domenica 29 dicembre 2013

Matteo Renzi, ultimatum a Letta e Alfini

MATTEO-RENZI-TRIBUTE-2.01.jpgRoma 29 dicembre 2013"Io sono totalmente diverso da loro, per tanti motivi". Il segretario del Partito Democratico rifiuta il confronto con Enrico Letta e Angelino Alfano e in un'intervista al quotidiano La Stampa.Matteo Renzi proprio non ci sta a essere accomunato ai suo coetanei. Il sindaco di Firenze vuole rimarcare le differenze: "Enrico è stato portato al governo anni fa da D'Alema e Alafno è stato messo lì da Berlusconi - precisa Renzi - Io ho ricevuto un mandato popolare , tre milioni di persone che hanno votato perché hanno condiviso quello che avrei fatto; è per questo che non si può più perdere tempo: con l'anno nuovo si passa dalle chiacchiere alle cose scritte che riguarderanno due temi capitali: lavoro e riforme".Fedeli al governo "Se fa"
Renzi però conferma la "fedeltà" all'esecutivo e getta acqua sul fuoco sulle dichiarazioni di Davide Faraone che aveva sbottato: "O si cambia o si muore".  Il sindaco spiega: "Uno sfogo di pancia. Non è una dichiarazione di guerra perché le dichiarazioni di guerra le faccio io mettendoci la faccia".

Ma Renzi non nasconde il suo malcontento sull'operato del governo: "Enrico mi chiese di non ostacolarli e io non ho disturbato. Ma potevano risparmiarsi e risparmiarci tante cose. E la faccenda della nomina da parte di Alfano di diciassette nuovi prefetti è soltanto la ciliegina sulla torta...".

"Mai pronunciata la parola rimpasto"
Renzi è categorico sul rimpasto e a Federico Geremicca de La Stampa precisa: "Me l'ha mai sentito dire? Io quella parola, intendo rimpasto, non l'ho mai pronunciata e mai la pronuncerò. Anzi mi fa anche un po' senso". Su questa ipotesi il segretario del Pd chiarisce: "Se pensano di ingabbiarmi con un rimpasto sbagliano alla grande. Io fatico a tenere Delrio al governo, perché ogni tanto mi dice che vorrebbe lasciare".
Renzi infatti vuole rispondere ai tanti elettori che chiedono il cambiamento ma ha ancora speranza che il governo di Letta possa andare avanti: " Se Letta fa, va avanti. E continuo a credere che sia possibile. Certo se si passa alle marchette e se si passa dalle larghe intese all'assalto alla diligenza non va bene.  E per fortuna non l'ho detto io: il primo critico è stato Napolitano".

Sulla legge elettorale
Renzi pone nuovamente la questione della legge elettorale: "Torno all'attacco degli elettori di Grillo e dei suoi parlamentari: in quel mondo lì c'è attenzione vera sull'urgenza di riformare il sistema". Anche a Berlusconi lancia l'appello: "Pertecipa al varo della nuova legge e alla grande riforma di cui ha bisogno il Paese". Sui suoi avversari politici conclude: "Vediamo come risponderanno gli uni e gli altri, ma io con loro ci parlo e ci parlerò sempre".

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Retrofuturismo: il micro-impero dell'atomo

"Souvenir dell'impero dell'atomo", ritorno al retro-futurismo
"Souvenir dell'impero dell'atomo" è l'opera di Alexandre Clérisse e Thierry Smolderen appena pubblicata da Bao Publishing (144 pagine, 19 euro). I due autori ricreato alla perfezione l'immaginario fluido e aerodinamico della fantascienza degli anni Cinquanta grazie a uno stile retro-vintage che non sfigura davanti alle mitiche copertine Urania.Lo sceneggiatore si interroga sull'ipnosi, basandosi sugli studi di uno psicanalista americano fatti sul pazienteKirk Allen, uno dei casi psichiatrici più celebri dell'Età dell'atomo. Il paziente, impiegato nel settore governativo e particolarmente sensibile, si trova in terapia dopo aver trovato pagine e pagine di documenti incomprensibili nel suo ufficio e si convince di essere in contatto telepatico con una civiltà galattica di un lontano futuro.

