Ore 20,00: cerimonia di premiazione al Teatro Politeama, con Piero Chiambretti, Paoli Levi, Sandro e Pietro Serradifalco, Vittorio Sgarbi . A seguire il concerto di Gino Paoli e Danilo Rea.


Sedi espositive:
Loggiato San Bartolomeo
Palazzo Sant’Elia
Albergo delle Povere
Teatro Politeama

INGRESSO LIBERO IN TUTTE LE SEDI
STAMPA ARTISTICA IN OMAGGIO A TUTTI I VISITATORI.

ORARI: Tutti i giorni 10/13 – 15/19
Chiusura: Lunedì, 19 Gennaio 2015.


Per maggiori informazioni:

Segreteria «EA Editore»: Tel. 091 6190928



Ferrara, Andrea Samaritani, Marcello Simoni, Enzo Minarelli, Carlo Bassi... e l'Arte-Turismo 3.0

Redazione

"In volo con l'Ippogrifo. Viaggio nei musei di terra e d'acqua del ferrarese". Videofilmato in HD, durata di 25 minuti. Conferenza stampa per presentare l'anteprima nel salone della Camera di Commercio di Ferrara, recensione su Sestopotere.com
Da sinistra: Ethel Guidi, Francesca Felletti e Andrea Samaritani
Regia di Andrea Samaritani
Riprese con il drone di Dino Marsan e Alessandro Bersanetti
Aiuto regia Maria Chiara Samaritani
Testi dell'io narrante (Ippogrifo) di Claudia Fortini
Lettura dell'Io narrante di Enzo Minarelli
Testimonianze di Carlo Bassi, Marcello Simoni e Caterina Cornelio
Comparse Shade Amini e Gregorio Caselli
Produzione Ex-Press Comunicazione ( Mauro Curati e Alessandro Alvisi)
Committente Provincia di Ferrara, nell'ambito del progetto europeo Herman
Supervisione Moreno Po
Coordinamento Ethel Guidi
Organizzazione Francesca Felletti
“This project is implemented through the CENTRAL EUROPE Programme co-financed by the ERDF."


 https://www.facebook.com/pages/In-volo-con-lIppogrifo/782654425115135?fref=photo


*Video di repertorio (ndr)

I Balcani, l'Adriatico e il Mediterraneo: Literary-Politik

Pierfranco Bruni

I Balcani, l’Albania e la cultura italiana negli scritti di Ernesto Koliqi a 40 anni dalla morte: l’Adriatico che incontra il Mediterraneo

