lunedì 11 maggio 2009

PER UNA POSTPOLITICA FERRARESE di Graziano Cecchini e Roby Guerra

THE SCIENTIST 2.jpgDARWIN E LA PALEOPOLITICA FERRARESE

Il 2009 è anche il bicentenario di Darwin, oltre a...  data elettorale per Ferrara. Fin d'ora è già evidente a destra e a sinistra il solito politichese, forse è tempo di ricordarsi di ... Darwin e del calendario, siamo nel 2009. Troppo politichese, un Super Enalotto quasi di sindaci, assessori, liste civiche improbabili, la Ferrara-politik distante dai bisogni e i sogni dei liberi cittadini. Se il Centro Destra voleva vincere (speranza che rilanciamo comunque alla luce dei ballotaggi...per lealtà intellettuale) forse i suoi elettori e molti ferraresi stanchi della sinistra desiderano meno politichese: Per il ballottaggio sarà necessario  un Pdl finalmente unito, finalmente attento alle forze sane e rivoluzionarie dell'opposizione molto più visibile (leggi La Destra futuristica di Ferretti e Gargioni, Folda), più potente, agguerrito, dinamico, post-moderno... con più spazio alle forze giovani e culturali: si dovrebbe già marciare verso la vittoria senza i noti minuetti obsoleti (un buon esempio, visto da destra-per dirla con Alain de Benoist, fu- è-  la Battaglia sullo "Stile" dei Vertici (non dei vigili!) dei Vigili!).

Ma- con sguardi aperti. (siamo nel 2009), poichè dal punto di vista futuribile non esiste mai un unico scenario, anche a Sinistra (e lo dico-come premesso- in modo disinteressato) si evolvano, prendano sul serio tutte le proteste continue dei cittadini, riconoscano il fallimento del presunto rinnovamento dell'era Sateriale, largo alle forze nuove, giovani, femminili e culturali, esistenti in questa area, riconoscano l'Altro... ovvero Berlusconi, liberamente eletto da una forte maggioranza degli italiani, cambino stile di governo a Ferrara se vinceranno ancora o di opposizione a Roma..., finalmente critica. Legittimamente dura, ma non ideologica (lo dice anche un certo Cacciari).  Lo diciamo per Ferrara e Roma, ovvio, posteuropeee, postelezioni ferraresi.

Finora nulla di ciò. il canto del cigno di Dario Caronte Franceschini, Roma-Ferrara ad Alta velocità! Anche a Ferrara, per il futuro, è necessario, al di là della Destra e della Sinistra, ancor prima dei programmi, un salto appunto culturale... darwiniano!

E va da sè, sul territorio:

Le recenti note gaffe persino dell'Arci.. confermano la necessità a Ferrara di un salto darwiniano nella politica e anche nella cultura. Basta con la Destra e la Sinistra! E più rispetto verso 'altro, ricondurre gli scontri politici anche alla Politica come Gioco, magari secondo la Teoria dei Giochi. In ogni caso davvero rivelatore ancora a Ferrara l'attuale campagna elettorale generalizzata.

Nell'era di internet candidati che sciupano risorse con cartelloni e manifesti pubblicitari in genere orribili e inutili. Non servono a nulla. Risorse che potevano benissimo invece destinare a un fondo sociale per la città... Tale opzione di tutti (tranne eccezioni) ancora precibernetica la dice lunga sull'analfabetismo culturale e mediatico che caratterizza tout court i prossimi gruppi dirigenti che guideranno Ferrara. Fate un sondaggio test: i candidati navigano su Internet (tranne un paio... di eccezioni)? Gruppi dirigenti nel duemilanove che -presumibilmente appunto manco navigano (e lasciam perdere Facebook sorta di socialnetwork alla De Filippi...) nella Rete sono significativi sulla loro visione del futuro di Ferrara...


