venerdì 7 giugno 2013

Letteratura Neonoir: M.A. Pinna: recensioni "Lo Strazio" e Mr. Yod non può morire

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** Mr. Yod non può morire (La Carmelina, Ferrara-Roma, 2012)

Recensione di Cinzia Baldini

 

 

E se un giorno il Padreterno si stancasse di vivere e provasse il desiderio di morire? Di condividere, quindi, il medesimo destino di quell’umanità che lui avrebbe creato "a sua immagine e somiglianza?"

 

Con un ragionamento, che un matematico definirebbe per assurdo ma che in realtà è assolutamente razionale, dal tono ironico e per alcuni versi anche comico, tale situazione l’ha ricreata la promettente autrice Maria Antonietta Pinna nelle pagine del testo teatrale che porta la sua firma: MISTER YOD NON PUO’ MORIRE.

 

"Vi ho convocato qui per dirvi che ho preso una decisione… 

 

non è facile per me dirvi quello che sto per dirvi,

 

sempre che riesca a dirvelo…

 

Non mi ricordo più quanti anni ho, sono stufo.

 

Yod di qua, Yod di la, Yod fai questo, fai quest’altro,

 

chi mi cerca a destra, chi a sinistra,

 

appelli, richieste, suppliche! Basta faxarmi,

 

telefonarmi, scrivermi, citofonarmi, basta pubblicità!

 

Sono stufo! Fuori servizio, chiaro?

 

E non mi riferisco solo a voi ma a tutti gli altri, a tutti!

 

Quello che nessuno ha capito è che voglio essere lasciato in

 

pace. In una parola aggiustatevi! Ne ho le tasche piene!" 

 

Nei tre atti in cui è suddivisa la sceneggiatura assistiamo proprio al maturare del proposito da parte di Dio di farla finita, di essere "falciato" dalla Nera Signora, dalla ricerca quasi disperata dei mezzi con cui attuare l’insano progetto ed infine, quasi a tempo scaduto, il drammatico ripensamento.

 

MISTER YOD NON PUO’ MORIRE è  un testo scritto in modo interessante e attuale la cui logica ineccepibile mette in discussione certezze sedimentate ormai da secoli. E un’autrice così dotata, Maria Antonietta Pinna, da essere riuscita a far calzare perfettamente e senza strappi la razionalità umana a quella divina del supremo ispiratore delle tre più grandi religioni monoteiste attuali.

 

La narrazione ha una costruzione strategica con richiami ad argomentazioni teologico/filosofiche e i personaggi selezionati per accompagnare, nei tre atti, lo sviluppo dell’autodistruzione portata avanti da Dio, sono, per il simbolismo che racchiudono, come le guide scelte da Dante per la sua commedia. Ed anche il lavoro di Maria Antonietta Pinna potrebbe essere proprio una "Divina Tragedia" avendo le caratteristiche di un dramma teatrale vero e proprio.

 

Il "deus ex machina" della questione sarà proprio l’uomo comune che riuscendo là dove Paracelso e Don Abbondio hanno fallito, si proporrà quale alter ego a Yod/Dio e con la sua logica razionale, semplice e disarmante, sintesi di quella eterna -molto più complicata perché costituita dall’essenza originaria dei concetti stessi- lo porterà a rivedere i funerei propositi.

 

Quando nel primo atto, Mister Yod tenta di mettere al corrente la sua assurda famiglia sulla decisione presa, e assistiamo a dialoghi insensati, monologhi senza capo né coda, rinfacci e accuse meschine, la prima sensazione, "a pelle", che ci assale è di ansia, impotenza, con un forte senso di soffocamento e irrimediabilità per una situazione talmente deteriorata da essere, ormai, fuori controllo.

 

È il problema dell’incapacità di comunicare che, presentandosi sulla scena quasi in sordina, assume via via contorni netti e definiti fino a risaltare chiaro in tutta la sua drammaticità.

 

La difficoltà di rapportarsi l’un l’altro, di costruire serie e proficue relazioni sociali non è solo una questione di "salto generazionale" in quanto, se è vero che esiste tra generazioni diverse, è innegabile, che sussiste anche tra i vari sessi più o meno coetanei o tra familiari che condividono lo stesso tetto.

