giovedì 4 luglio 2019
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mercoledì 3 luglio 2019
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martedì 2 luglio 2019
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Dinaminismo X: Intervista a Rita Stanzione
La poesia come Fare Anima nell'era del computer?
Per Fare Anima la poesia è stata in grado di adeguarsi al mondo digitale. Elargita quotidianamente da una miriade di voci, fruita come realtà immediatamente raggiungibile, letta, scaricata, archiviata e rintracciabile con un click. Forse tanta celerità e abbondanza penalizza quel respiro del tempo che andrebbe dedicato alla lettura profonda di un testo o di una raccolta, rischiando di trasformare anche la poesia in un'esperienza superficiale presto dimenticata. Di contro, con l'era del computer si è realizzata la possibilità di conoscere autori meritevoli altrimenti non divulgati, scoprire temi e cifre stilistiche vicini alle propensioni personali e anche orientarsi nell'ampliamento della propria libreria, materiale o virtuale.
Uno zoom autobiografico?
Ho iniziato a scrivere, senza averne in precedenza precisa intenzione, in tempi relativamente recenti. Si è trattato di un momento in cui sentivo il bisogno di raccogliere e conservare immagini nitide e forti, dare i dettagli alla luce. La passione è cresciuta e da allora non ho smesso di afferrare l'istante, fissare il pensiero: sensazioni, ricordi, osservazioni e visioni altrimenti perduti in luoghi vaghi della memoria, magari mai più recuperati. Credo che la poesia debba concedere un margine d'immaginazione, come un'ombra o rigo bianco, prendere strade diverse (e complementari) a seconda del lettore, finire in atmosfere che forse non erano del tutto palesi al momento della creazione, sempre che le suddette atmosfere non si allontanino troppo dalle origini.
Il dinanimismo, la tua personale visione?
Il dinanimismo per me è flusso poetico che si rivolge alle coscienze, una voce collettiva sul bisogno di mantenere alta la sensibilità verso fenomeni che riguardano l'uomo, la natura, la società. Un messaggio in evoluzione, con il principio di fondo di cercare la bellezza e di contro ribellarsi a brutture e oscurantismo.
Il futuro della poesia, come lo immagini?
La poesia è una necessità, come lo sono tutte le arti. È capace di intersecare immaginazione e realtà, sfociando in una consapevolezza speciale di profondità. Avrà sempre interpreti e cultori, quindi non può che continuare il suo corso, magari in forme rinnovate rispetto ai canoni tradizionali, più vicine alla prosa.
Qualcosa che non ti abbandona?
Un pensiero che mi assilla è quello del tempo cronologico che non si lascia modellare dalle necessità, con la conseguente caducità degli attimi preziosi vissuti. Un sogno sarebbe addomesticarlo al tempo interiore, farne una sorta di scultura che non si lasci scalfire dagli avvicendamenti, dalle galoppanti stagioni. Forse è stata tale ossessione una delle spinte maggiori a che intraprendessi la strada della poesia.
Nota biografica
Rita Stanzione, nata a Pagani, risiede attualmente a Roccapiemonte (SA). È stata per sette anni a Milano, dove ha avuto inizio la sua attività lavorativa di docente nella scuola primaria, che continua tuttora con la specializzazione per la disabilità. Ha proseguito gli studi nell'ambito delle Scienze Agrarie.
Si dedica alla scrittura di poesie, comprese brevi composizioni in metrica (haiku, tanka, Petit-Onze e altro). Di recente ha iniziato a comporre racconti brevi e ha preso parte a un romanzo collettivo di prossima uscita. Pubblica i suoi testi in più siti letterari e fa parte, insieme ad altri autori, del blog di poesia Comelacquasuisassi.
http://ritastanzione.scrivere.info/ https://www.facebook.com/rita.stanzione
NOI ROBOT eBook- DAVIDE LONGONI-UN ESERCITO DI ROBOT
Quaranta scrittori professionisti di fantascienza, fra i quali figuravano Gregory Benford, Joe Haldeman, Larry Niven e Jerry Pournelle, vennero convocati nel maggio 1985 alla Wright-Patterson Air Force Base, nell'Ohio: il tema dell'incontro convergeva su uno studio particolareggiato del soldato del futuro. I risultati dell'incontro sono in parte ancora oggi top-secret, ma sappiamo che fin dagli anni Sessanta gli Stati Uniti stanno studiando il sistema di creare un nuovo tipo di militare: il cosiddetto Supersoldato.