Intriso di estetica retrò anni Cinquanta, "Souvenir dell'impero dell'atomo" racconta la storia di un mite impiegato che asserisce di ricevere, da anni, messaggi telepatici dal condottiero di una razza aliena sconosciuta ai terrestri. È un pazzo, o semplicemente non ha modo di provare quel che dice? Una seduta di ipnosi porterà a una risposta sconcertante e un uomo senza scrupoli cercherà di impossessarsi dei segreti della sua mente... e del mondo intero! Un magnifico affresco psicologico, fantascientifico e sociale, uno spaccato dell'Europa ai tempi della Guerra fredda. Un piccolo miracolo del fumetto francese.

Leggi un'anteprima del libro. Se non visualizzi correttamente il testo clicca qui.

TGCOM24

Tristan Tzara e l'artista armato futurdada



La storia della letteratura e quella delle rivoluzioni hanno scritto infinite pagine sul rapporto fra «gesto politico» e «pensiero creativo», ossia sull'idea di impegno. Tra le tante, vale la fatica leggere il breve discorso che il padre del dadaismo e figlio dell'avanguardia Tristan Tzara tenne a Parigi, alla Sorbonne, con André Breton in sala, il 17 marzo 1947. Fino a oggi inedito in Italia e pubblicato sotto il titolo Con totale abnegazione (Castelvecchi), è una magnifica lezione sui «fini ultimi» della poesia, che per Tristan Tzara (del quale il giorno di Natale ricorrono i cinquant'anni dalla morte) non può non coincidere con la «rivoluzione». L'interdipendenza tra il politico e il letterario è per lui un dogma. La missione dell'artista è superare la contrapposizione tra «azione e sogno». E la rivoluzione e la poesia devono avere una misura comune, «un solo scopo»: la liberazione dell'uomo, dai lacci morali e da quelli materiali. Per il dadaismo «la vita e la poesia non erano che un'unica e indivisibile espressione dell'uomo alla ricerca di un imperativo vitale. L'uomo d'azione e il poeta devono applicarsi al rispetto dei propri princìpi fino alla fine dell'esistenza stessa, senza compromesso alcuno, con totale abnegazione». Appunto.
Tristan Tzara (il cui vero nome era Samuel Rosenstock, rumeno di lingua francese, fondatore del movimento Dada nel 1916) si iscrisse fin dal '37 al Partito comunista francese, combattè contro i franchisti nella guerra civile spagnola e partecipò alla Resistenza...... CONT   IL GIORNALE   by L- Mascheroni    storico d'arte...*VItaldo Conte 

Ferrara: Valentino Tartari il giovane scrittore doc del 2013

Roma Eccolanotiziaquotidiana

ROMA-FERRARA- NUOVA LETTERATURA ITALIANA….  Una rilevante news dalla provincia: appena edito da Este Edition, “Il Destino delle Farfalle”, nuovo romanzo per Valentino Tartari, giovane scrittore dalla penna già alta e brillante. La prefazione è dello stesso Matteo Bianchi,  (critico letterario, scrittore e giornalista culturale). Entrambi già di levatura nazionale, testimonianza “live” della persistente vitalità letteraria in fiore da Ferrara, città d’arte e della Parola, dall’Ariosto a… Govoni… a Bassani…  a Pazzi… a Marani… a Simoni.  Di seguito una significativa intervista all’autore:

 



 

*Valentino Tartari  Nato nel 1993, vive a Ferrara, dove si è diplomato al Liceo Classico Ariosto ed è iscritto all’Università degli Studi. Con questa casa editrice ha già pubblicato Io sono Calipso (2012).

 

 

 

 

 

D- Opera number 2 …  quella d’esordio,  “IO SONO CALIPSO”, di rara empatia classico-moderno, non a caso promosso anche dal Prof. Cazzola, “Il DESTINO DELLE FARFALLE”, in uscita: una anticipazione?