Il 15 gennaio di quarant’anni fa moriva Ernesto Koliqi. Il legame tra la cultura italiana e la cultura albanese ha avuto sempre un protagonista che ha sancito un rapporto di straordinaria valenza tra l’Occidente, i Balcani e l’Oriente: Ernesto Koliqi.   Morto a Roma il 15 gennaio del 1975, era nato a Scutari il 20 maggio del 1903. È stato un studioso, uno scrittore, un saggista che ha dedicato la sua via alla ricerca del mondo albanese e italo albanese. Il suo impegno per diffondere la cultura e la letteratura, in modo particolare, ha avuto una costante che è rintracciabile in quasi tutti i suoi scritti. La profonda meditazione sui valori spirituali lo hanno portato a confrontarsi con gli scrittori e con la letteratura attraverso parametri di comparazione al cui centro non sono mai mancati i sentimenti.
      La letteratura stessa è, per Koliqi, il risultato di una conoscenza di sentimenti la cui tensione culturale non può che derivare da una visione chiaramente spirituale della vita. I motivi legati al sentimento dell'appartenenza provengono da una dimensione che ha come punto cruciale il rapporto tra storia umana e storia cultura di un popolo. La letteratura è il percorso di una eredità.
      Koliqi non ha mai smesso di confrontarsi sia con gli scrittori e i poeti di Albania sia con quelli arbereshe. Ha sempre indicato quegli interpreti che hanno segnato un tracciato di spiritualità. Il suo rapporto con l'opera di Girolamo De Rada, d'altronde, è una testimonianza emblematica. Ha scritto su questo poeta ma scrivendo della sua opera e della sua vita non ha fatto altro che indirizzare quella sua consapevolezza verso un testimone di una eredità che ha assommato la spiritualità albanese con la spiritualità arbereshe. Una chiave di lettura che ha permesso di penetrare realtà complesse e quella storia degli uomini e dei territori il cui filo tra le comunità italo albanesi e la cultura albanese è abbastanza consolidato. In una visione poetica la storia si lascia catturare e offre legami inportanti.
      In una sua conferenza letta il 20 settembre del 1964 a Cosenza annotava riferendosi agli albanesi in Calabria: "Anche al viandante esperto di contrade e genti le più diverse del mondo, raramente avviene d'incontrare come in terra di Calabria, ricca di sconosciute meraviglie, costumi così suggestivi per armoniosa fusione di tinte. Si riflettono in essi i colori ora vividi ora sfumati del mare e del mediterranei e l'incanto delle primavere rigermoglianti su piane e alture che coprono resti di antiche cività e di cui la risonanza musicale del nome conserva tenaci sapori classici. I solenni orizzonti che ci dànno il senso dell'infinito, perdendosi oltre i grandiosi scenari dei monti, sembrano immersi in un' aura di primordiale solitudine dove spazio e tempo assistono immobili all'avvicendarsi di condizioni umane, le quali mantengono pressoché intatta nella loro interiorità una remota saggezza materiata in millenarie esperienze. Terra di monaci, filosofi e poeti, di pastori ed eroici fuorilegge che sempre preferivano la libertà dei boschi a una vita menomata nella sua dignità da crude costrizioni tirraniche, nobilissima terra abitata gente rude e silenziosa che cela nelle pieghe dell'anima singolari qualità umane, le quali lampeggiano di viva improvvisa bellezza a chi vi si accosti con cuore amico a somiglianza dei segreti recessi pieni di prode fiorite e fresche acque, inseriti fra le quinte delle sue aspre rupi montane" (ora in “Saggi di letteratura albanese”, Olschki Editore, 1972, pag. 76).
      Un paesaggio, si nota benissimo, fatto non solo di luoghi ma dentro i luoghi c'è l'anima. L'anima di un popolo ma anche l'anima di una geografia in cui il sentimento della spiritualità si avverte. Koliqi proprio attraverso gli studi su De Rada ha dato una dimostrazione di come l'approccio letterario deve stabilirsi attraverso i testi. Lo studio dei testi ci introduce in una visione prettamente critica. Ovvero di valutazione critica. Una valutazione non basata su elementi storici ma creativi. Infatti quel gioco (prima citato) di fantasie calato dentro una geografia ben definita Koliqi lo adotta anche negli studi sugli autori.
      Una prosa d'arte, la sua, che ha una indelebile forza interiore. Riferendosi a De Rada ne coglie in alcune battute il senso vero di una definizione poetica: "I poliedrici aspetti della eccezionale personalità di Girolamo De Rada si sintetizzano nel suo genuino talento di poeta, che ad essi infonde vigorosa efficacia di irradiazione. L'ispirazione poetica è all'origine di tutta la sua molteplice attività di linguista, di “grammatologo”, di studioso di estetica e di ordinamenti statali, di politico e di propagatore dell'idea risorgimentale albanese". Ma Koliqi va oltre perché è un convinto assertore di un De Rada che va oltre i confini della stessa cultura arbereshe.   
      E', in altri termini, un poeta che va oltre il senso del nazionale che non può essere circoscritto ad un ambito rigorosamente culturale. Infatti coglie con acume questo aspetto: "Il suo messaggio poetico non rimane circoscritto agli interessi nazionali, sia pure nobili e generosi, della stirpe albanese, ma li supera raggiungendo la sfera universale della grande arte nella quale si trasfigura la sua profonda umanità grondante di sofferto dolore e lievitata da uno schietto anelito di elevazione spirituale". Un'analisi che giunge ad una sottolineatura significativa proprio nel campo dell'indagine spirituale: "Il de Rada superò con l'ardore della fede e la luce della poesia ostacoli che parevano ed erano insormontabili" (da una conferenza svoltasi a Palermo il 28 novembre 1964, e ora nel testo citato sopra, pag. 115).
      Attenti studi Koliqi ha condotto sul rapporto tra Islam e Cristianesimo nella letteratura albanese, sulle influenze orientali sulla letteratura, sui fenomeni linguistici, sui poeti e sugli scrittori albanesi e arbereshe, sul legame tra poeti italiani e poeti albanesi, sulla figura di Skanderbeg, sulle traduzioni. Un capitolo imponente resta la lettura su Gabriele D'Annunzio e la letteratura degli albanesi. Al centro di questa sua ricerca ci sono sempre i temi fondamentali della cultura popolare e dell'anima religiosa.
      Temi, dunque, che hanno caratterizzato tutto il suo percorso di scrittore, di studioso e di uomo. Quell'anima popolare che è la vera anima di una spiritualità pregna di riferimenti religiosi. A conclusione di un suo scritto dedicato a "Le nuove correnti della letteratura albanese" cesella: "L'anima popolare si nutre ancora della poesia conservata viva nella memoria collettiva del Fishta e di Naim Frasheri, di quella poesia che s'impernia sui temi immortali: Dio, santità del focolare, vita sul solco delle tipiche usanze schipetare, al ritmo delle quali è bello vivere e per cui vale la pena di morire" (op. cit., pag 230).
      Il richiamo alle origini, all'identità, all'appartenenza grazie a dei modelli che sono culturali ma marcatamente, come già si è detto, spirituali resta fondamentale. Un richiamo che è chiaramente inossidabile. Ma l'uomo Koliqi era un uomo della tradizione, un uomo della conservazione, un uomo rimasto fedele ai principi della fede. L'anima albanese non è mai stata un vissuto soltanto culturale o soltanto letterario e storico ma dentro il valore della difesa di una tradizione i segni della religiosità sono stati dei baluardi. Uomo che ha rivestito, tra l'altro, anche delle prestigiose cariche politiche e istituzionali. Ma la sua formazione umanistica lo ha sempre distaccato dalla burocrazia e dagli apparati.
      Ha pubblicato testi sulla letteratura albanese, ha fondato riviste (si pensi a "La scintilla" del 1940), ha scritto poesie, novelle ("Le ombre delle montagne" nel 1928 e "Mercante di bandiere" nel 1935), ha tradotto autori come Dante, Petrarca, Ariosto, Tasso, Parini, Foscolo, Monti, Manzoni. Il mondo popolare è stato sempre punto di riferimento dei suoi studi ma anche i suoi testi creativi vanno in questa direzione (si pensi a "Le orme delle stagioni" nel 1933). Un autore che è riuscito ad imporsi con straordinaria vitalità ed ha innovato la ricerca sulla letteratura albanese e arbereshe. su questo non ci sono dubbi.
      Giuseppe Schirò junior nel 1959 scriveva: "In Ernest Koliqi è possibile ravvisare in linee più decise un nuovo stadio della letteratura albanese. (…) Nella sua poesia, come nella sua prosa, s'avverte dunque il respiro delle Alpi Albanesi e una elegante modernità occidentale, l'ampia eco degli aedi e dei suoi monti e la melodia delle forme colte. E son questi i motivi per cui la posizione spirituale ed artistica del Koliqi è destinata ad esercitare sensibili influenze sia sui desiderosi radicali innovazioni sia sui retrivi di forme nuove e di nuova poesia" (in “Storia della letteratura albanese”, Nuova Accademia, Milano, 1959, pag. 244).
      Schirò junior aveva visto bene. Dunque, Koliqi un innovatore. Ma non ha mai tralasciato di leggere la letteratura albanese e italo albanese in un contesto la cui dimensione culturale è legata alla spiritualità di un popolo. Una spiritualità che si regge attraverso la difesa della tradizione. Innovatore nella tradizione. Una tradizione in un intreccio che porta sempre ad un dialogare tra civiltà.   