 

La depressione, l’apatia, l’ipocondria, il rinchiudersi in un mondo proprio, il non riconoscersi anche se si sono condivisi sentimenti profondi quale l’amore materno o quello coniugale, altro non sono che manifestazioni del "male di vivere", tematica nota e conosciuta benissimo dalla società contemporanea.

 

Ben presto, un ormai amareggiato Mister Yod si accorge che a nulla serve abbandonare lo snaturato "nido" familiare e cercare di ritrovare il proprio io, la propria individualità, le caratteristiche della propria personalità, tra le formule segrete, gli alambicchi o i simbolismi esoterici del laboratorio medico di Paracelso, come accade nel secondo atto.

 

Stanco e disilluso il Nostro Protagonista cerca, nella terza parte, il conforto della religione impersonata suo malgrado, dal misero e codardo Don Abbondio. Errore madornale di valutazione da parte dell’Eterno, perché persino nella dottrina che dovrebbe essere sua diretta emanazione, non riconosce nessuna qualità, tantomeno si capacita di dover accettare bovinamente, solo "per fede", come vorrebbe il rappresentante della Chiesa, concetti che suonano ipocriti, falsi e banali persino alle Sue divine orecchie.

 

L’unico merito da ascrivere al pavido Don Abbondio è quello di aver messo l’immenso Mister Yod davanti al suo umile ritratto: l’uomo. L’Uomo Qualunque, quello che si incontra tutti i giorni per strada e di cui non resta memoria, "polvere alla polvere". Dio vi si rispecchia ma ciò che l’uomo –creato dall’Onnipotente e, mini creatore a sua volta, del mito di un Dio artefice della sua creazione- gli mostra, lo sconvolge ancora di più. L’uomo qualunque, senza tanti complimenti, lo mette davanti al fatto compiuto: latente, all’interno della Sua eterna coscienza c’è il male. Quindi se da Lui tutto è stato creato e tutto torna, anche a Lui che è Il Bene è da imputare la creazione della sofferenza, del dolore, delle iniquità, della negazione della vita per eccellenza: la guerra.

 

L’amara presa di coscienza, come un tarlo, inizia a divorare Yod dall’interno, ad acuire la sua crisi esistenziale, ad intaccare la sua immortalità e quindi ad avvicinarlo a quella dipartita, così a lungo agognata, indifeso, come tutte le altre Sue creature.

 

Più Dio riflette sul senso della morte, più essa si rafforza e si prepara a ghermirlo, più il sibilo della falce si avvicina, più Yod ci ripensa e non vuole morire. Ora che la sua mente super razionale è in comunione con quella degli uomini, si confonde, si perde nell’incapacità di comprendere perché la vita debba finire. Anzi perché l’esistenza debba essere un lungo cammino di espiazione verso il nulla della morte dove persino lui stesso, essenza creatrice per eccellenza, viene dimenticato, annullato dalla potenza del non essere…

 

"…ma adesso

 

che sono debole, vecchio, stanco, ammalato, solo, ridotto ad

 

un’idea dimenticata nel fondo d’ottuse coscienze, non voglio

 

più morire, non so perché, ma non voglio, io che sapevo, che

 

potevo tutto, non voglio, non voglio, non voglio morire...

 

(Si accascia al suolo mentre la sua voce

 

diventa il gorgoglio d’un agonizzante)."

 

SIPARIO!

 http://www.art-litteram.com/index.php?option=com_content&task=view&id=657&Itemid=22

http://controsensocomune.blogspot.com

 

  

giovedì 6 giugno 2013

Netpolitica: Beppe Grillo linka la Rai!

