martedì 13 gennaio 2015

Il sale della democrazia

I fatti di Parigi e la deriva del fanatismo, di ogni fanatismo spinge ad una riflessione di fondo. La laicità, anche di chi crede nel soprannaturale, è la base del confronto e della convivenza, è una conquista ormai ineliminabile dal vocabolario della democrazia. Anzi è forse l'anima stessa della democrazia. In Paesi dove molte sono le fedi e molte le etnie spesso il limite della sopravvivenza del sistema è proprio questo. I multi-confessionalismi rischiano di scontrarsi e deflagrare se a tenerli insieme non c'è questo collante istituzionale e morale. Senza di esso una parte prevaricherebbe sul tutto. Tutto questo rientra nel patrimonio dell'Occidente, anche se in passato, in sistemi complessi e multinazionali come l'Islam classico (non quello caricaturale, pericolosamente caricaturale che propagandano i fanatici dell'ultima ora), l'Impero Ottomano ed altre sovranazionali nel mondo, ci sono stati esempi confortanti di convivenza, pur senza approdare alla democrazia. Senza laicità la democrazia non funzione, senza laicità non c'è nemmeno il rispetto del sacro o delle diverse visioni del sacro: la laicità è la garanzia del sacro, è persino la via della salvezza ultraterrena. sempre che sia possibile, per chi non crede. Il dialogo e il reciproco ascolto delle coscienza sono elementi irrinunciabili in democrazia, sono il sale della democrazia. Arrestare la deriva irrazionale è un imperativo della nostra civiltà, prima che il sonno della ragione generi nuovo mostri.
Casalino Pierluigi, 13.01.2015

Prolusione di Pierfranco Bruni per Bodini e Sciascia a Taranto

Redazione



Venerdi 16 Gennaio Evento Nazionale La Letteratura del Novecento:  Bodini - Sciascia. Prolusione di Pierfranco Bruni
Taranto  - Presenza  Lucana  -

Il 16 Gennaio prossimo si celebra a Taranto un importante evento dedicato alla letteratura del Novecento con una serata su Vittorio Bodini nel Centenario della nascita. La Prolusione su "Bodini nostro contemporaneo" sarà svolta da Pierfranco Bruni, scrittore e Responsabile Progetto Etnie - Letteratura del Mibact. L'evento è organizzato dall'Associazione Culturale "Presenza Lucana" diretta da Michele Santoro, che festeggia i 25 anni di attività.
La manifestazione, fissata per le 18.30, nella Sede di Presenza Lucana, ha lo scopo di valorizzare le letterature mediterranee all'interno del contesto del Novecento. La Prolusione di Pierfranco Bruni, esperto, tra l'altro, di letteratura del Mediterraneo, punta a delineare aspetti e dettagli non solo del Bodini poeta, ma anche a strutturare una visione dei rapporti che Bodini ha  intrattenuto nel panorama della cultura europea: da Rafael Alberti a Leonardo Sciascia.

"La corrispondenza tra Bodini e Sciascia, sottolinea Pierfranco Bruni, è un tassello importante in quella dialettica sul legame tra il Sud d'Italia e, appunto, le eredità e le presenze mediterranee. Sciascia costituisce una chiave di lettura per capire non soltanto il poeta Bodini, ma anche il Bodini intellettuale".

Si tratta di un evento di eccezionale significato che si realizza nel cuore della Magna Grecia e il confronto tra Sciascia e Bodini rappresenta un punto nodale nella storia dei Sud delle culture.
Evento, 16 Gennaio 2015. Presenza Lucana.

