mercoledì 6 luglio 2016

Valentina Biasetti, dopo la mostra alla Galleria Lacerba di Ferrara

A Ferrara, fine primavera pre estate 2016, non solo mostre o eventi istituzionali di gran stoffa che confermano Ferrara anche città d'arte doc. Anche mostre laterali, innovative, importanti e creative, protagonista Lacerba bottega d'arte e galleria, a cura del pittore ben noto Alfredo Pini e nello specifico una giovane artista di Parma molto emergente nel panorama italiano contemporaneo, ovvero Valentina Biasetti. La pittrice, tra neoastrattistismo e postmoderno evoluto ha esposto a Lacerba da maggio a inizio giugno con la personale...PINK MOON.

Di seguito alcune note critiche extra (intervista da VOCE CREATIVA) sulla pittrice  GENTILMENTE INVIATECI dall'artista e dalla Galleria Lacerba.  (R.G.)


1) INTERVIEW


"PER VOCE CREATIVA" è un ciclo di interviste riservate – e dedicate – alle donne del panorama artistico italiano contemporaneo. Per questa occasione, Giovanna Lacedra incontra Valentina Biasetti (Parma, 1979).

Il silenzio è un luminoso androne di passaggio. Serve a lasciare il mondo dei rumori e delle distrazioni per raggiungere quello della poesia e delle più intime percezioni. Per questa ragione, nelle opere di Valentina Biasetti, il bianco può restare tale. Perché è il ritratto di un silenzio mnemonico ed emozionale. Non deve essere riempito ad ogni costo, contiene già tutti i colori. È uno spazio di luce, indispensabile perché il viaggio accada. Valentina legge nella pittura un ponte tra questa realtà e un altro altrove. Subissato in noi stessi, non facile da raggiungere, ma pregno di magia. Il viaggio è quello individuale e può iniziare a partire dalla memoria. Per fare della pittura un viaggio, Valentina si avvale di una tecnica che chiama "necessaria" proprio perché non viene pianificata a priori. Al contrario, materiali e supporti sembrano quasi capitarle. Sono incontri, piuttosto che scelte. Può accadere, ad esempio, che un vecchio lenzuolo le racconti una storia. E allora, il suono raccolto nell'ordito di quello scampolo di memoria diviene la ragione della sua scelta. Successivamente  arrivano le figure: mille Valentine monocrome –  sovente irriconoscibili poichè colte in scorci prospettici arditi –, sembrano galleggiare  nello spazio bianco della tela. Talvolta guerreggiano con graffi incontrollati di colore, talaltra vengono inghiottite da un non-luogo che confina col biancore. La soglia di  passaggio, poi, è spesso un arcobalenico hula hoop. Che quell'altrove si chiami "infanzia"?

Scopriamolo attraverso le sue parole:

G.:  Chi sei e che donna sei?

V.: Valentina Biasetti.

 

G.: Quando, come e per quale ragione (se c'è una ragione)  una donna come te diventa un'artista:

V.: Penso che sia una questione di "odore": succede che ci si avvicina inspiegabilmente alle cose, alle persone e si fanno delle scelte per una banale affinità olfattiva. Io, per esempio, amo l'odore della pittura, delle matite appena temperate, della carta e della tela.

G.: Qual è stata la tua formazione?

V.:  All' Istituto d'Arte P. Toschi di Parma ho studiato Grafica Pubblicitaria, poi all'Accademia di Belle Arti di Bologna, Pittura, dove mi sono congedata con un Diploma di Laurea da 110 e lode; ma non sono i pezzi di carta che formano il carattere di una persona, tantomeno di un artista. Sono tutte le persone stupende che ho avuto l'occasione di incontrare e conoscere lungo il mio percorso: a loro devo il mio livello di formazione.

G.: La frase più demolente che ti sei sentita dire durante il tuo percorso di crescita artistica:

V.:  Non c'è frase più logora di un complimento fatto solo per convenienza o per educazione.

