H. M. Enzenseberger e l'intellighenzia tedesca di sinistra contro la Merkel e il mito mutlietnico


IL GIornale fonte


di - Mar, 09/02/2016




L a conformità ai dettami della Cancelliera Angela Merkel, fautrice delle frontiere aperte, è diventata la nuova questione tedesca. E gli intellettuali germanici più autorevoli, in specie quelli che contano tra i 68 e i 74 anni, segnano una svolta decisiva nel modo di concepire e raccontare il fenomeno dell'immigrazione di massa.

Soprattutto dopo gli odiosi fatti di Colonia, quando a San Silvestro un esercito di falsi richiedenti asilo ha esercitato violenza di gruppo contro le libere donne renane - né è andata meglio, nella stessa città, durante il Carnevale: 2.500 poliziotti schierati per la sicurezza e uno stupro compiuto da un afgano -, ha preso forma una riflessione sul senso della cultura tedesca.Il dato nuovo, parallelo all'attuale dibattito francese sulla sovranità nazionale, è che in Germania pensatori di destra, di sinistra e di ultrasinistra, ora si schierano compatti su un identico fronte. Quello della difesa dei confini nazionali, geografici e antropologici, destinati all'oblio da un credo politico buonista. Tra le fila dei «nuovi nazional-conservatori», come li chiama la Süddeutsche Zeitung che racconta quanto via via dichiarano docenti, filosofi e scrittori a proposito di quella che è vissuta come rinuncia alla sovranità politica, spicca il filosofo e saggista Peter Sloterdijk, classe 1947, rettore della Hochschule für Gestaltung di Karlsruhe, dove insegna Estetica e Filosofia. Critica della ragion cinica è la sua opera più nota, ma Sloterdijk, che ha in Jürgen Habermas un profondo oppositore, viene ritenuto un controverso maestro del pensiero scettico, spesso pronto alle provocazioni. Come quella lanciata dalle colonne della rivista Cicero. «Il governo tedesco, con un atto di rinuncia alla sovranità, si è arreso all'invasione. Non abbiamo imparato l'elogio della frontiera. In Germania si continua a credere che un confine esista unicamente per essere oltrepassato», attacca l'autore Suhrkamp.
E sottolineando come i tedeschi che vogliono frontiere aperte siano immersi nel «sonno dei diritti», Sloterdijk conclude: «L'autodistruzione non è affatto un dovere morale». Sulla Grenzenvergessenheit, l'«oblio dei confini» che richiama il concetto heideggeriano dell'«oblio di sé», il docente porta avanti una discussione politica iniziata nel 2006 con il saggio Zorn und Zeit («Collera e tempo»), dove teorizzava una storia mondiale dell'ira collettiva, un furore omerico che si formerebbe proprio nei paesi di cultura islamica. A detrimento dei paesi occidentali più «pacificati» dalla democrazia, Germania in primis.Non è meno risentito Botho Strauss, classe 1944, uno dei grandi innovatori del teatro tedesco dai Settanta in poi, che nei suoi testi (Grande e piccolo, Il parco, Trilogia del rivedersi) mescola sociologia e mito, banalità e riflessione dotta dentro un quadro romantico antiborghese. Già marxista adorniano, convinto della supremazia della ragione, il drammaturgo prende posizioni decise contro la politica della Merkel con un intervento su Der Spiegel, intitolato Der letzte Deutsche, «L'ultimo tedesco», dove si legge: «Talvolta ho l'impressione di stare tra tedeschi soltanto in mezzo agli antenati». Acuta è la nostalgia delle grandi menti del mondo di ieri, da Ernst Jünger e Stefan George a Friedrich Nietzsche, «la cui tradizione spirituale, nella Germania d'oggi, non ha più alcun senso». Lo scrittore, poi, si scaglia contro «il sempre più imperante conformismo politico-morale» e contro «i partiti, che oggi si riconoscono esclusivamente nella causa dei diritti civili per le coppie omosessuali», invece di preoccuparsi «dell'invasione del paese da parte di stranieri che preservano il proprio senso di estraneità». La cultura tedesca, insomma, per lui è dissolta nella livellante società multiculturale. Un altro intellettuale di sinistra che ha virato su posizioni conservatrici è Rüdiger Safranski, 71 anni, conosciuto per le sue biografie-bestseller su Schopenhauer, Heidegger e Schiller. «Quando la Cancelliera dice che la Germania deve cambiare, io vorrei, per favore, che almeno me lo chiedesse. Oggi in politica regna un moralismo sempre più infantile.
La Merkel non ha il mandato democratico per sfigurare un paese come la Germania, dove affluiscono milioni di immigrati islamici», spiega Safranski sulla Weltwoche, accusando la Merkel e i giornalisti prezzolati di «ingenuità» ed «estraneità al mondo reale».L'umanitarismo mondialista viene visto come male anche dallo scrittore ed editore Frank Böckelmann, classe 1941, che militava a sinistra insieme a Rudi Dutschke e che ora, da direttore della rivista Tumult, dedicata alla «distruzione del consenso» (così in copertina), non usa mezzi termini. E lancia il concetto di «ipermorale», cioè di un'ipertrofia morale che deriva direttamente dall'umanitarismo, quell'ideologia uniformante che ha strappato l'uomo alla sua comunità d'appartenenza, per immetterlo nella «società multitribale». Di Hypermoral ha parlato, per primo, il padre dell'antropologia filosofica Arnold Gehlen, contrario all'«etica del discorso» veicolata da Habermas.C'è poi il nome dei nomi della classe intellettuale tedesca, quello del poeta e scrittore Hans Magnus Enzensberger, pensatore di riferimento dei sessantottini tedeschi, profetico nel predire, prima della «grande immigrazione», l'infelicità collettiva ascrivibile all'emigrazione incontrollata e al terrorismo. Nei saggi scritti tra il 1992 e il 2006 l'autore 87enne maledice «l'omogeneizzazione culturale del Vecchio continente» e adesso, a chi gli rimprovera una svolta reazionaria, risponde: «Se critichi i risvolti autoritari della Ue eccoti bandito, in compagnia di Le Pen. Ma bisogna avere il coraggio e il gusto di pensare con la propria testa, e dirlo con la propria lingua». È chiaro che «la regina d'Europa», Angela Merkel, per gli intellettuali tedeschi ormai è nuda.