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Tema: Një familje mesdhetare. Historia e artistes italiane dhe shqiptarit të birësuar
Te ftuar: Antonella Pagnotta, Marcello Francolini, Bledar Hasko



Le Geo-grafie visiotroniche di Dario Damato‏

Vitaldo Conte

*Le geo-grafie di Dario Damato‏
libro d'arte (uscito recentemente) sulle 'geo-grafie' (scrittura-pittura) dell'artista pugliese Dario Damato, morto nell'autunno del 2013.  Con prefazione di Vitaldo Conte  edito grazie al contributo della Fondazione Banca del Monte di Foggia., presentato il 6 novembre scorso  dalo stesso l prof. Vitaldo Conte, docente di Storia dell'Arte Contemporanea e Storia e modelli dell'Arte-Terapia presso l’Accademia di Belle Arti di Roma (vedi Video)
Presentazione per la mostra tributo all'artista (30 Ottobre-22 Novembre)  presso la Galleria provinciale d’Arte moderna di Palazzo Dogana ( in Piazza XX settembre a Foggia)  “Dario Damato geo-grafie”, a un anno dalla scomparsa del grande maestro foggiano con  una selezione di  16 opere pittoriche di medie,  grandi dimensioni. 
A cura della stessa  Donatella Damato – figlia dell’artista, evidenziato come protagonista assoluto della Poesia Visiva contemporanea. 