 

G.: La frase più incoraggiante che ti sei sentita dire durante il tuo percorso di crescita artistica:

V.:  Se il coraggio che può trasmettere una frase si traduce in spinta emotiva per andare avanti, penso che le frasi più incoraggianti siano state quelle più dolorose da accettare:

"Valentina, secondo me questo lavoro non funziona!"

 G.: Come vedi collocata la donna all'interno società contemporanea?

V.:  Se penso alla società come a una grossa bilancia penso che uomo e donna debbano avere un peso equivalente: nessun sentimento di onnipotenza o di rivalsa tra i due ma solo collaborazione. Ciò che fa la differenza e rende una società veramente all'avanguardia è l'Istruzione, la Consapevolezza dei doveri e la Stima reciproca tra uomo e donna.

G.: E come vedi collocata la donna all'interno del sistema dell'arte, oggi?

V.:  Rispetto a non tanto tempo fa ci sono stati dei progressi, quantomeno possiamo dire che esistono delle donne inserite nel sistema dell'arte, che lavorano e che sono davvero brave! Non mi piace fare paragoni con gli uomini: sarebbe di parte dire che noi donne abbiamo una marcia in più…

 

G.: Sei mai stata "invitata" a scendere ad un qualche compromesso ?

V.:  I compromessi sono all'ordine del giorno, ho imparato che bisogna stare sempre molto attenti a non tradire la propria natura e i sentimenti che stanno alla base del lavoro. In questo periodo per esempio sembrano essere in voga le "gallerie" che ti promettono la consacrazione al mondo dell'arte, se sei disposto a sborsare una discreta quota d'entrata, e sono anche magnanimi: ti consentono di rateizzarla! Fai anche qualche mostra con tanto di inserzione sui giornaletti, i lavori magari non sono un granché ma cosa importa? Paghi per sentirti dire: "Ma quanto sei brava!"Ora, io a questi compromessi non scendo! Sia chiaro, io ci metto il lavoro e la faccia. Il gallerista deve credere in me non nel  mio portafogli.

G.: Quale credi sia il compito di una donna-artista, oggi?

V.:  Fare un buon lavoro e (se lo vuole) costruirsi una famiglia. Gli stereotipi di chiara identità maschilista per cui, se vuoi fare carriera devi eliminare dai tuoi pensieri il fardello famigliare, sono roba da anni ottanta/novanta. Una donna, oggi, artista che sia, deve essere testimonianza che si possono far coincidere le cose: certo è più difficile.

G.: Una donna-artista che consideri un modello; perché?

V.:  Louise Bourgeois. Perché è Louise Bourgeois.

G.: Perché lo fai? Raccontami il senso del tuo fare "arte" e del tuo vivere di "arte":

V.:  " Stringendo i pugni per quelli come noi

che sono oppressi dai simulacri

della bellezza

ti sistemasti e dicesti

non importa

Siamo brutti ma abbiamo

La Musica."

(ChelseaHotel#2 – Leonard Cohen)

Questa frase l'ho scritta sul muro del mio studio e ho sostituito Musica con Pittura.

 

G.: Quali sono le tematiche della tua ricerca artistica? E perché?

V.:  Il Viaggio. Il mio lavoro vuole diventare  un ponte immaginario per un Luogo che chiameremo "Altrove": un Luogo svuotato dalle apparenze inutili della società attuale, un Luogo magico che ritroviamo solo nel  profondo di noi stessi.

G.: Quanto c'è di autobiografico nel tuo lavoro, e quanto di autobiografico riesci ad universalizzare?

V.:  Il mio sguardo è il mezzo per osservare tutto quello che mi circonda, il mondo passa attraverso il mio sguardo per poi essere tradotto in immagine. Le figure che rappresento nascono da autoscatti. Tutto questo è sicuramente molto autobiografico, ma questa abbondanza è necessaria per mettermi in relazione con chi osserva il  lavoro, per permettere al  fruitore di immedesimarsi  e concedergli il mio punto di vista.

G.: Quale desideri sia la reazione dei tuoi fruitori?

V.:  Curiosità e immedesimazione.

G.: Quale tecnica adoperi? Quale supporto?

