Il latino di Dante. Questione rilevante anche in relazione al volgare.



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Da: Pierluigi Casalino <pierluigicasalino49@gmail.com>
 
Il pensiero linguistico di Dante è caratterizzato, innanzi tutto, da una impostazione teorica in cui il latino e il volgare si oppongono. Pur essendo fondamentale nella sua teoria, questa opposizione non e storicamente sempre rigida, come è stato dimostrato in molti studi . Infatti, anche nella tessitura stilistica che vediamo nelle opere volgari di Dante, si intravede subito la ricchezza, sia lessicale che morfologica, dei vari dialetti italiani a lui contemporanei, e si palesa la sensibilità del Poeta per le varianti linguistiche. Si tratta di un contrasto che non si limita ad essere un contatto tra le due lingue, ma che comprende anche un contatto tra diversi mondi culturali, cioè tra le diverse esperienze letterarie del Sommo Poeta. Per approfondire i punti suggeriti sopra, esaminiamo l'idea di latino e quella di volgare nel Convivio e soprattutto nel De vulgari eloquentia, notando che esiste una certa differenza tra queste due opere cronologicamente parallele. Nel Convivio, la lingua volgare, oltre ad essere "la lingua di si" che e un concetto a base linguistica, e anche la lingua degli "illitterati", concetto questo a base storico-sociologica. Invece, nel De vulgari eloquentia, il volgare e addirittura "lingua materna", sebbene la sua forma sia smarrita nella selva dei dialetti italiani. Per quanto riguarda il latino, le due opere presentano aspetti diversi. Mentre nel Convivio "latino" sta ad indicare la lingua latina, nel De vulgari eloquentia Dante usa il termine "gramatica" che indica si la lingua latina, ma potrebbe anche indicare una delle sette arti liberali, una disciplina. Considerata tale discrepanza linguistica, tra le opere e a volte fin dentro i singoli trattati, possiamo dire che l'opposizione tra le due lingue non è netta, ma ricca di sfumature. Non è sempre facile capire bene le quattro caratteristiche del "volgare illustre" ("illustris", "cardinalis", "aulicus", "curialis") del De vulgari eloquentia (capitoli 16-19 del primo libro), senza un'interpretazione approfondita. Soprattutto la quarta "curialis" e il punto su cui si carica la piu forte tensione. Analizzando la modalita retorica dei brani considerati, credo di aver dimostrato la possibilità di una lettura piu chiara, nonché la possibilità di una pluralità  interpretativa. In breve, l'aggettivo "curialis" non è derivato da sostantivi come "curialitas" o "curia"', si tratta bensi di una figura etimologica aggiunta dopo per dare l'apparenza di una trattatistica. Questa è una mera ipotesi, che pero ha almeno un vantaggio, che è quella di permettere di capire meglio la differenza tra curiale e aulico. Con questo tipo di analisi, si potrebbe dimostrare che anche il "vulgare illustre" è la conseguenza di una premessa astratta. Il nodo del problema è il concetto del latino nella prospettiva linguistica di Dante, nella sua poesia e soprattutto nel Convivio e nel De vulgari eloquentia. Il volgare era la presenza dei vari dialetti italiani cosi come Dante li vedeva. Il latino, pero, e, come suggeriscono molti dantisti, una somma di due tradizioni: quella del latino classico e quella del latino medievale. Ne consegue che il contrasto tra le due lingue e basato su una valutazione di Dante in quanto poeta-teorico, un confronto rafforzato dall'astrazione che ne deriva, sicché la bipartizione "latino-volgare" prepara un vuoto semantico in cui giocano le idee filosofiche e poetiche del Poeta, vale a dire un nuovo spazio aperto al futuro in cui riaffiora il volgare nobile.
Casalino Pierluigi 

 
 


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Roberto Guerra