Info ulteriori
 

L'INCONTRO DELL'ISLAM CON IL MONDO ESTERNO SUL PIANO DELLA STORIA.-3

Alla richiesta araba, il Makaukas avrebbe risposto, dunque, a nome proprio e dei suoi colleghi, che era per loro impossibile abbandonare la fede di Cristo per una religione di cui nulla sapevano. Il caso è tipico perché il Makaukas, che candidamente confessava assoluta ignoranza di quel che sembrava essere il principale motivo della guerra nella quale egli aveva parte preminente come governatore del paese e comandante di una delle due parti belligeranti, era ad un tempo stesso ecclesiastico e funzionario di rango elevato del governo bizantino. Quale fu allora, in pratica, l'atteggiamento delle due parti? I melchiti si estraniarono opponendosi e appartandosi il più possibile, gli eterodossi si sottomisero di buon grado cercando nel nuovo padrone un sollievo dalle passate persecuzioni e pur non stimando i musulmani, tuttavia si avvicinarono maggiormente ad essi per servirsene come strumento di vendetta contro i melchiti. Si trovavano non di rado nestoriani e giacobiti fra coloro che servivano volontariamente gli invasori e ciò non dovrebbe meravigliare se si considera che la condizione di quelli non mutava, essendo essi abituati già prima a vivere appena tollerati o in balia di stranieri, in esilio. Di contro i melchiti, già dominatori, si trovarono umiliati dallo straniero e risentivano fortemente della perdita dell'appoggio governativo sul quale sempre si erano basati e, per di più, l'essere equiparati agli eterodossi faceva loro di più ancora aborrire il dominio infedele. Si notavano, nel frattempo, casi di aperta positiva cooperazione dei monofisiti con gli arabi; così nella resa di Tagrit, in Persia, come l'atteggiamento dei copti in Egitto. Perciò gli arabi dovendo assumere funzionari cristiani preferivano gli eterodossi, il che spiegava l'esistenza di documenti cristiani laudativi del nuovo regime e fatti che attestavano delle ottime relazioni esistenti tra cristiani e musulmani in Levante ed in Armenia. In tal modo, successivamente, sotto gli Omayyadi si ebbe presto il funzionamento di un modus vivendi fra i seguaci delle due fedi, che solo in seguito con il mutare dell'atteggiamento islamico, cambierà aspetto. Viene quindi a cadere, da tali considerazioni, la leggenda posticcia degli arabi crudeli e fanatici, con tutta la coreografia conseguente. Motivi politici ed economici, più che religiosi (e la cosa si ripete ai giorni nostri), data anche l'incomprensione della dottrina da parte di molti - come si è visto-,portarono gli arabi ad imprese guerresche oltre i confini della loro terra: i facili successi e le ricchezze conquistate spinsero poi oltre. Pare, infatti, che l'idea missionaria, a cui venne associata la violenza - e l'idea totalitaria - penetrarono nell'Islam in seguito ai suoi contatti con i cristiani dissidenti. Si trattò, all'inizio, di una razzia in grande stile, non di una vera spedizione militare per convertire i cristiani, idea che esulava dai musulmani. Questo constaò Leone III Isaurico che affermava:"I Saraceni non fanno guerra, né per obbedienza ai loro capi, né come soldati di professione, bensì per avidità di lucro, per amore di vita libera e di brigantaggio, e inoltre anche per fanatismo religioso". Il concetto dell'unico motivo religioso predominante venne dalla grande impressione che fece lo sprezzo del pericolo da parte degli arabi in battaglia e della loro fede nel premio ultraterreno. Si trattava di una nuova e strana visione del martirio. Ci fu d'altra parte confusione fra le due idee: che il Paradiso spettasse ai morti in guerra e che si combatesse quindi per conquistare il Paradiso. Dal canto  loro i musulmani tennero di fronte ai cristiani un atteggiamento dettato all'inizio non animato da preconcetti religiosi, ma soprattutto dal tornaconto immediato, il che spiega la possibilità di convivenza fra le due fedi e il tributo dei vinti. D'altro lato, si deve respingere la teoria che vorrebbe far apparire tale tolleranza come una magnanima protezione. Bisogna invece riconoscere che gli arabi consolidavano il loro dominio agendo proprio con molto tatto e acume politico. Infatti, dapprima, i Califfi lasciarono le cose nel pristino stato e solo con il tempo si resero padroni di tutto permeando di islamismo il paese; da ciò la conferma di molti funzionari bizantini. Tale mossa conquistò loro subito il favore di questa categoria. La ragione di riflesso sta nella attribuita al califfo el-Mohtadi (IX secolo). "Ogni qualvolta ti possa essere utile un cristiano, prendilo, serviti di lui, perché i cristiani danno maggior affidamento degli ebrei, dei musulmani stessi e dei persiani; gli ebrei aspettano che il regno finisca in mano loro, i musulmani essendo della tua stessa fede cercano di portarti via il posto, i persiani dicono che una volta questo regno apparteneva loro". -3, continua.
Casalino Pierluigi, 5.01.2015