V.:  Vorrei precisare la mia scelta di indicare "tecnica necessaria" piuttosto che tecnica mista, in quanto credo che utilizzando un supporto non standard, ma già carico di storie e poesie sia importante capire di volta in volta le tecniche o i materiali da utilizzare, proprio per non soffocarne le potenzialità.

G.: Come nasce un tuo lavoro (step by step) ?

V.:  Tutto parte da un momento di riflessione e silenzio. Poi arriva la parte più divertente e giocosa in cuicerco negli autoscatti il soggetto giusto sul quale lavorare. Parallelamente c'è la ricerca della tela: come ti dicevo non uso supporti standard ma di volta in volta cerco una stoffa o un lenzuolo che mi suggerisca una sua nota poetica. Quando tutto è pronto comincio con la matita ricercando un equilibrio di pesi all'interno del lavoro, successivamente il gesto e il colore distruggono questo equilibrio.

G.: Quali sono i tuoi riferimenti storici, gli artisti o le correnti hanno in qualche modo contaminato e influenzato il tuo lavoro?

V.:  Il mio lavoro è in continua evoluzione e fermento: mi incuriosisce tutto. Non mi voglio riconoscere in una corrente, mi affascina il Barocco, il Romanticismo tanto quanto la Pop Art, il Suprematismo e la Grande pittura Americana. Non mi piace etichettarmi, è il sentimento quello che conta.

G.: Ad ispirarti ci sono anche letture particolari? Autori, poeti, filosofi, musicisti… che riescono a "suggerirti" qualcosa per il tuo lavoro?

V.:  Dico i primi 10 che mi vengono in mente:Fernando Pessoa, Jorghe Luis Borghes, Mark Strand, Antonio Tabucchi, Tanizaki Junickiro, Josè Saramago, John Berger, Il Vangelo e i Vangeli Apocrifi, Fabrizio De Andrè, Patti Smith…

G.: Scegli 3 delle tue opere  e raccontacele:

1. PREGHIERE APOCRIFE (La Trasfigurazione) – tecnica necessaria su lenzuolo leggero. cm 100×150, anno 2013.

V.:  Preghiere Apocrife  cela  l'orazione di una preghiera bruscamente interrotta, un black-out nel momento in cui l'anima entra in contatto con la dimensione celeste: il gesto pittorico assume le sembianze di uno schiaffo,testimonianza di una violenza subita nel profondo. L'atto della preghiera non è interpretato in modo canonico ma si ricerca nella libertà dell'improvvisazione. Le figure che disegno si muovono nella solitudine di uno spazio vuoto, relazionandosi unicamente con il colore oil gesto pittorico.

 

V.:  MILONGA# mette in scena una danza passionale, un tango d'amore e passione  dove il colore diventa metafora di passaggio dal sogno alla veglia e dalla vita alla morte, ottenendo una propria identità fisica che decentra la sua esistenza al di fuori dello spazio pittorico comunemente inteso. Il colore diventa viaggio tra un "qui'" e un "altrove" non ben definito lasciato all'immaginazione dell'osservatore.

3. TESTAMENTO FORMIDABILE,7 – Tecnica necessaria su lenzuolo leggero, cm 50 x50, anno 2014

V.:  Testamento Formidabile  prepara il corpo  a un viaggio che ha il suo svolgimento nel tessuto più profondo dell'inconscio: nel sottosuolo dell'anima. In questo tipo di Viaggio il corpo con tutta la sua fisicità e presenza è consapevole di dover abbandonare i beni terreni e tangibili per trasformarsi in  "Altro da Sé" nella ricerca e nell'esplorazione di un Luogo misterioso e sconosciuto.Il Cerchio diventa simbolo magico del Luogo: soglia e metafora di passaggio. Il Cerchio è l'unica testimonianza che resta in eredità di questo Testamento bizzarro e segreto, per permettere ad Altri l'esperienza di questo Formidabile Viaggio.

G.: L'opera d'arte più "femminile" della storia dell'arte?

V.:  "Giovane con canestro di frutta"di Michelangelo Merisi detto Caravaggio.

G.: L'opera d'arte che ti fa dire : "questa avrei davvero voluto realizzarla io!"?

V.:  Una qualsiasi di Picasso, solo per un fattore economico.