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Nonostante le discussioni delle ultime ore, la spartizione delle poltrone delle Commissioni, ha rispettato le previsioni. La presidenza del Copasir va al senatore leghista Giacomo Stucchi. Il Movimento 5 Stelle, come secondo i piani, si aggiudica la presidenza della Commissione di Vigilanza Rai. A Sinistra Ecologia e Libertà invece, finisce la Giunta per le elezioni che spetta a Dario Stefano.
Nelle ultime ore erano circolate notizie contrastanti sul fatto che fosse avvenuto effettivamente un accordo tra Pd e Pdl, soprattutto per quanto riguardava la vicenda Copasir, la presidenza più contesa. “Ho chiesto conto degli articoli di stampa su un accordo Pd-Pdl sulla presidenza del Copasir”, aveva detto il capogruppo di Sel alla Camera Gennaro Migliore, “e i capigruppo alla Camera del Pd Speranza e del Pdl Brunetta mi hanno detto che non c’è nessun accordo. Come capogruppo di Sel, ho ripetuto l’invito a votare la persona più competente per la guida del Copasir, Claudio Fava, già nominato miglior europarlamentare per il suo lavoro di inchiesta sulle ‘extraordinary renditions“. Migliore continuava a sostenere la candidatura del collega fino a poco prima del voto, chiedendo agli eletti 5 Stelle di sostenerlo: “Li ho invitati a convergere sulla candidatura Fava, si domandino perchè c’è tutta questa opposizione della maggioranza sulla sua candidatura”.
La vicenda Copasir resta il capitolo più contrastato. Il senatore leghista Giacomo Stucchi ora presidente del Comitato di controllo dei servizi di informazione ha dichiarato: “Sono stato eletto presidente con una elezione che ha testimoniato in un clima collaborativo la volontà di far cadere la scelta su una persona comunque esperta e collaudata”. Il senatore ha ricordato di aver presieduto in passato altre commissioni nonchè di aver contribuito a redigere proprio la legge istitutiva della Commissione: “Nel mio discorso di insediamento ho esposto la volontà di procedere a scelte al massimo condivise e nello stesso tempo ho chiesto la collaborazione di tutti, senza preclusioni di nessuno”. La prima riunione del Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti si terrà martedì prossimo e Stucchi ricorda che “dovremo lavorare su tematiche complesse e ora bisogna preoccuparsi di portare a casa i risultati” e in particolare all’odg della riunione di martedì ci saranno 3 argomenti: il rendiconto sull’attività svolta fino al dicembre scorso, aspetti economici legati al funzionamento del Comitato e un documento di rilevanza esterna. A chi gli chiede che impronta darà al suo ruolo, Stucchi ha replicato: “Sarò un presidente di garanzia che opererà per giungere a decisioni condivise”.
Sul piede di guerra restano i 5 Stelle. “La vicenda Copasir è vergognosa”, ha dichirato Riccardo Nuti, nuovo capogruppo alla Camera, “stamane in riunione dei capigruppo ho detto chiaramente a tutti che la verità è che la maggioranza si è scelta il presidente di una commissione importantissima e che per legge dovrebbe andare all’opposizione”. Gridano all’ipocrisia dai banchi grillini: “Al Pd, che parlava di prassi, ho ricordato che nelle precedenti legislature mai ci si sarebbe sognato di non dare la presidenza al più grande gruppo di opposizione anziché a coloro che sono sempre stati alleati del Pdl”... C
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/06/06/m5s-roberto-fico-e-presidente-della-vigilanza-rai/618288/
 

Paradossologia: Piero Sansonetti... la sinistra è di destra? *by Fondo Magazine

QUALE FUTURO?
Piero Sansonetti 


 
 
(PIERO SANSONETTI, estratto)
 