Come non pensare al fumettistico Capitan America della Marvel?. Fu il caso del progetto Hardiman, commissionato alla General Electric in quegli anni di "guerra fredda", ma in seguito annullato. Si trattava dell'idea di rinchiudere i soldati in armature robot capaci di moltiplicare la loro forza, rendendoli praticamente invulnerabili (e qua gli esempi si sprecherebbero: "Tekkaman", "Gordian" e il più recente "Patlabor" nei cartoni animati giapponesi, per non parlare degli esoscheletri utilizzati nella saga cinematografica di "Alien").
Intorno agli anni Novanta i Los Alamos National Laboratories avviarono un progetto simile, denominato Pirman e diretto da Jeffrey A. Moore. La corazza ideata da Moore avrebbe dovuto avvolgere il proprio occupante in strati di grafite, teflon e ceramica allo scopo di proteggerlo da qualsiasi cosa: dai proiettili alle armi batteriologiche (oggi bandite in ogni stato da trattati internazionali… ma sarà poi così?). In base al progetto il movimento degli arti avrebbe dovuto essere controllato da piccoli motori elettrici, guidati dal soldato mediante onde cerebrali.
Frank Barnaby, ex-direttore del Sipri di Stoccolma, era convinto, a quei tempi, che in un futuro non troppo lontano si sarebbe arrivati ad eliminare gli uomini dai campi di battaglia, sostituendoli con dei robot. Beh, quel futuro è ancora lontano, anche perché nel frattempo sembra che l'industria bellica abbia spostato il proprio obiettivo sulla creazione delle cosiddette "armi intelligenti", per quanto possa essere intelligente l'uso delle armi.
In questa direzione sono andati infatti gli studi della Darpa (la maggior agenzia di ricerca del Pentagono), che ha lavorato al problema realizzando l'Autonomous Land Vehicle. In sostanza, si tratta di un carro armato, capace di muoversi da solo su qualunque terreno, superando vari ostacoli. La sua migliore applicazione però non è avvenuta in campo bellico, bensì, in tempi molto recenti, per le sonde inviate su Marte. In ogni caso, pare che in futuro questo veicolo potrà essere anche in grado di affrontare il nemico da solo, visti anche i grandi successi ottenuti nell'esplorazione spaziale.
Sempre secondo Barnaby, l'uso generalizzato di questo tipo di macchine potrebbe cambiare il concetto stesso di vittoria, che automaticamente spetterebbe all'esercito in grado di schierarne di più. In questo caso le perdite umane potrebbero (e il condizionale è d'obbligo in casi come questi) essere minimizzate, in quanto la presenza dell'uomo sarebbe necessaria solo nell'occupazione fisica dei territori conquistati.
La sostituzione dei soldati umani con dei robot potrebbe divenire una realtà inevitabile a causa del calo delle nascite nei paesi industrializzati, Stati Uniti in testa, oltre ai fattori consequenziali della diminuzione della disoccupazione e della diffusione dell'obiezione di coscienza, che rendono sempre più difficile trovare giovani per gli eserciti.
Soldati e carri armati robotizzati sarebbero solo il primo passo verso il futuro nel campo della guerra (anche se noi tifiamo per la pace), che potrebbe anche essere popolato un domani di astronavi da guerra, alla stregua di tanti romanzi e film di fantascienza. Ma allora, sarebbe già scienza!
*DAVIDE LONGONI curatore La Zona Morta magazine e scrittore fantasy
see http://futurismo2000.blogspot.com