Roberto Guerra e Graziano Cecchini, futuristi

http://www.estense.com/?module=displaystory&story_id=50759&format=html

http://www.youtube.com/watch?v=YTxmofE7P54  filmato

domenica 10 maggio 2009

VALENTINA GAGLIONE PERFORMANCE

valentina gaglione.jpgVALENINE DE SAINT POINT.jpgTIFFANY ART CLUB AMERICAN BAR VALENTINA GAGLIONE PERFORMANCE

Brillantissima performance poetica, ben supportata da intervalli sonori electrodark, sabato 9 maggio all'American Bar Tiffany di Ferrara, già sede delle rassegne multimediali Tiffany Art Club 2007-2008  a cura del neofuturista Maurizio Ganzaroli ed altri futuristi ferraresi. Proprio Ganzaroli e la sua webzine futurist Sands From Mars hanno promosso e presentato la performance poetica della giovane artista, poetessa, scrittrice e videopoetessa Valentina Gaglione, una delle figure emergenti nella scrittura femminile nazionale.

www.myspace.com/dissonanzeridondanti

SUL VISO... TUTTE LE PAROLE DEL MONDO (edizioni Parole Sparse, 2009) la raccolta inedita recentemente collaudata dal team, dalla poetessa stessa e altri fini e non convenzionali dicitori. Versi originali tra esistenzialismo elettronico, minimalismo, neodecadentismo postromantico e di non frequente leggereza e comunicazione.

Art space di Tiffany discretamente gremito, in una serata ardua poichè conteporanea al... Palio e a una parallela inziativa artistica sulla Spal. E presente buona parte di certa avanguardia ferrarese, tra cui diversi video artisti, fotografi, scrittori, artisti eclettici teatrali d'avanguardia, tra cui Carlo Ottavi, Giovanni Ricci, Sylvia Forty e lo stesso Gianfranco Ganzaroli.

www.myspace.com/sandsfrommars

 http://a74.ac-images.myspacecdn.com/images01/58/m_fd811129a5ebcb5d86447955e33e6269.gif FILMATO

ERETICI DIGITALI

FREUD.jpgGli Eretici digitali
Di Sergio Maistrello

Due giornalisti storicamente a cavallo tra industria tradizionale dell’informazione e rete lanciano una conversazione per ripensare la transizione digitale. Un manifesto in dieci tesi che diventerà un libro. Intervista a Massimo Russo e Vittorio Zambardino

Questa è la storia di un libro che parla di eresie e tradimenti. Il libro in realtà non esiste ancora, ma nascerà da una conversazione. La conversazione parte da un blog appena inaugurato, Eretici digitali, e da un manifesto a tesi. Il manifesto a tesi racchiude il pensiero di due giornalisti, Massimo Russo e Vittorio Zambardino, che da quindici anni si sporcano le mani con la rete e con la transizione del giornalismo verso la rete. Non è tuttavia un manifesto sul giornalismo, quanto meno non solo: parla dei media in crisi, della rete in pericolo, di una politica ignorante e ossessionata, di diritti ancora da affermare, di nuove rendite di potere e dei limiti della retorica dell’innovazione. Propone di dare vita a un nuovo racconto dei media, adeguato al passaggio decisivo che rete, giornalismo e politica stanno vivendo. Eretici digitali, aggiungo per trasparenza, è un progetto che la casa editrice Apogeo ha deciso di supportare in tutte le sue fasi, dal blog al libro (che sarà pubblicato con licenza Creative Commons). Apogeonline ha il piacere di presentarlo oggi per la prima volta, facendo parlare chi l’ha ideato e lo condurrà.
Massimo, Vittorio, avete scelto parole drammatiche per introdurre le vostre provocazioni: eresia, tradimento, rottura. Perché vi definite eretici digitali?