G.: La critica peggiore che ti è stata mossa da un "addetto ai lavori":

V.:  La critica peggiore è stata la critica assente, ovvero quando non è stato detto nulla.

G.: Se non ti fossi scoperta "artista" cosa saresti diventata?

V.:  Avrei fatto un mestiere più remunerativo, i miei genitori sarebbero stati più felici: io sicuramente no.

G.: Work in progress e progetti per il futuro?

V.:  Lavorare, lavorare… e lavorare.

G.: Il tuo motto in una citazione che ti sta a cuore:

V.:  "Per noi l'arte è un'avventura in un mondo sconosciuto, che possono esplorare solo

  quanti siano decisi ad assumersene i rischi" (Mark Rothko)

Per approfondire:

https://www.facebook.com/pages/Valentina-Biasetti/167666696715109?ref=hl

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B)

Mary Blindflowers, intervista: tra poesia e pittura postsurrealista

 D - Mary, uno zoom retrospettivo sulla tua poetica e anche pittura sperimentale?

Sicuramente c'è stata un'evoluzione, da Lo strazio, la prima raccolta pubblicata ad Utensili Sparsi, il mio modo di scrivere ha subito delle evoluzioni, spero positive, arricchendosi anche, con Nettarg edizioni di Cosimo Dino-Guida, della mia passione per la pittura, attraverso la proposta di alcune copertine che esulassero un poco dal metodo propositivo di artisti già noti. Così Utensili sparsi (realizzato con il poeta destrutturalista Fremmy) ha una cover tratta da un mio olio su tela, che ha lo stesso nome del libro, 90 x 90. Lo sfondo chiaro ha lo scopo di far risaltare le figure umane e le parti del corpo, che come utensili, appunto, dichiarano la loro falsa ontologia sulla superficie estesa delle cose.
Anche il mio antiromanzo, ha un mio dipinto in copertina, la nascita d' Adamo, 90 x 90, uno dei formati che preferisco. Così la scrittura si sostanzia anche di uno spicchio visivo nel quale i lettori possono cogliere il tema dello scritto, un contenuto volutamente fuori norma. Le forme allungate, la deformità, certa mostruosità alienante dei personaggi, tradiscono la volontà di mettere in scena il subnullismo, ossia il frutto decadente e intisichente di una società alienata, imbarbarita anche se convinta di essere libera e civile. Per questo ho voluto anche visivamente presentarmi da sola.
Lo stesso accadrà per Il nano alto, opera teatrale in preparazione. La copertina sarà uno dei miei dipinti in cui è facile intuire il senso di alienante vuoto, i meccanismi a orologeria che segnano la vita degli alienati, dei criceti del sistema contro cui il personaggio combatte, nel suo piccolo, dal suo punto di vista antiaccademico.
Scrivo con molta facilità, senza sforzi, mi viene naturale, e per la pittura è lo stesso.
Poi i risultati saranno gli altri a deciderli. Io comunque vada mi diverto.


D- Mary, la letteratura italiana, oggi?