 

“Mi permetta, innanzi tutto, di salutare il grandissimo professor Cazzola, da Lei citato per altro, che negli anni di Liceo mi ha dato tanto in termini di apprendimento culturale ed umano (gli faccio anche tanti sinceri auguri per il suo nuovo libro “L’Enigma di Omero”). Tornando, invece, al mio nuovo “Il Destino delle Farfalle” vi dirò che narra della particolare vita del professor Anselmo De Robertis e della sua tormentata vicenda famigliare. La vicenda si svolge in un Italia che cerca di ripartire in un difficile Dopoguerra, sino a giungere agli “opulenti” anni ’60. In un primo tempo, la sua vita professionale è costellata di grandi traguardi e successi; la sua famiglia è unita e felice. Ma qualcosa si rompe, si spezza d’un tratto, all’improvviso. Vittime del suo orgoglio dirompente e a tratti selvaggio e ferino sono, prima, i rapporti con la famiglia e gli amici, poi anche il lavoro ne è travolto. La grande parabola del personaggio, dall’ascesa come uno dei massimi esponenti letterari del secolo e luminare universitario sino alla rovinosa caduta, si riflette e trova eco nel suo estremo lascito – un libro (che narra di un aedo anziano in perenne ricerca del figlio perduto)- con il compito di espiare le sue colpe”.
D- La parola Destino e la parola volo… Farfalla evocano archetipi potenti: il tuo fare scrittura, rigoroso e dinamico, è almeno un micro (paradossale) antivirus contro certo modernismo degenerato? 

 

“Pur io prendendo spunto (e immettendomi, in certo senso, nel “solco” degli antichi) da modelli classici nel mio impegno di scrittura, penso che la modernità (ed ogni suo prodotto) non sia degenere o sbagliata tout court, né tanto meno ho la presunzione di poter essere un antivirus ad alcunché, poiché non c’è nulla da curare (o non si può). Siamo noi stessi che leggiamo ciò che desideriamo leggere, amiamo ciò che vogliamo amare, che creiamo i miti che desideriamo, mangiamo il cibo che vogliamo. La moda, le abitudini e i gusti dei popoli sono, oggi, molto più variabili e soggetti a mutamenti di un tempo. Alla fine dei conti non si può criticare la società e il sistema di valori moderni dal momento che essi sono nostro frutto, sono nostre creature. Noi siamo il prodotto di noi stessi. Semplicemente, per parte mia, consegno a tutti che lo desiderano un punto di vista diverso che può essere, a seconda delle interpretazioni o delle situazioni, più o meno in contrasto con ciò che la nostra “modernità” produce (dal momento che non vi sono solo cose negative, anzi). Se io, paradossalmente, non guardassi al quotidiano, cioè alla vita di ogni giorno, non sarei certo riuscito a scrivere “Il Destino delle Farfalle”, la cui vicenda, appunto “moderna”, si intreccia con un passato strettamente legato ad un mondo antico ed aureo. L’archetipo Destino è il dàimon greco, la fetta del nostro avvenire, ciò che la Moira ci ha consegnato prima della nostra nascita; l’archetipo Volo, invece, è il volo della conoscenza, della salvezza, del rimpianto.”
D – Dall’informale a la Forme 2.0  on e soprattutto off line, alla ricerca della bellezza perduta?

 

“Non vi è nulla di perduto, solo qualcosa di sopito, nascosto in mezzo a noi. E’ necessario che si riscopra questo nostro passato aureo, perché negandolo si elimina la Cultura Occidentale. Tutto ciò che leggiamo trae spunto direttamente o indirettamente da fonti che ci hanno preceduto. La grande bellezza della modernità (non sono affatto insensibile a questo straordinario fascino) è proprio questa: come in un calderone mescola tradizione e novità. Lassù, dal Limbo dantesco, ci guardano i grandi del passato: mi piace immaginarla così la faccenda.” 
D- C’è qualcosa che si è spezzato allora? Perché che non siamo sempre in grado di ricordarci chi siamo “davvero”?

 

“Spesso non manca la competenza, ma la passione. Riscopriamoci più appassionati. Appassioniamo e facciano innamorare i giovanissimi della nostra ricchissima cultura. Se i docenti (che non sono solo i professori) non sono appassionati spiegando ed insegnando la nostra Cultura, non lo sono neppure i ragazzi nell’apprenderla. Qualunque studente si scoprirà incredulo e profondamente immedesimato, quando si sentirà coinvolto nei miti, quando navigherà con Odisseo, quando si sentirà affascinato e spaventato a fianco di Cicerone sui rostri, quando aiuterà Eracle nelle dodici fatiche. E anche quando il mare sarà in tempesta e le difficoltà lo assaliranno e si sentirà sopraffatto dall’infernale burocrazia che tutto appiattisce e snatura, vedrà sempre, in lontananza, il proprio Faro della SCIENTIA fulgere immensamente, con la profonda convinzione che aver intrapreso uno studio classico ne è assolutamente valsa la pena.”
D- Progetti in cantiere?