Massimo Russo: In questo momento è come se ci fossero alcune rette parallele che non si incontrano mai. Ognuno va per la sua strada e se così continuerà a essere, si avvereranno le peggiori profezie a cui noi facciamo riferimento nel nostro manifesto. Da una parte c’è un establishment dell’informazione che fa grande fatica a capire che deve cambiare registro, strumenti e metodo nel fare il suo lavoro. Dall’altra c’è difficoltà da parte di chi invece è nativo della rete nel comprendere i conflitti e i rapporti di potere che si stanno formando dentro la rete, con rendite di posizione nuove e già molto forti. Sullo sfondo di tutto questo c’è la politica, che non capisce o fa finta di non capire, e che quando interviene sui temi della rete o dell’informazione lo fa in modo censorio e comunque poco tutelante della pluralità e delle libertà. Sopra tutti questi livelli ci sono le piattaforme, ovvero i nuovi mediatori del potere economico in rete. Se tutte queste parallele continuano a non intersecarsi è difficile produrre cambiamento. Il loro incontro, secondo noi, è possibile ed è possibile soltanto attraverso l’eresia.
Il vostro progetto prende spunto dalla crisi che attraversa il giornalismo. Non ne fate però una questione di carta o di contratti, ma di evoluzione antropologica: si è rotto un rapporto di fiducia, è stata ritirata una delega a informare. Sarebbe potuta andare diversamente? I media potevano arrivare al 2009 in posizione di guida nella transizione digitale e nell’empowerment dei lettori/cittadini della rete?
Vittorio Zambardino: Ci sono tre ambiti da tenere distinti: gli editori, il giornale come insieme di pratiche industriali e redazionali, e il giornalismo. Anche dove gli editori e l’industria dei giornali sono stati motivati a guidare il processo, e penso ad alcuni giornali americani come il New York Times o Usa Today e a giornali europei come il Guardian o come alcuni giornali scandinavi, comunque si è fallito. Dico fallito assumendo come criterio di misura l’essere sfuggiti alla crisi. Parlo della crisi preesistente a quella dei derivati e di Fanny Mae, quella che attanaglia le aziende giornalistiche, la vendita dei giornali e il mercato pubblicitario dei giornali da almeno cinque anni. Poi, al di là di alcune isole virtuose, c’è il problema della passività della comunità professionale rispetto a questa crisi. Stiamo parlando dell’Italia, ma è altrettanto vero nel mondo anglosassone: la comunità professionale ha vissuto l’avvento del digitale come un pericolo, come una minaccia. È un problema che avvertiamo in modo particolare, perché noi ci siamo sporcati le mani, abbiamo vissuto le bolle, abbiamo sempre scelto di stare in cucina, abbiamo tentato la strada della digitalizzazione del media tradizionale e della creazione di nuove forme e contenuti; crediamo insomma di aver capito come funziona questo campo. Il rischio che noi vediamo è che la crisi e il digitale facciano maturare nuove forme di comunicazione e informazione, travolgendo però la funzione della vigilanza democratica propria del giornalismo.
MR: Non è solo questione di avere qualcuno a Bagdad o a Kabul, stiamo parlando della capacità di raccontare gli intrecci del potere economico, di saper interpretare un bilancio, di fare domande e tentare di avere delle risposte in virtù della necessità di ricostruire il senso. Se mi guardo in giro vedo, in Italia ancor meno che altrove, tentativi dal basso di fare informazione che non riescono ad arrivare a compimento. C’è ovviamente una questione di industria, di imprese, di editori, ma io la sento soprattutto come una questione di tipo professionale, rispetto alla quale siamo ancora molto lontani dal veder fiorire qualcosa di nuovo.

Riprendo allora la domanda da un’altra angolazione. Forse se giornali e televisione avessero affrontato per tempo i temi della transizione, raccontando ai propri lettori e telespettatori una rete che non fosse soltanto finanza, cronaca nera e gossip, oggi molti più lettori, molti più giornalisti, molti più politici sarebbero in grado di comprendere ciò che sta avvenendo. Lo dico anche e soprattutto in virtù di presenze significative come le vostre nelle redazioni dei maggiori giornali. Come mai è stato ed è ancora così difficile far entrare questi temi nel racconto mainstream?

MR: La rete è stata percepita a lungo come altro. Per molto tempo si è negato a questa transizione e a tutto ciò che ci girava intorno la dignità di cultura. Poi, anche quando è stata riconosciuta come tale, è stata percepita comunque come uno spazio altro, una second life. Invece è completamente e pienamente first life: questo passaggio manca ancora al nostro mestiere, così come l’appropriarsi di tutto ciò che questa first life potenziata oggi consente.
VZ: È il nocciolo del tema che ci siamo dati. Peraltro noi falliremo il nostro scopo se il libro sarà definito solo “un altro libro sulla crisi del giornalismo”. In effetti l’avevamo pensato così, poi ci siamo resi conto che sarebbe stato un errore. Perché la frattura non è soltanto tra tra il mondo dei giornali e la cultura digitale, è tutta la società che conta, quella che dirige, l’establishment ad aver operato la grande rimozione. Da questo punto di osservazione tutto è illuminato, tutto va al suo posto: i giornali che conoscono solo la categoria dell’allarme, del moralismo, dello “strano ma vero”; la politica che oscilla tra il laissez-faire e il normare come se fosse carta; gli psicologi, la Chiesa… È l’establishment, è la società che non ha voluto riconoscere la crescita di questa alterità. Allora il tentativo che noi stiamo facendo è di descrivere insieme questi processi di rifiuto sociale del digitale.