Il quadro è semplice. C'è la grossa editoria che sforna al 90% prodotti per galline da batteria, elaborati da scrittori più o meno raccomandati e prostituiti dal sistema oppure da professori universitari che, ovviamente pubblicano perché sono professori universitari e garantiscono all'editore, grande e piccolo, un certo bacino di utenza, dato dagli studenti dei corsi monografici. Ricordo una volta dovetti comprare per forza un libro di Giuseppe Scanu, senti che argomento per uno studente di lettere: La distribuzione dei carburanti per autotrazione in Sardegna, pubblicato niente po' po' di meno che da Giuffré. Il professore di geografia dell'università di Sassari, che lo aveva scritto, ci obbligò a presentare al corso di cartografia questo libro orribile e noiosissimo. E ci obbligò anche a fargli vedere fisicamente il libro una volta seduti per dare l'esame, perché senza la prova dell'acquisto del libro, non faceva passare l'esame, anche se sapevi tutto.
Se non sei un accademico puoi sperare di pubblicare con un piccolo editore. I piccoli editori fanno fatica ad emergere e ogni tanto pubblicano testi interessanti il cui unico problema è proprio la distribuzione. Un piccolo editore non può competere coi grossi gruppi, i suoi libri, se pure mai arrivano in libreria, verranno messi nell'ultimo scaffale in fondo a destra, vicino al bagno, non di certo in vetrina. In vetrina c'è Moccia.
Poi ci sono i critici che si lamentano che oggi la grande editoria produce solo cose di scarto, ma a loro volta recensiscono solo opere pubblicate con grossi editori, evitando accuratamente i libri di quelli piccoli.
E ci sono le agenzie letterarie che vantano grandi aderenze con i gruppi editoriali. Chiedono somme, a volte sbalorditive, solo per leggere uno scritto e dare una valutazione che, ad una persona che pensa di scrivere e non di perdere il tempo, non servono assolutamente a niente se non a buttare soldi.
C'è una selva selvaggia di Eap che campano sull'ingenuità delle parrucchiere che vogliono pubblicare la favolosa storia dei loro bigodini. Ci sono editori a doppio binario, che chiedono soldi ad alcuni autori e ad altri no. Con alcuni di questi ho pubblicato anche io senza pagare e mi sono trovata malissimo.
Ci sono editori no Eap che ti pubblicano ma non ti danno un soldo di diritti d'autore... Insomma... C'è di tutto di più, per tutti i gusti e le condizioni.
Non dimentichiamo i corsi di scrittura creativa, organizzati da sedicenti scrittori o editor che in pratica funzionano così, tu paghi per imparare la grammatica che dovresti aver imparato alle elementari, ma lo scopo qual'è? Frequentare uno di questi corsi per oliare l'editor, così se gli stai simpatico/a puoi pubblicare grazie a lui...
Poi ci sono i concorsi letterari della porchetta e del salame, della castagne e delle prugne, dei fichi secchi, della bistecca arrosto e della mortadella della e delle... insomma una marea di concorsi locali per lo più inutili che premiano autori parenti degli organizzatori o loro amici.  Spesso autori pluripremiati non sanno neppure scrivere in corretto italiano e pensi, ma come hanno fatto a prendere questi premi?
Un circolo vizioso direi, uno stagno con acque fetide...  



D-   Mary, diverse nuove produzioni recenti con NetTarget di Cosimo Dino-Guida, già noto per il teatro italiano con M. Melato e altri?

Con Cosimo Dino-Guida abbiamo appena finito di scrivere L'estinzione degli atomi pensanti, dialogo tra una fiammiferaia e un editore. L'idea è venuta a Cosimo mentre ci scambiavamo delle battute nella chat di fb. Mi disse: "sai che il dialogo che abbiamo appena fatto può diventare una commedia, lavorandoci un po' sopra?". E in effetti ammisi che poteva essere così. In questo modo è nata una nuova commedia, per caso. Scrivere teatro con Cosimo Dino-Guida è stato semplice, data la sua grande esperienza in questo campo, sa consigliarmi e movimentare la scena, oltre a sostenere un dialogo serrato filosoficamente interessante ma mai noioso.
Inoltre con Nettarget ho un calendario di pubblicazioni per il 2016/17, tra saggistica, teatro, e romanzi, uno dei quali, Tibbs and Tibbs lo pubblicheremo anche bilingue, italiano e inglese.
E' in uscita-fine agosto ad esempio  IL DIO MANGIATO, con lo stesso M. Lozzi e una mia nuova cover poetico-visual-pittorica...

http://www.nettarg.it/autori.asp?cat=3&auth=2
 



 

Mary Blindflowers e Fremmy DaFunk "Utensili Sparsi" NETTARG

Biografia  FREMMY

Fremmy DaFunk Fremmy é un viaggiatore immaginario sbarcato su un'isola apparentemente abitata da pedine e scacchi, che sorseggiano té e mangiano biscotti allo zenzero. Abitante di un'isola sovraffollata di anime alienate, rispettose di un rigoroso silenzio per il vuoto circostante.
Per alcuni anni lavora presso un giornale prima di approdare su bianche coste a strapiombo sul mare freddo del Nord.
Alle prese con grafiche multimediali e fantasie culinarie d'oltreoceano, Fremmy si occupa di vintage ed antiquariato, ed attualmente ha iniziato la sua nuova avventura unendosi al team della National Trust.