 

“Fra poco uscirà un libro collettivo su Fabio Pittorru con prefazione del vicesindaco di Ferrara, Massimo Maisto. Noi abbiamo scritto un saggio su uno studio del Pittorru di 50 anni fa sulle aziende private e pubbliche nel panorama economico di allora.”

https://www.facebook.com/pages/Il-Destino-delle-Farfalle/406086609497879?fref=ts

 

http://www.este-edition.com/prodotti.php?idProd=766

C. e G. Pancera Il viandante e lo sciamano by Emilio Diedo

 

Carlo e Ghila Pancera


Il viandante e lo sciamano. Diario di viaggio e formazione tra le Ande dell’Ecuador


In copertina e all’interno fotografie di Carlo Pancera


Este Edition, Ferrara 2013, pp. 192, € 15,00


Questa pubblicazione a quattro mani di Carlo e Ghila Pancera, appunto perché padre e figlia – per cui si potrebbe dire essere stata realizzata tra le domestiche pareti –, risulta assolutamente originale oltreché significativa.


Ma se di pasta “fatta in casa” si tratta, da altro verso, ossia dalla prospettiva argomentativa, è un lavoro che va ben oltre il domestico; anzi completamente rivolto ad una geografia addirittura extra-continentale. Se la seconda parte narrativa, opera di Ghila (“Il Grande Albero”, “Storia di un amico…” ed “Il viandante e lo sciamano” che dà omonimia al titolo complessivo), elaborazione di favola, pur pensandola come irrealtà sia geografica – dislocata al di là di qualsiasi certezza topografica –, e sia storica – atemporale o quanto meno non databile –, potrebbe al limite rientrare nelle vicende del casalingo per via della risaputa familiarità nella narrazione della favola, specie tra genitore e figlio; di certo la terza parte, frutto dei viaggi (anche) di studio, di Carlo (“Diario di viaggio e formazione tra le Ande dell’Ecuador…”), non esprime alcunché di ‘casereccio’.


Riagganciandoci all’originalità dell’opera, di fatto dall’editrice collocata nella preziosa collana “Athenæum”, dedicata ai quaderni universitari, proprio per il suo primario, nonché finalistico valore pedagogico (materia d’afferenza è esattamente Storia e/o Scienza dell’Educazione, scibile di calibro universitario sul quale Carlo era, fino a qualche tempo fa, impegnato, oltreché occupato come docente), ebbene tale originalità consiste nell’approcciare una diversione schiettamente narrativa (tale risultano essere sia le succitate seconda e terza parte del libro), legandola agli altri più tradizionalmente congrui contenuti accademici (“Prefazione epistemologica: La fecondità della narrativa di viaggio per la pedagogia – Suggestioni bibliografiche” e, quale accurata appendice di causa, “Note e schede [N.d.R.: ben 84, mica una, in un totale di 35 pagine] per un uso didattico dei testi”), nel tentativo di rendere maggiormente penetrante lo studio di genere, magari ambendo a trovarne esaustività.


Io dico – anche se a determinare gli autori, specialmente Carlo, alla pubblicazione sembra essere stato proprio l’opposto concetto d’una ‘pedagogia sussidiaria’ – che tale oculata scelta, narrativa-didattica, può avere forza d’attrarre un ulteriore potenziale lettore che, avulso da ogni limitativo interesse accademico-pedagogico, voglia apprezzare la residuale, comunque sufficientemente ampia (una ventina + un’ottantina di pagine), lettura che il composito libro propone.


Giovano le varie contestuali fotografie, le quali, unitamente a quella di copertina, rendono una vivida, se non viva, idea dei contenuti. Relativamente al diario di viaggio di Carlo, costituiscono elemento d’insieme che aiuta molto a rendere fede al testo.


Emilio Diedo  www.literary.it


 


emiliodiedo@libero.it