Non siete teneri nemmeno con i cittadini della rete, mi pare.

VZ: Il popolo della rete non ha saputo fare il salto verso una cultura, uso una parolaccia, egemone. Se leggo i blog americani sento che sto leggendo la voce dei vincitori, gente che nella propria società ha determinato l’elezione del nuovo presidente. Da noi, invece, siamo ancora degli sconfitti, dei residuali. Noi questo processo virtuoso che per conto proprio giunge a crescita e maturazione e produce innovazione nella società non lo vediamo, vediamo solo una strada tremendamente accidentata. Nel momento in cui passano i fatidici dieci anni dall’uscita dell’innovazione, si impongono forme di business lontane dall’ideale prateria dove l’erba e la terra e l’acqua erano di tutti. Oggi la terra, l’acqua e l’erba sono di alcuni: di Google, di Facebook, dei grandi aggregatori di conoscenza.
MR: C’è una specificità tutta italiana in questo. Se tu vedi il panorama della blogosfera americana, tu hai molto spesso l’impressione di trovarti di fronte a un dibattito che nelle nicchie di pertinenza è molto elevato. Puoi non essere d’accordo, ma di qualsiasi cosa si parli hai comunque la percezione di un dibattito elevato da parte di persone che stanno portando valore nelle rispettive nicchie. Questo, leggendo i blog italiani, capita molto molto di rado. Più spesso trovi semplicemente ecolalia dei media tradizionali, ciangottio allo sciocchezzaio dell’agenda setting decisa dai media mainstream in quel giorno. Non è, questo, lo spreco di una grande occasione per portare in primo piano, anche nell’agenda dei media, questioni che solitamente non vengono trattate o vengono trattate soltanto da angolazioni scontate?

L’altro nodo cruciale che emerge nella vostra provocazione è il ruolo delle piattaforme, che definite non neutre, non neutrali. Potete spiegarmi meglio questo passaggio?

MR: Tu pensi che oggi sarebbe facile per un motore di ricerca riprodurre lo stesso tipo di innovazione che ha prodotto Google? Pensi che sarebbe possibile per le telecom e gli operatori di connettività entrare nell’arena e produrre innovazione? È possibile per chi fa produzione culturale avere pieno accesso e piena visibilità senza in qualche modo dover fare i conti con gli operatori fissi e mobili, che si trattengono una parte sempre più ampia di ricavi potenziali oppure che decidono in maniera del tutto insindacabile e a volte opinabile se puoi accedere o no alle loro piattaforme? Perché Apple deve decidere che cosa può o non può andare sul mio iPhone? Perché una volta che io ho consegnato i miei dati a Facebook o a un qualsiasi social network ho una vita difficilissima a scaricarli, riprenderli, capire quale uso ne è stato fatto? Queste secondo me sono domande centrali, che bisognerebbe che ci cominciassimo a fare. Laddove c’è una forte asimmetria di potere si rischia di rendere vane le potenzialità della transizione.

Nel 1995, quando Altavista era il miglior motore di ricerca al mondo, ci immaginavamo forse Google e la sua ascesa strepitosa? Allo stesso modo non potrebbero arrivare domani, nonostante le posizioni dominanti consolidate, pratiche che ancora non immaginiamo e che stravolgerebbero non le regole del mercato ma il mercato stesso? È davvero così drammatico il potere delle piattaforme in questo momento?