La sinistra si trova in una selva oscura, senza bussola, e deve trovare la via d’uscita. Le abitudini che ha preso nell’ultimo ventennio la spingono a cercare un aiuto che venga da fuori. Il vecchio vizio: Stalin, l’armata rossa, la Resistenza, Moro, le brigate rosse, Craxi, Blair, i giudici e infine Monti. Se non supera questo riflesso condizionato, se non rinuncia al Deus ex macchina, è spacciata. Morirà.
È immaginabile un Occidente – o comunque un’Europa ‒ senza sinistra, interamente piegato sul liberismo, privo di conflitti consistenti, guidato da una oligarchia incontrastata? Diciamo che è difficile immaginare una simile “stasi” in una situazione di pieno funzionamento della democrazia. La democrazia è un meccanismo che rifiuta l’assenza di conflitti e che comunque produce idee e alternative. Sono cose che stanno nel suo Dna e sono ineliminabili.
L’impressione però è che l’Europa sia entrata in una fase della sua storia nella quale la democrazia è sospesa. Da una parte la velocità imprevista della globalizzazione, dall’altra la quasi scomparsa delle funzioni degli stati nazionali hanno provocato un divorzio talmente rapido tra sovranità popolare e potere di decisione da provocare un vero e proprio collasso della democrazia. È saltato il percorso tradizionale che conduceva dal meccanismo elettorale al potere di Stato, perché è saltato il potere di Stato ed è uscita di scena la politica (esautorata dalla globalizzazione e delegittimata dall’attacco concentrico delle borghesie e della macchina dell’informazione). Con la democrazia in mora, per la prima volta nella storia recente, la scomparsa della sinistra dalla scena è una eventualità tutt’altro che impossibile. La sinistra non sempre produce democrazia ma la sinistra non può vivere senza democrazia.
Perciò è inutile sperare ancora una volta in un aiuto esterno, e cioè nella certezza che siccome in politica non esiste il vuoto, comunque vada una sinistra esisterà sempre. Non è così: il rischio scomparsa è consistente. E la possibilità di evitarlo non è nelle mani del destino ma solo ed esclusivamente nelle mani della sinistra stessa.
Cosa si può fare? Innanzitutto bisogna cercare di individuare gli elementi essenziali che negli ultimi due decenni hanno “tarpato le ali”. Credo che uno di questi sia stato la divisione. E cioè l’accettazione, da parte di tutti i gruppi dirigenti della sinistra, dell’idea che è bene che le sinistre siano due. La sinistra radicale e la sinistra moderata. E che di volta in volta queste due sinistre possano allearsi o invece combattersi. Sulla base di che cosa? Di due visioni diverse del mondo, della società e dell’economia. L’idea che ha prevalso è che questa diversità era la ricchezza della sinistra. Perché le permetteva di tenere al suo interno, pur nella sua articolazione partitica, “pezzi” di società molto diversi.
La convinzione che l’Italia avesse bisogno di due sinistre, naturalmente, ha sempre avuto una motivazione, per così dire, “storica”. Visto che è dal 1956 che le sinistre in Italia sono due e molto importanti. La sinistra comunista, rappresentata per mezzo secolo dal più forte partito comunista di tutto il mondo libero; e la sinistra socialista, più vicina alla sinistra europea, molto attiva ma sempre con la “zavorra”, come si è visto, della sua scarsa forza elettorale. Lo schema delle due sinistre, che ha dominato l’ultimo ventennio, è in gran parte eredità della vecchia diarchia di comunisti e socialisti. Solo che la divisione ha perso la sua forza di origine. Nel senso che la ragione della divisione tra socialisti e comunisti era evidentissima, sin dall’atto di nascita di questa divisione, e si chiamava Urss, Mosca, comunismo reale, culto della libertà. I socialisti non accettavano la dipendenza del Pci da un mondo illiberale che aveva portato all’invasione dell’Ungheria. E infatti la rottura tra Pci e Psi nacque in quei giorni, mentre i carrarmati russi occupavano Budapest per stroncare una ribellione operaia liberale, arrestavano il presidente Imre Nagy, comunista dissidente, e lo impiccavano. La concezione totalitaria della politica che era molto forte nel Pci, specialmente negli anni Cinquanta e Sessanta, era un motivo assai robusto di divisione in due della sinistra. E a rappresentare le due sinistre c’erano due parole fortissime e piene di contenuti, e di storia, e di teorie politiche: riformista e rivoluzionario.
La divisione in due della sinistra, successiva alla caduta del muro di Berlino nell’1989, francamente, è stata assai più fragile. In gran parte era una contrapposizione di nomi, di parole, di bandiere, di gruppi dirigenti. Naturalmente questo non vuol dire che non ci fosse anche una sostanziosa differenza di linee politiche. Chiaro che c’era e che c’è ancora, e riguarda essenzialmente il giudizio che si dà sul liberismo. Ma una differenza di linee politiche si affronta con gli strumenti della politica, e non può essere messa sullo stesso piano della vecchia incompatibilità ideologica, insuperabile, che c’era tra Pci e Psi.... C
http://www.mirorenzaglia.org/2013/05/piero-sansonetti-la-sinistra-e-di-destra/

