Francesco Ottanà- Paisi. Una storia *di Emilio Diedo

AsinoRossoBlog I segni del tempo

Francesco Ottanà

Paisi. Una storia

In quarta di copertina fotografia dell’autore

Introduzione del medesimo autore

Gruppo Editoriale L’Espresso s.p.a., Roma 2011, pp. 122, € 12,00

 

Francesco Ottanà, laureato in Chimica industriale, ora in pensione, dopo anni ed anni di lavoro alla Montedison, nella sua passione letteraria, oltreché scientifica, non sa, non può – perché onestamente non vuole farlo, e lo dichiara nella breve nota curricolare in quarta di copertina – abbandonare le conoscenze derivategli dal liceo classico. Sicché anche in questo romanzo, non meno che nelle sue ottime e naturistiche composizioni poetiche, quasi tutte inedite, specialmente quelle in endecasillabi, emerge quella forma mentis classica ed altresì mitica, che ne esalta un superlativo linguaggio, pazientemente lustrato e meticolosamente misurato. Per quanto nel corpus del narrato siano debitamente inserite locuzioni ma soprattutto sostantivi dialettali di forte impatto nell’economia della trama. Tant’è che, molto saggiamente, ha badato ad elencare le varie citazioni, di volta in volta inserite, proprio alla fine della storia, rendendole vive più che mai – giusto in forza del medesimo richiamo – nella traduzione in italiano corrente (Glossario per le parole dialettali, cfr. pp. 120 e 121).

Ed è una storia spiccatamente sui generis, nonostante la sua genuina essenza, come genuine e terragne, marcatamente orientate alla topografia della sua Calabria, sono le coordinate narrative. È quella parte di Calabria la più memorizzata nella mente dello scrittore, per un tramando dell’età fanciulla ed adolescenziale. Non poteva non essere che il vero protagonista d’un romanzo nel quale l’itinerante identità (modificata dalla dinamica e capovolgente forza del tempo) d’un luogo chiamato Paisi (che nel traslato, dal dialetto all’italiano, significa esattamente Paese), non facesse da filo conduttore del racconto. Schiacciando, ossia rendendone quasi invisibili gli antropomorfi protagonisti. Al di là d’un preponderante don Pascale, padrone-gnome, fino a che non diviene egli stesso vittima, d’una situazione tanto storica quanto civica che, dacché mondo è mondo, vede paradossalmente soggetta una cittadinanza ad un suo riverito e benvoluto tiranno, le persone hanno scarso valore nella quadratura della storia. Il loro liminare peso, esclusivamente caricaturale, può servire a rendere maggiormente accessibile l’apparato metaforico, e dunque mitico, delle variabili condizioni d’un popolo, e parallelamente d’un luogo, fortemente influenzato, in ogni periodo storico, da pochi altri soggetti o gruppi di soggetti: una sola famiglia, come poteva essere all’origine quella di don Pascale, o altra prepotente collettività, spinta da venali finalità di dominio, come si dimostra poi la successiva rampante, e persino arrembante, Congrega del tabacco; e, peggio ancora, la successiva misteriosa società di traffici di stupefacenti insinuatasi tra l’uno e l’altra. «I personaggi non sono protagonisti, essi si caricano dell’incombenza di seguire i fili che si dipanano, per darci modo di spiare» l’andamento d’una realtà-non realtà, che, tra le righe, si dipana in narrazione e più ancora concetto. Ecco la spiegazione del narratore (cfr. p. 5, Introduzione).

Ed ecco perché ho detto che Ottanà, anche in questa sua prosa, esprime aspetti mitici. Lo fa nel plasmare un paese per eccellenza, i cui salienti dati somatici potrebbero essere tanto quelli d’un paesino campagnolo situato chissà dove quanto quelli d’un altro borgo altrettanto agreste ma comunque situato sempre in quell’estremo sud, a rappresentazione d’una “tranquilla cittadina […] chiusa e ordinata nei suoi riti e nelle sue certezze, come soggetta ad un fato ineluttabile cui non sa o non vuole opporsi […] protagonista e metafora di quegli stravolgimenti che nella seconda metà del secolo XX hanno repentinamente cancellato quelle usanze e quei rapporti di potere che si erano definiti nel male e nel bene da centinaia e centinaia di anni, per instaurarne di nuovi ben più crudi e tragici”, cfr. nota in quarta di copertina.

Morte e disordine ne sono la contropartita. Incluso il decesso del medesimo don Pascale. Se si tratti d’assassinio o di suicidio, francamente, non si capisce bene. Ma ciò che deve risaltare è che, alla fin fine, anche laddove viga il più sanguinoso Far West, possa trionfare la giustizia sociale. Ed, a ben guardare, sussiste una morale della favola, nel senso che la giustizia ha sempre la sua matrice divina, sovrumana, provvidenziale.

La Spiaggia della Roccia e la Torre (autorevole dimora d’un don Pascale in verità senza nessuna legittima autorità, né istituzionale, per un tirannico fatto – più che per un atto – d’autoinvestitura risalente ai suoi avi, e neppure residenziale, per l’occupazione del tutto arbitraria della suddetta Torre) sono l’emblema, vera iconografia, d’un microcosmo che, nella maschera della bugia e dell’interesse, sanno assurgere a parentesi magica e mitologica, rievocando, da un certo momento in poi, inesistenti, fantastici percorsi di streghe, mostri e persino d’alieni.

«Paisi non era più un posto di agricoltura, ora che aveva imprese anche importanti e giri d’affari notevoli, si ritrovava ad essere qualcosa che non aveva anima e forse non l’avrebbe più avuta. […] Così a Paisi non erano cambiate solo le cose, le persone erano cambiate più delle cose», cfr. pp. 94 e 95. Questo l’essenziale epilogo del racconto di Paisi (che l’autore svela con un certo anticipo): luogo senza un vero volto, mitico ma concretamente reale, per una cronologia sincronica di fatti ben chiari nella viva immagine di Francesco Ottanà.

 

Ferrara, gennaio 2013

 

 

Emilio Diedo   www.literary.it