MR: Secondo me sì, perché c’è stato un salto di qualità. La superiorità di Google non sta più sull’algoritmo e sulla straordinaria capacità di mettere in connessione server farm e potenza di calcolo, ovvero i due fattori all’origine del decollo del motore di ricerca. Google è riuscita, così come stanno riuscendo altri nelle rispettive aree, a consolidare questa superiorità iniziale di prodotto con una superiorità economica in aree da cui è molto più difficile essere scalzati: la metà di tutti gli annunci economici che oggi passano attraverso la rete è intermediata da Google. Inoltre il divario rispetto a ogni possibile concorrente si allarga ogni giorno: Google è stata la prima azienda a capitalizzare il lavoro degli utenti sul proprio prodotto; ogni ricerca fornisce informazioni di navigazione, informazioni sulle preferenze, informazioni sulla conoscenza umana. Google è il primo vero strumento semantico. Per questo si permette di lanciare iniziative come la speech recognition, che non rientreranno assolutamente negli investimenti, ma che servono per immagazzinare il linguaggio umano. A meno di interventi di altro tipo, tipo antitrust, difficilmente altri operatori avranno la possibilità di avere la stessa carica dirompente.
VZ: Sia chiaro che tutto il nostro discorso non avviene sulla base di una reazione neoluddista. Nasce invece da una passione sfrenata e da straordinaria ammirazione.
Quello che è successo nei giorni scorsi a Vittorio su Facebook - la sospensione immotivata del profilo e la battaglia di principio che ne è conseguita - è un buon esempio della vostra tesi sull’habeas data (l’habeas corpus esteso alle informazioni personali). Evidentemente la tesi è stata scritta prima di questo episodio, tuttavia ne è una dimostrazione lampante.
VZ: L’aspetto più interessante di questa vicenda è che ho avuto molti commenti: una buona metà di questi erano ostili. L’argomento principale usato contro le mie posizioni è che se entri in un sistema e ne sottoscrivi i termini d’uso, il padrone fa quello che vuole. Siamo consapevoli dell’abisso antropologico e di civiltà che c’è in questa posizione? Sto parlando di cose vecchie e non digitali, come la politica, la civiltà, la Costituzione, la libertà di espressione. Ce le dobbiamo portare dietro queste cose o no? Quell’episodio mi ha interrotto il piacere della comunicazione con le persone. Tornare su Facebook mi dà la stessa sensazione di quando i figli sono cresciuti e tu passi davanti al luna park dicendoti: come ho potuto passare qui tante domeniche della mia vita? Però l’hai fatto. La mia battaglia culturale certamente continua.
MR: Dovremmo pensare a un codice condiviso da far sottoscrivere ai provider e agli operatori. Non misure cogenti, ma scelte volontarie, una carta dei diritti digitali all’interno della quale si dica che il cittadino ha il diritto di sapere in qualsiasi momento che cosa viene fatto dei propri dati, come fare a esportarli, ritirarli, riprendersi il valore che lui stesso ha portato ai social network. Se l’adesione dei provider, dei fornitori di connettività, dei social network, dei motori di ricerca avviene su base spontanea, altrettanto spontanea è poi la possibilità per gli utenti di decidere se va loro bene utilizzare chi aderisce a un set di regole condivise, chi riconosce questi diritti minimi di base, oppure se a proprio rischio e pericolo desiderano avventurarsi in zone che non li riconoscono. È un rapporto adulto, ognuno fa le proprie scelte. L’aspetto insopportabile in questo momento è l’asimmetria tra chi detiene tutta la conoscenza e chi è totalmente al buio.

Ora che avete presentato il manifesto e aperto il blog, come intendete proseguire?

MR: L’idea su cui si basa tutta l’iniziativa è far nascere una conversazione attorno a questi argomenti, prima ancora che nasca il libro. Il libro è un pretesto per riportare al centro questa discussione. Abbiamo intenzione di usare tutta la strumentazione metodologica della conversazione digitale: in qualsiasi manifestazione il libro sarà disponibile e riproducibile secondo licenze Creative Commons. Vogliamo rendere il pesce pienamente compatibile con l’acquario di cui parla, nella speranza di trovare altri pesci che vogliano partecipare a questa conversazione.
VZ: Siamo poi intenzionati a destinare ogni eventuale utile che deriverà dal libro a un’iniziativa di sviluppo del giornalismo e della cultura digitale in Italia. Non abbiamo ancora deciso forma e destinatari, potrebbe essere una borsa di studio per studenti, ma questa è la direzione che seguiremo.

Onestamente, che cosa vi aspettate da questa esperienza?

VZ: Vorremmo contribuire a un cambiamento del discorso, portare la conversazione su un terreno sul quale ancora non è arrivata, con spirito sereno. Non dobbiamo regolare conti in sospeso: Massimo non ce l’ha con nessuno, io i miei me li tolgo cammin facendo quando mi pare. Il libro è uno sforzo in positivo: dopo aver lavorato tanto negli ultimi quindici anni, un racconto che parta dal been there done that è già una buona cosa.
MR: Io mi aspetto molto, anche se temo che alla fine si finisca per accostarsi a questi argomenti secondo paradigmi prefissati. Noi in qualche modo siamo in una terra di nessuno, lo diciamo nella parte dedicata all’io narrante: la nostra corporazione non ci riconosce più; la rete tende a espungere il conflitto e qualsiasi ragionamento sul senso, nel migliore ci dice che siamo dinosauri morenti. La nostra speranza è che si possa fare come una volta nei saloon, lasciare le pistole fuori ed entrare disposti a discutere e a mettersi in gioco. La grande eresia che noi chiediamo è proprio questa: mettersi in gioco.

