Parmenide e Il Grande Pan...

di Angelo Giubileo


Nel buio della notte, la luce della Luna illumina il percorso iniziale dell'umano. E infatti, luce e tenebra sono i due principi della fisica parmenidea. Essi indicano puntualmente il contrasto, la polemica, la guerra che sorge da subito sotto l'egida di Marte. Eh sì, sono già sopraggiunti i latini i quali provvedono, come tutti gli umani, a dare un proprio nome alle cose. E quindi, nel percorso quotidiano, dopo il lunedì, giorno della Luna, si passa al martedì; e così sia, secondo il ritmo incessante e ripetitivo dei giorni, attraverso una sorta di eterno ritorno. Un viaggio nel tempo in cui ciò che conta, serve cioè da "misura", è il dì di Mercurio, il messaggero. Tutto diventa informazione, ma come tale si ritiene che debba avere senso solo se rapportata all'umano: homo mensira rerum (stupida macchina, non mi consente di scrivere il termine "misura" in latino). Ma non è affatto così, anche se è così che nasce e si sviluppa il sistema antropocentrico, nasce e si afferma l'era dell'umano. Il quale però non può fare ammenda dell'ingiustizia dell'inizio (Anassimandro), ma non può prescindere dal principio dell'apeiron (il Senza-Limite) che è quell'inizio nel tempo che è stato, è ed eventualmente sarà. Occorre dunque rammentare a se stesso che un principio per essere tale occorre che sia esattamente quel principio, e quindi magnificarlo fino al punto di divinizzare se stesso (esattamente come ai tempi di Augusto): Giove, Zeus, e chi altri ancora prima e dopo di Cesare, quel Cesare fatto dio dopo la sua morte (erano questi i tempi sopraggiunti!). I latini prediligevano, come in gran parte ancora noi postmoderni, la divinità maschile. Ma come avrebbero potuto, loro stessi, dimenticare che altra era stata l'immagine "sacra" dell'inizio a cui avevano, come tutti gli umani, fatto riferimento? Ed ecco, allora, la vergine o Venere. L'età dell'oro, immagine già legata allo sviluppo di una civiltà antropocentrica dedita alla metallurgia (sotto l'impulso e l'egida prometeica), al croce-via dell'inizio dei tempi poneva a est i Pesci (doppio), a sud il Sagittario (doppio, metà animale metà umano), a ovest la Vergine (dapprima, apparentemente una ma raffigurata con spiga e ali) e infine a nord i Gemelli (doppio, Romolo e Remo, ma anche le stirpi originarie e divine degli Asura e i Deva, Caino e Abele, dio e lucifero, corrispondentemente tenebra e luce, ovvero mistero e presenza, l'inizio di tutte le storie (tuttavia: pur sempre umane, troppo umane!). Nessuno avrebbe dovuto e dovrebbe infatti dimenticare il de-stino appartenuto a Saturno, che alla fine dell'età dell'oro, suo malgrado, per volere del destino ignoto, è precipitato - si legge bene in Esiodo - nel Tartaro tenebroso. Nel dì che precede, ciò che comunque ritorna è il fatto tenebroso della caduta e l'avvento del nuovo dio, che i posteri di Esiodo diranno essere Giove. Già incontrato, ma che nel cammino dell'umano si riflette, oltremodo, nell'avvento del Sole domenicale, astro dotato della luce più splendente. Ma, illusi: si tratta solo della "nostra" Galassia. Oltre, in maniera onnicomprensiva, si staglia all'orizzonte la figura del Grande Pan, lo stesso Essere che "è" e del quale non è possibile dire altro perché di una presunzione (hybris) siffatta Parmenide e i "classici" sanno che l'umano non è e non può essere capace. Così che, illusoriamente, penseranno al dì di festa, mentre in realtà è solo un giorno della settimana. Come gli altri. Fiduciosi che dalla tenebra della notte che incombe emerga anche una nuova luce. Oppure no. Così che, in tal guisa, sarebbe la tenebra, ciò che l'umano chiama "tenebra", a prendere il sopravvento. Ma, la Natura è questa. Il Grande Pan è questo. Ed è a Lei (o a Lui, è solo un fatto nominalistico, come ripeterà Wittgenstein) che tocca dare le carte e a noi giocare, nietzscheanamente, al suo gioco, comunque più grande di noi.