Collabora con il blog "Destrutturalismo e altro... Controcomune buonsenso", gestito da Mary Blindflowers.

Biografia  MARY BLINDFLOWERS

Nata a Sassari il 28 giugno 1972, laureata in materie letterarie (110/110 e lode), specializzata in criminologia clinica e psicopatologia forense. È esperta di libri antichi e moderni e vive attualmente a Londra.
Ha all'attivo parecchie pubblicazioni con diversi Editori, che spaziano attraverso diversi generi: citiamo Picacismo simbolico (Saggistica demonologica), Ichnussa, il piede di Dio (saggistica), Fiori ciechi (romanzo breve), Mister Yod non può morire (teatro), Lo strazio e Incroci di rosari 108 (poesia).
È considerata l'alfiere del movimento letterario detto Destrutturalismo, le cui idee diffonde servendosi del blog controcomunebuonsenso.blogspot.co.uk


Uomini come utensili sparsi sul brodo arido del mondo, esseri che si agitano in atmosfere realisticamente surreali, realtà anacronistiche, scarti e liberi reietti come perle nell'aria subsonica e missili contro il sistema dell'umanoide perfettamente inquadrato nel sistema.
Liriche nel libero gioco della dinamica destrutturalista.
L'occhio, lontano da visioni idilliache, soppesa la carta vetrata della terra, le stelle comete abrasive nel sussurro del gelo invernale e il clochard che beve quando decide di piovere.
Una silloge dedicata a tutti quelli che non troveranno la strada di...

info
http://www.nettarg.it/libreria.asp?cat=2&collana=3&books=8&novita=1


Chiara Bezzo "Le donne del colonnello" NETTarg

*Bel lavoro narrante-storico, attraverso una trama diversamente migrante novecentesca, tra la sempre inedita Libia anche postimperiale, il sud meditteraneo italico, Torino e il Nord e complesse sfumature psicosociali.  Il tutto ricombinato e assemblato in dinamiche esistenziali, tra passione femminile, saga familiare, softerotismo e l'archetipo del Potere patriarcale (R.G).

Tre donne legate da un segreto che segnerà la loro vita, in una vicenda ambientata tra la Calabria degli anni cinquanta, la Libia degli anni d'oro del Colonnello, per giungere alla Torino del nostro tempo e ai campi profughi siciliani.
Luna, Rosa e Selena; la storia della loro vita, e al di sopra di tutto e di tutti lui, il Colonnello, la cui superbia e potenza saranno messe in dubbio a causa di un amore impossibile che condizionerà la vita di una famiglia e di un popolo intero.
Un romanzo facile da leggere e che sa appassionare nel suo viaggio tra la realtà e la fantasia, tra l'amor...


Biografia
Chiara Bezzo Nata a Biella il 9 maggio 1971, è oggi residente a Torino, dove gestisce un'autoscuola.
Ha alle spalle diverse pubblicazioni minori, per la precisione:
nel 2012 la silloge poetica Noemi e stelle minori, con la casa editrice Galassia Arte;
nel 2013 il romanzo Mezzaluna di ghiaccio, con Creativa Edizioni;
nel 2014, sempre con Creativa Edizioni, pubblica il romanzo La Burattinaia.
Vincitrice e premiata
- 2012 per il concorso Donne con la divisa, il racconto Il ritorno del soldato
- 2013 per il concorso Comunque Bella, il racconto Eccetto Anna
- 2014 per il concorso Donne Venute da lontano, il racconto Non cercavo l'America, vincitore anche del Premio speciale indetto dalla città di Rivoli 2015;
- 2015, per il concorso Mamma non mamma, il racconto Fenice D'Ambra
- 2013 ha ottenuto il IV posto nel concorso il Sudore dell'Atleta con il racconto Medaglia di Cenere.
- 2015 ha vinto il concorso indetto dal Museo Nazionale delle Scienze di Torino Le rocce raccontano con il racconto L'uomo che parlava con le pietre.
Gestisce il blog www.chiarapensieri.blogspot.com