Futurismo barbaro 2.0

Antonio Saccoccio


Per una nuova marcia del coraggio, barbara e futurista


 
«Vigliacchi! Vigliacchi! vigliacchi!» scriveva Boccioni nel suo Pittura scultura futuriste (1914), urlando il proprio disprezzo per le abitudini servili degli italiani del tempo. Era profondamente indignato (qualcosa di molto lontano dall’indignazione modaiola di oggi), perché in Italia ci si attardava «nella coltivazione delle muffe del passato» e si aveva «per vigliaccheria, l'odio del nuovo».
Abbiamo bisogno solamente di coraggio. L’Italia manca di coraggio. Gl’Italiani non sono abbastanza coraggiosi (intendo: spiritualmente). É necessaria una cura di coraggio. La storia, la cultura, l’ingegno: bellissime cose (per i vigliacchi) ma non valgono assolutamente il coraggio.
Queste parole sono invece di Giovanni Papini, altro campione del libero pensiero, altro eretico a tutto tondo. La sostanza non cambia. Papini volle scrivere questa sua Marcia del coraggio (1913) per sostenere l’assoluta necessità di essere ancora più audaci di quanto lo si fosse in quel momento (ed erano gli anni futuristi di «Lacerba», rimasti insuperati per temerità). Il coraggio alla base e prima di ogni tentativo di pensiero e azione.
Noi stessi che cantiamo il coraggio, che invochiamo il coraggio, che predichiamo il coraggio, che abbiamo fatto del coraggio il nocciolo della nostra arte, il motivo del nostro pensiero, la regola della nostra vita — noi stessi che abbiamo più coraggio degli altri, più coraggio di tutti e che ci vergognamo dell’altrui vigliaccheria come di un nostro disonore — noi stessi che abbiamo tentato di sradicare i rispetti umani, i rispetti artistici, i rispetti ragionevoli e altre religiosità e venerazioni e devozioni pubbliche e generali noi stessi non siamo abbastanza coraggiosi.
Ecco, forse dovremmo iniziare a chiederci perché occorra andare indietro di un secolo intero per ritrovare dell’autentico coraggio. Il coraggio di scrivere e dire ogni giorno quello che scrivevano e dicevano i vari Boccioni, Marinetti, Papini, Pratella, etc.
È inutile cincischiare: ancora oggi chi ha davvero a cuore le sorti dell’umanità (la propria umanità e l’Umanità in toto) deve avere prima di tutto coraggio. Inutile affermare altri magnifici ideali, inutile prospettare ulteriori visioni del mondo, se prima non ci armeremo di autentico coraggio. Solo il coraggio potrà condurci alla svolta di cui abbiamo bisogno.
Partiamo pure dalla considerazione che viviamo un periodo assai cupo della storia del genere umano (ma abbiamo mai goduto di un periodo davvero sereno?), in cui siamo ormai asserviti ai meccanismi perversi avviati dalla modernità e impaludati nell’apatia dell’habitus postmoderno. Probabilmente siamo in condizioni peggiori rispetto a quelle di un secolo fa (quando la modernità sembrava promettere meno catene e più libertà). Ora, se desideriamo uscire dalla gabbia moderna e dalla melma postmoderna (mai mix fu più deleterio), dovremo procedere con un’audacia smisurata, lasciandoci per una volta guidare anche dagli impulsi vitali più irriducibili. Bisognerà nuovamente avere il coraggio di essere presi per stronzi e per matti, per esaltati e per pagliacci. Il coraggio di essere un po’ barbari e un po’ selvaggi. Il coraggio di sputare su tutti gli idoli e gli altari consacrati dall’idiozia di massa. La massa fa paura solo a chi non ha cuore (e coraggio). Quell’ammasso indistinto di corpi-cervelli che caratterizza la contemporaneità passatista e presentista (la massa, appunto) è ovunque ci sia vigliaccheria e manchi il coraggio. I ministri trentenni (o giù di lì) che parlano come pre-adolescenti primi della classe; e i parlamentari quasi centenari sempre adorati per il loro naturalissimo moderatissimo rincoglionimento. I giornalisti di stampa e tv che ci presentano la realtà in cui viviamo con almeno un decennio di ritardo; e i docenti universitari che, per doverosa serietà scientifica e per distinguersi dai giornalisti, di decenni di ritardo preferiscono averne almeno tre o quattro. Gli artisti colti che riempiono gallerie di minchiate colossali (in grado però di stimolare l’altrettanto colossale minchioneria dei critici d’arte); e gli artisti incolti che producono le stesse minchiate, ma le espongono nel circoletto alternativo orgogliosamente addobbato con le foto del mito Che Guevara. I ragazzotti di città che si annoiano tracannando immondi bicchieri d’acqua sporca (che si vende con il nome di “mojito”); e i ragazzotti di campagna che si fanno 20 chilometri per andare in città e bere gli stessi immondi bicchieri. E poi tutte le ricche celebrità che fanno generosa beneficienza, e tutti i poveri anonimi fessi che ammirano i ricchi famosi che fanno generosa beneficienza. Di tutta quest’anodina massa di corpi-cervelli (e di molto altro) si deve far beffe il nostro coraggio. Non dobbiamo aver paura di risultare antipatici, molesti, presuntuosi, superbi, arroganti, incompresi. Ce ne dobbiamo spavaldamente fottere del senso comune. Dobbiamo liberarci dalle troppe catene (materiali morali ideologiche) che ci hanno messo e ci siamo messi addosso. Senza il coraggio di far piazza pulita del tanfo mortifero che ci circonda, non avremo mai la possibilità di costruire nulla che sia realmente vivo.
Per questo motivo, prima di ogni altra analisi, prima di ogni onesto proclama, prima di ogni buon proposito
NON DOBBIAMO AVER PAURA DI DIRE
Basta con il continuo richiamo alla pazienza, alla saggezza, alla prudenza.
Basta con gli appelli alla responsabilità, alla moderatezza e al quieto vivere.
Non abbiamo più bisogno di speculazioni certosine, di analisi cervellotiche, di sofismi variamente elaborati.
Non abbiamo più bisogno di volti seri e facce compunte.
Non ci servono professori. Non ci servono critici.
Non ci servono specialisti. Non ci servono professionisti.
Non abbiamo bisogno di lavorare duramente per sentirci vivi. E non abbiamo bisogno dello svago imbecille per riprenderci dal duro lavoro.
Non abbiamo bisogno di un medico ogni tre quarti d’ora e di un avvocato ogni quindici minuti.
Non abbiamo bisogno di qualcuno che ci dica cosa fare e non fare ogni trentacinque secondi.
Facciamola finita con i cavilli delle leggi scritte. E pure con i richiami alla Magnifica Legalità e alla Intoccabile Costituzione.
Basta con i vigili e le guardie. Basta con i giudici.
E poi basta con le scuole, le officine, le caserme, le prigioni, gli ospedali.
Basta con gli esami, i concorsi, le qualifiche, i titoli, i premi.
Basta con le banche e con le assicurazioni. Basta con il grigiore impiegatizio.
Basta con tutto il miserevole corredo istituzional-burocratico che abbiamo creato in secoli e secoli di civilissima condivisissima auto-repressione.