Politologia: Quando la Russia era l'URSS

 

A  metà degli anni Settanta nella serie delle sue essenziali e suggestive narrazioni dedicate alle vite di uomini illustri o Paesi lontani, Enzo Biagi, giornalista ora scomparso, pubblicò "LA RUSSIA VISTA DA VICINO", libro illuminante sulla società sovietica brezneviana, che stava vivendo una stagione di stalinismo senza lacrime, dopo l'effimera e tormentata primavera krusceviana. "Quando dico che vado in URSS", Biagi precisava, "non posso che dire vado in Russia". L'URSS non era dunque altro che la Russia e come sempre non era tutta feste e caviale, nonostante le trionfalistiche gesta dei cosmonauti e delle sonde spaziali verso la Luna, Venere e Marte. Esce in questi giorni un interessante saggio destinato ad evocare proprio quelle atmosfere, 1961-1964, L'Unione Sovietica che ho conosciuto" dell'ex comunista e funzionario di partito Camillo Ferrari ed edito da De Ferrari, Genova, al prezzo di 14 euro. La Russia sovietica del disgelo e dell'impresa di Yuri Gagarin, del confronto con l'Occidente e del crescente dissenso ideologico e geopolitica con la Cina di Mao, emerge dalla viva ricostruzione di Ferrari, che anticipa quei segnali di progressiva disaffezione al sistema e il manifestarsi delle contraddizioni e delle disillusioni che ne portarono al crollo nel 1989-1991. La condivisione degli ideali comunisti non impedì a Ferrari di cogliere i limiti di un mondo che, proprio all'inizio del lungo inverno brezneviano, stava mostrando sempre di più il carattere russo che non comunista. Il Marx sovietico parlava un linguaggio grande russo e stentava a stare al passo con una realtà internazionale che andava complicandosi, mettendo in crisi il modello uscito da Yalta, con l'irrompere di nuovi ed imprevedibili protagonisti. La scena interna ed esterna alla Russia recepiva gli echi di un mutamento d'accento degli equilibri scaturiti dalla seconda Guerra Mondiale. La stessa successiva esperienza gorbacioviana porrà in luce la progressione di tale processo, con la disintegrazione del socialismo reale. Le sensazioni e le atmosfere della Russia di Kruscev e di Breznev, attraverso gli occhi e il racconto di Ferrari ci riportano indietro nel tempo, ma parimenti ci consentono di leggere le vicende di quei giorni non solo alla luce delle considerazioni dell'epoca, ma anche dell'attualità.
Casalino Pierluigi, 6.06.2013 

Letteratura italiana: intervista a Silvia Schino x "Kira" (La Carmelina edizioni)

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ROMA_FERRARA_BARI

Silvia Schino, "Kira" (La Carmelina, Ferrara-Roma, 2013)  Sulla scia del celebre romanzo di Bulgakov e di certa etologia culturale, ma in chiave- vedi intervista - non intellettuale, ma poetico-esistenziale, affascinante esordio letterario per la giovanissima nuova autrice di Bari. Di non frequente acume psicologico, inoltre,  in questa intervista, una sua ampificazione sul complesso incontro uomo-natura-animale e distruttività umana, dall'autrice rapidamente analizzato con - appunto-  parole "culturalmente" scorrette.
 
 cover Silvia Schino Kira (La Carmelina)
1. Kira è il tuo esordio letterario... una "anticipazione" più approfondita?
R - Si, Kira per me è un esordio. Ho voluto cimentarmi per la prima volta nella scrittura poiché ritengo che scrivere sia un bel modo per sfogarsi e per aprire la mente. Ho subito una grande assenza dovuta alla perdita della mia fedele amica a quattro zampe, (e chi ha amato veramente un cane saprà di che genere di dolore parlo.) E' un dolore che lascia un grande vuoto e una nostalgia che hai paura a condividere con altri per quanto possa sembrarti intima. Così l'unico modo per liberarmi l'ho trovato nella scrittura. Mi sono resa conto che più scrivevo, più raccontavo di Kira e dei miei ricordi vissuti con lei, più arrivavo a conoscere meglio me stessa. Non mi ritengo assolutamente una scrittrice, infatti il libro "Kira" nasce esclusivamente da una necessità personale nel far rivivere vecchi ricordi.
 