INFO
http://www.nettarg.it/autori.asp?cat=3&auth=3

martedì 5 luglio 2016

Il linguaggio sconfitto di Montale, Pasolini, Calvino e del laicismo e la via provvidenziale di Ungaretti, Cardarelli e Pavese di Pierfranco Bruni

 

di Pierfranco Bruni

 

Il coraggio delle idee nella profondità del pensiero pesante e mai leggero: questo è il cammino che dobbiamo proporre alle nuove generazioni. Appunti di letteratura. Il 12 ottobre del 1896 nasceva Eugenio Montale. Il Nobel della letteratura che cerca di porsi come il poeta antimanzoniano trasformando la "provvidenza divina" in una esistenza della bufera.

 
Signori letterati cattolici svegliatevi. Questo grande genio montaliano di genialità poetica ha ben poco. Eppure continua ad essere proposto come il poeta della triangolarizzazione: Montale, Ungaretti, Quasimodo.

Anzi proporrei di cacciare da questo triangolo Ungaretti e inserire Saba e così il laicismo dei laici repubblicani poeti sarebbe compiuto. No, non è così.

I poeti del Novecento veri restano Ungaretti, Cardarelli, Campana – Michelstaedter nella tradizione tra Pascoli e D'Annunzio nella chiusura con Cesare Pavese attraversato da Gozzano.

Montale? La sua poesia del 1925, ovvero i seppiani ossi, uccidono il concetto di provvidenza divina per far posto, dunque, al nulla della parola e a quel male di vivere, che è soltanto il suo vivere male nella contraddizione di una scarsa formazione, tra la volontà di potenza e la ontologia dell'anima della cultura.

Eppure i libri ufficiali, il nozionismo modulistico, sono pieni del male di vivere di Montale e molti docenti ripetono il cosiddetto male di vivere non conoscendo il kierkegherdiano scavo nella malattia mortale, che lega Seneca alla Zambrano agostiniana ed Eliade a Cioran, che diventa in Giuseppe Berto il male oscuro in una ribellione tra Camus e Mauriac e il contemporaneo Sgalambrto.

Montale non ha creato alcun concetto esistenziale e non ha dato vento ad alcun vero processo poetico: in lui c'è D'Annunzio intrecciato al tardo romanticismo, ma nulla di originale. La poesia non può essere soltanto lingua, la lingua ha un linguaggio metafisico in un processo che è esistenziale ma anche, per altri aspetti, spirituale.

Sfido a trovare una originalità che sia una! La sua incapacità di comprendere il valore di provvidenza divina lo porta a disegnale il male esistenziale che non è esistenzialismo, perché è ben altra cosa e Montale, che di cultura filosofica ne aveva molto poca, la sua visione poetico – metafisica era ben distante dalla cristiana Provvidenza.

E comunque si continua ad innalzare monumenti critici alla non poesia di Montale. L'analisi del testo è banalume se non si parte da un dato linguistico del pensiero della parola. La parola è sempre lo specchio dell'anima o l'anima che si specchia.

Siamo in una cultura del vuoto.

Ci sono responsabilità di una presenza cattolica nel non proporre chiavi di letture altra, ma il problema sta anche nella mancanza di coraggio nel dire che Montale va posto in una discussione tra poesia e non poesia recuperando in parte l'estetica del Croce e la visione "pedagogica" di Gentile nel radicamento vichiano.  

Altrimenti siamo al trionfo della debolezza del pensiero.

Così come il "caso" Pasolini. Di Pasolini cosa resta? Io che ho tanto scritto su Pasolini ho sempre distinto, per una lealtà critica e conoscenza del testo, il non essere suo un modello poetico e il suo essere un intellettuale nella cronaca.  

In Pasolini non c'è poesia.

Gramsci e le cenere. Un binomio nella allegoria del pensiero. Attenzione, non le "ceneri di Gramsci". Resta l'intellettuale intelligente, forse l'intellettuale che riusciva a leggere il presente politico e sociale attraverso l'interpretare la memoria del futuro.  Penso ai suoi articoli profetici su Aldo Moro o alle famose parole sulle lucciole. E poi? Il poeta non c'è. Ci sono sensazioni come i versi per la madre.