*da AA.VV. Non aver paura di dire (Heliopolis) a c. di Sandro Giovannini


Charlie e i Diritti Negati

LegalComunity/UfficioStampa


DOPO IL SANGUE DI CHARLIE BISOGNA GUARDARE AI DIRITTI NEGATI

 Alla soluzione del problema dell'integrazione, da cui deriva tutta questa violenza, non basta un intervento solo sul piano delle norme: l’affermazione di un diritto in linea di principio non può prescindere dalla sua garanzia materiale.

 INFO Legal Community 

  MAG by legalcommunity.it    

Ferrara e l'architettura....

Alberto Ferretti

Oggi è stata postata questa lettera alla Nuova Ferrara in cui tal Massari (socialista di sinistra) dice che l'architettura fascista a Ferrara comporta nefandezze urbanistiche.
questa è la mia risposta:
Forse questo spocchioso signore si riferisce al polo chimico (ex Montecatini etc.) edificato dal fascismo nella prima periferia della città. Ma non è dato di saperlo perché non ha specificato quali sarebbero queste nefandezze. Egli dovrebbe, in ogni caso, capire che gli interventi urbanistici vanno contestualizzati all’epoca in cui sono stati fatti. Ai tempi del fascio non vi era la sensibilità (e la conoscenza di danni che possono derivare da esalazioni etc.) che abbiamo oggi, pertanto non si può certo fargliene una colpa, ma anzi essi privilegiavano il LAVORO, l’industrializzazione e la produzione, quali motori dello sviluppo economico e sociale dei territori. Mentre invece vi era grande sensibilità per gli edifici storici e le tradizioni (vedi Palio ad esempio).
Inutile tentare di spiegargli, quindi, che lo stile razionalista inventato dal fascismo è tutt’oggi motivo di studi e ammirazione da parte di studiosi ben più titolati di lui sull’argomento.
Diversamente, nel dopoguerra si che vi fu speculazione edilizia, con abbattimento di lunghi tratti di mura senza salvaguardare il patrimonio artistico/architettonico.
Per cui se c’è qualcosa da bocciare questi è il dopoguerra (antifascista) e i commenti a sproposito del sig. Massari