2. Una sorta , quindi, di diario minimo esistenziale attraverso la metafora uomo-natura e i migliori amici dell'uomo nello specifico?
R - Esattamente, "Kira" è un racconto sotto forma di diario. In questo libro faccio leva sui miei ricordi e tramite questi arrivo a descrivere la vita della mia cagnolina. Un cane di razza Cavalier Spaniel che riempirà le nostre giornate per ben 14 meravigliosi anni. Sono stati anni di convivenza, condivisione, conoscenza e approfondimento del rapporto dipendente e amorevole che può venirsi a creare tra un essere umano e un essere animale. Rapporto, quello tra uomo e animale, che porta a scoprire il vero amore, quello più semplice, più incondizionato, quell'amore senza termini di paragoni. In queste pagine nello specifico parlo di un cane, ma è chiaro che chi è in grado di amare gli animali, potrà ritrovare questo genere di amore ovunque e in chiunque.
 
3. Un romanzo quasi etologico (Lorenz ecc.) il tuo?
R - Non potrei dichiararlo tale. Lorenz è stato un grande studioso del comportamento animale e l'etologia è un'importante scienza che studia tale comportamento. Il mio libro non ha nulla a che vedere con una disciplina scientifica. In queste pagine troverete piuttosto un messaggio di rispetto e devozione tra due mondi così diversi tra loro, mondo umano e mondo animale. "Kira" lo definirei a tutti gli effetti un romanzo d'amore, in questo caso un amore tra una persona e un cane.
 
4. Tu sei anche specializzata in criminologia... l'etologia e l' avvicinarsi al mondo degli animali con più rispetto e sensibilità secondo te è un antivirus all'aggressività o distruttività contemporanea?
R - Proprio studiando criminologia ho dovuto fare i conti con realtà agghiaccianti e credo sia sbagliatissimo affermare che solo perchè una persona ami gli animali non sia capace di fare del male alla gente. Adesso dirò qualcosa che credo andrà controcorrente. Solitamente si dice che tutti coloro che amano gli animali siano più sensibili rispetto ad altre persone. C'è anche chi afferma che chi ama gli animali non potrà mai fare del male ad una persona. Sinceramente non credo molto in questo concetto. Non credo che amare gli animali ci renda più sensibili e buoni. Basta pensare a ciò che è stato capace di fare Adolf Hitler, lo stesso Hitler che era riconosciuto come vegetariano, sostenitore della natura e grande animalista. E di casi simili purtroppo ce ne sono tanti. Amare un cane non rende la persona che lo ama più buona o più sensibile. C'è gente che può amare un cane e ferire una persona, c'è gente che può amare molto un cane e amare meno le persone. Trovo però assolutamente veritiero il concetto opposto, ovvero chi è capace di fare del male ad un animale potrà farlo con facilità anche ad un proprio simile. Dunque amare gli animali non credo riesca a renderci più sensibili, piuttosto riesce a trasformarci in gente più viva. Se amiamo gli animali siamo portati ad essere più attenti a ciò che ci è intorno, siamo più svegli, più attivi. Amare gli animali significa possedere qualcosa in più, un valore aggiunto che non può che far bene, qualcosa che potrebbe persino trasformarci in persone migliori. Ho sempre creduto che gli animali avessero un'anima e specialmente ho sempre ritenuto che riescano ad avere un'anima migliore di tante altre di noi esseri umani. Uno spirito che ha a che fare con nobiltà, finezza, genuinità. Caratteristiche che all'uomo spesso vengono meno. Sprono chiunque a provare ad amare o quanto meno rispettare due occhi diversi dai nostri che ci guardano. Sono occhi che appartengono al mondo animale e fissandoli noteremo che non sono tanto differenti dai nostri occhi umani. Gli animali hanno la stessa capacità di percepire dolore e amore, la stessa capacità di emozionarsi. Portare loro rispetto è il minimo che possiamo fare e di questo noi potremo solo trarre giovamento. Che questo possa essere un antivirus contro l'aggressività lo spero.

 
*a c. di R. Guerra