From www.apogeonlin.it

(a cura di David Palada)

http://www.youtube.com/watch?v=xVU50c-EQhc filmato

ARCI DINASTIA da Progetto Per Ferrara

ARCI 4.jpg
....Nella lettera pubblicata su un  quotidiano il 6 maggio 2009, il signor Maisto Assessore alla cultura, dice che abbiamo citato il suo nome a sproposito in riferimento al “democratico” affare Cona, la cacciata di Progetto per Ferrara dal circolo Arci. E dice che facciamo vecchia politica.

Forse il sottoscritto parla a sproposito, ma ci sembra che l’Assessore si dissoci da se stesso.
Dapprima rivendica una lunga militanza nell’ Arci ferrarese in cui ha ricoperto importanti incarichi fini a pochissimo tempo fa. Poi afferma che i dirigenti dell’ Arci non sono di nomina politica.

Noi avevamo tirato in ballo il signor Maisto sia in quanto per l’appunto, un pezzo notevole della sua vita lavorativa lo ha trascorso appunto nell’ Arci, ed inoltre in quanto attualmente Assessore alla Cultura e ci sembra che l’associazione si occupi o dovrebbe occuparsi anche di cultura.

Forse abbiamo un’idea di cultura assai diversa, probabilmente la libera circolazione di idee e l’informazione dei cittadini non rientra tra le categorie mentali che Maisto cataloga come cultura. Inoltre sulla stampa avevamo letto che il candidato PD Tagliani aveva definito papabile vice sindaco per l’appunto il Maisto.

Vorremmo che Maisto rispondesse semplicemente si o no a queste domande (retoriche): è vero o non è vero che l’Arci, attraverso numerose ramificazioni del terzo settore (associazioni, Onlus, cooperative sociali ecc) ogni anno percepisce contributi dall’amministrazione comunale, pagati dalle tasse dei cittadini? Di cui una quota anche dal suo assessorato? è vero o non è vero quanto apparso sui quotidiani all’indomani del fatto, da lui definito e liquidato con una parola:”strumentalizzazioni”?

E’ vero o non è vero che presso l’assessorato alla cultura (il suo) con incarico legato al mandato del sindaco, in qualità di Responsabile eventi culturali, lavora la Signora Maria Teresa Pinna, che sui quotidiani alle elezioni politiche del 2008, leggevamo “caldamente sponsorizzata dal sindaco Sateriale per una candidatura forte al Parlamento”, nonchè sorella del Sig. Pietro Pinna, RESPONSABILE IMMIGRAZIONE e Progetti Speciali  di Arci Ferrara?

E’ vero o non è vero che il Signor Iosto Chinelli, cugino del Sig. Maisto, attraverso la società Plastic Jumper, svolge consulenze tecniche informatiche per il comune di Ferrara, da ultimo curatore di Citybook, il network sociale inaugurato di recente del Comune ?

Rispondendo a queste semplici domande i cittadini giudicheranno qual’è la politica vecchia e quella nuova, qual’è la casta e quale forza politica è contro la casta.

Angelo Storari

Progetto per Ferrara

www.progettoperferrara.org

http://www.youtube.com/watch?v=gtCzmRPhMSo FILMATO

ROSSO TREVI SU IL DOMENICALE CAMPAGNA REATO FUTURISMO

GRAZIANO IL DOMENICALE.jpgGRAZIANO CECCHINI REATO DI FUTURISMO IL DOMENICALE

Piazza di Spagna.. rotola la vita

inviate una mail - per la raccolta firme contro
la condanna 8 mesi- per la performance -

info@ildomenicale.it

(oggi è in edicola il domenicale)
Azioni Libere!!! nella giornata dell'informazione
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GRAZIANO EUROPA.jpg

http://www.youtube.com/watch?v=n_utRlcwr1E&feature=player_embedded

FILMATO GRAZIANO CECCHINI ROSSO TREVI