Lo scrittore è il giornalista che racconta i ragazzi di borgata, i ragazzi di vita, ma è una fragilità letteraria scavata nella cronaca di una Roma che conosceva bene.

Il regista è la brutta sceneggiatura del Vangelo di Matteo e il volgare Salò, la cui volgarità è la morte del dialogo tra l'immagine e la parola, sancita proprio a metà degli anni Settanta. Resta Medea? O il Boccaccio assai meglio riletto da Bevilacqua.

Resta soltanto il giornalista diventato intellettuale. Altro non direi. Leggere analizzare studiare per credere.

Anche qui un attento esame di coscienza dovrebbe farlo il mondo cattolico, che sembra dimenticare il proprio patrimonio per dare spazio alla laicizzazione impoetica dei Montale dei Pasolini e dei Calvino.

Già, il leggero Italo Calvino che ha cercato di reinventarsi dopo la morte di Pavese, al quale deve molto, ovvero tutto, attraverso la ricerca della favola o dei Marcovaldo o degli scrutatori sino all'incomprensibile metafora inconsistente di Palomar o del Viaggiatore… che implode già dalle prime pagine sino ancora alle incompiute lezioni americane, che non hanno alcuna valenza letteraria incentrata in una antropologia della cultura tutta motivata su un sistema ideologico. Distante metafisiche di vita da Renato Serra, che ci insegnò cosa è una lezione di letteratura nella vita.

Con Calvino si è al trionfo ancora di un laicismo che conduce al relativismo di un linguaggio e di una letteratura distante dalla grande tradizione dei Papini, dei Prezzolini, dei Palazzeschi, dei Govoni, degli Alvaro, dei Fabbri, dei Pomilio, degli Sgorlon, ma anche dei Silone, dei Pavese, dei Berto, dei Gallian…

Insomma il laicismo ha preso il sopravvento sulla cultura letteraria cattolica…

Comunque, eviterei Montale, Pasolini, Calvino oltre a Primo Levi, che non è uno scrittore nella tradizione, e proporrei Cardarelli, Michelstaedter, Campana, Berto, alle Lezioni di Calvino, che eviterei per varie confusioni, darei spazio ad un confronto piuttosto con Silone di Uscita di sicurezza  (ancora una volta Calvino riscoprirebbe l'essere scoiattolo definito da Pavese) e nel confronto tra Primo Levi e Marcello Gallian, quest'ultimo testimonierebbe di essere un gigante… Ci vuole non solo conoscenza, ma anche coraggio di entrare nella filosofia della letteratura… Ora siamo alla cronaca non laica, ma al relativismo della cronaca letteraria…

Riproporre una tradizione letteraria, poetica e narrativa, significa, tra l'altro, superare completamente una visione filosofica che è quella positivista e storicista. Marcuse non esiste più. Sartre è defunto. Gramsci è stato ridotto in cenere.

L'ideologia nella letteratura si è trasformata in relativismo. Basta osservare come viene proposto Luigi Pirandello… Abbiamo bisogno di leggere un Pirandello coerentemente nella tradizione dell'italianità che va legato a Ionesco, Kafka e Cervantes… Tomasi di Lampedusa, Sciascia.

Lo scrittore dei nostri giorni o recupera il senso e l'orizzonte di una tradizione nell'eleganza della lingua o diventa il forcaiolo della parola in un linguaggio che si consuma il giorno prima di essere pronunciato, ma nonostante tutto questo linguaggio si appiccica allo sguardo di chi non ha una forza filosofica e storica o letteraria e ontologica e trova spazio nel vuoto che consuma un pensiero in una mezza parola.

La letteratura è altro. Proprio per questo riportare la tradizione tra l'estetica de Il fuoco di D'Annunzio e  l'Aurora della Zambrano significa proporre una volontà della contemplazione, in una provvidenza del mistero, in un tempo che è sfracellato dalla leggerezza e dalle idiozie.