https://www.spiweb.it/la-ricerca/ricerca/psicoanalisi-e-neuroscienze-cosa-pensano-gli-psicoanalisti-da-psicoterapia-e-scienze-umane-vol-l-n-3-2016/
“Come valuta i recenti sviluppi delle neuroscienze e
della neurobiologia rispetto alla psicoanalisi? Come vede il rapporto
tra psicoanalisi e ricerca psicologica e, più in generale, tra la
psicoanalisi e le altre discipline?“.
Jacques André (1) – Nelle neuroscienze la parola “inconscio” designa la molteplicità degli atti di pensiero e delle operazioni del cervello che sfuggono alla coscienza e alla movimentazione nella parola. Quella parola in psicoanalisi designa un insieme di rappresentazioni (ma anche affetti) inaccettabili alla coscienza, che questa rifiuta e contro i quali si difende per mezzo della rimozione, della scissione, della forclusione, etc. È naturale che le neuroscienze possano interessare la psicoanalisi, a patto che non sorga alcuna confusione epistemologica. Il problema della psicoanalisi è quello del senso, e il senso non risulterà mai dall’immagine della risonanza magnetica del cervello.
Simona Argentieri (2) – È un buon campo di interesse, utile da un lato a limitare gli arbìtri della nostra fantasia, dall’altro a dare conferma di alcune ipotesi psicoanalitiche (dall’organizzazione della memoria al processo del linguaggio).
Marco Bacciagaluppi (3) – Un risultato importante della neurobiologia è che i traumi precoci possono danneggiare la struttura cerebrale e che, d’altra parte, la psicoterapia può rimediare ai danni creando nuove connessioni sinaptiche tra i neuroni.
Jessica R. Benjamin (4) – Per me le ricerche neurobiologiche che confermano quanto abbiamo già imparato dallo studio del bambino sono le più interessanti: le scoperte riguardo alla regolazione affettiva e le risposte reciproche tra due menti. Se la neurobiologia sia metodologicamente e scientificamente verificata per me è meno interessante della congruenza tra sue metafore e la nostra osservazione clinica e negli studi sul bambino.
Sergio Benvenuto (5) – Alcune scoperte e teorie neuroscientifiche sono molto interessanti, ma, fino a ora, la pratica psicoanalitica non sa che farsene. È come se un biologo esperto di batraci volesse applicare al suo campo la meccanica quantistica! In teoria sarebbe corretto, ma in pratica non avrebbe senso. Molto spesso l’invocazione, da parte di analisti, di termini o concetti neuroscientifici è un espediente per apparire updated, “moderni”, ma spesso non si coglie alcun rapporto convincente tra pratica clinica e scoperte neuroscientifiche. Trovo più interessante il fatto che neuroscienziati di valore, come Edelmann, Kandel, Rizzolatti, apprezzino il modello freudiano. La psicoanalisi può dare alla neurobiologia più di quanto non accada il contrario. Le discipline in cui la psicoanalisi ha avuto più successo in realtà sono la critica letteraria e la filosofia, soprattutto quella detta “continentale”, non analitica. Il fatto che la psicoanalisi sia accolta a braccia aperte soprattutto in ambienti non-scientifici mi sembra una conferma della sua non-scientificità (che non significa la sua irrilevanza).
Werner Bohleber (6) – Negli ultimi decenni i progressi delle neuroscienze hanno aperto un dialogo entusiasmante con la psicoanalisi. Si è riaccesa la problematica del Sé nella sua relazione con la corporeità spostandosi su un piano diverso. I risultati della ricerca nelle neuroscienze possono aprire nuove prospettive alle domande formulate dalla psicoanalisi. D’altra parte, la psicoanalisi è interessante per i neuroscienziati perché attualmente è la teoria più sofisticata del funzionamento mentale umano. Da questo dialogo possiamo aspettarci nuovi risultati che permetteranno una comprensione complessa e differenziata dei legami tra mente e cervello, per esempio attraverso l’attuale ricerca sui neuroni specchio. La psicoanalisi è stata stimolata in modo molto fecondo dallo sviluppo della teoria dell’attaccamento e dell’infant research. Questi campi hanno consentito un ampliamento e una revisione critica del modello dello sviluppo infantile, ma hanno anche dato nuovi stimoli alla teoria del trattamento e al concetto di relazione terapeutica. La scoperta che il Sé del bambino emerge sin dall’inizio attraverso processi reciproci di regolazione e riconoscimento nella relazione con l’oggetto primario ha permesso anche alla teoria dell’intersoggettività di aprirsi una breccia all’interno della psicoanalisi.
Christopher Bollas (7) – Io penso che le neuroscienze siano interessanti, ma il cervello e la mente non sono la stessa cosa. È una differenza importante da non dimenticare se vogliamo evitare uno sfortunato errore categoriale.
Wilma Bucci (8) – La teoria e la ricerca in psicoanalisi Per gettare un ponte tra la teoria psicoanalitica e la ricerca c’è bisogno di una cornice teorica sistematica. A me non è chiaro come vengono definiti i concetti psicoanalitici che compaiono nella maggior parte degli studi sul risultato della psicoterapia. Ed è ben lontano dall’essere chiaro come le complesse ed evocative concezioni soggettive di clinici come Bollas, Ogden e altri possano essere studiate in progetti di ricerca – anche se potrebbe essere una sfida interessante provarci. Noi facciamo ricerca sul processo all’interno di una cornice teorica coerente con la psicoanalisi, ma non è “psicoanalitica” in quanto tale, e crediamo possa essere coerente con altri tipi di trattamenti.
Giacomo B. Contri (9) – Vorrei che migliorasse la distinzione tra neuroscienze e ideologia neuroscientifica: esposta all’ironia sulla ricerca del neurone di Dante, o del neurone del principio di non contraddizione, o del neurone della sessualità, o del neurone di Einstein, o del neurone della pulsione orale, o più semplicemente del neurone per cui mi piace il caffè. Non vedo perché le neuroscienze non dovrebbero orientarsi verso l’ancillarità del neurone nei riguardi dell’autonomia del pensiero-lavoro e dell’atto di pensiero (già dal bambino). Da decenni le neuroscienze sono l’ansiolitico degli psicoanalisti in cerca disperata di una causalità naturale che li esoneri dalla responsabilità del pensiero (o meglio imputabilità, cioè merito). A esse si sono aggiunte le emozioni, animaletti pre-pensiero circolanti come le cellule ematiche, con i loro conflitti come battaglie navali in vasca da bagno. Sappiamo che le emozioni sono state opposte agli affetti di Freud: che sono forme, forme della vita del pensiero, paragonabili alla forma della mia mano che stringe una coppa. “Forma”: troppo da intellettuali? Ma che altro siamo fin da bambini? Quanto alla psicologia, dall’inizio del Novecento per statuto essa è incapace di pensare il pensiero, il pensiero come realtà o res, res cogitans, “realtà psichica” in Freud, produttiva non di speculazioni a distanza ma di leggi di moto del corpo secondo una meta. Da anni per me le “altre discipline” sono diritto ed economia. La psicopatologia è patologia economica con fonte individuale (e conseguenze di povertà).