martedì 12 luglio 2016

Mario Soldati l’ho incontrato alla fine degli anni Ottanta Lo scrittore tra la letteratura e il cinema

 

 

Mario Soldati l'ho incontrato alla fine degli anni Ottanta

 Lo scrittore tra la letteratura e il cinema

 di PIerfranco Bruni

 

      Era la fine degli anni Ottanta quando conobbi Mario Soldati. Parlammo di letteratura e di città. Di storie e di presente. La città e i luoghi. Il senso dell'appartenenza e il viaggiare nella memoria. Uno scrittore tra le pieghe dei ricordi. Una Torino "odiosamata" c'è in alcuni romanzi di Mario Soldati. Quella Torino che si presenta con "grandi portici aerati e soleggiati: i negozi ricchi, le insegne dorate, i cristalli scintillanti di cielo: i bei vialoni larghi, lunghi, diritti, all'infinito, con le quattro file parallele dei loro alti alberi, vere colonne vive, cupole fiorite e profumate, che il vento del solstizio, scendendo dalle vicine vette e dai ghiacciai, attraversava vivificante e impetuoso".

      E' la Torino dei ricordi, degli immensi scenari, degli ambienti che si confrontano e si contrastano. Mario Soldati nei suoi libri ha tracciato confronti e contrasti. Le due città. Roma e appunto la sua Torino. E Torino è sempre lì. Nella partita a bocce. Nella stazione. Il mondo politico e culturale. La vitalità. I ritratti del paesaggio. Insomma Torino è storia e formazione in Soldati.

      Non c'è comunque un altro Soldati o un Soldati diverso. E' lo stesso scrittore, che si serve ora e della parola ora delle immagini, nella proiezione del raccontare. E raccontando si racconta come in un viaggio o una scrittura diaristica. E così di seguito nel suo armonizzare i luoghi e le città con le avventure e i personaggi.

        In America, primo amore Mario Soldati scrive: "il primo amore e il primo viaggio son malattie che si somigliano". E', certamente, il messaggio più lapidario che si può cogliere ripercorrendo ora l'itinerario letterario di questo scrittore.

      Tra fantasia e misticismo. Tra il rincorrere la fede come atto di fede e la bellezza nel raccontare, appunto, l'amore, il viaggio, le città, le donne, la vita. Non un mistificatore ma neanche un fantasista. Un creatore di storie e di emozioni nel tempo che dilaga nell'incantesimo di avventure che si fanno sogno.                    

       Mario Soldati è morto a 93 anni (nato nel 1906).  Lo scrittore che ha attraversato la letteratura, il cinema, il viaggio, i luoghi in una rappresentazione non solo metaforica e iconica, come nel racconto delle città, ma soprattutto meta – realista.

      Il moralismo sembra un passaggio obbligato in una condizione esistenziale in cui le contraddizioni non sono soltanto nello svolgersi letterario o cinematografico ma vivono nella quotidianità.

      Nella quotidianità c'era l'ironia. Quell'ironia impastata nel moralismo e nel misticismo. Nel racconto "Il fioretto" del volume L'amico gesuita del 1943 si legge: "Il misticismo ha talmente dominato la sua educazione, che è diventato necessario anche alle funzioni che gli sono opposte". Avanzano quelle genuine e straordinarie e necessarie contraddizioni che sono vitalità in Mario Soldati. Ma il misticismo c'è. E vi resta sino alla fine.

      Era nato a Torino nel 1906. Laureatosi in Lettere va ad insegnare tra gli anni 1929 1931 alla Colombia University di New York. Ritorna in Italia e si dedica al cinema come regista, oltre che soggettista e sceneggiatore, e produce film come: Piccolo mondo antico, Malombra, La provinciale, Fuga in Francia, La mano dello straniero, La donna del fiume e molti altri. Lavora per la televisione e scrive per alcuni giornali.

      Nel 1929 pubblica Salmace e nel 1935, con lo pseudonomo di Franco Pallavera, Ventiquattro ore in uno studio cinematografico. America, primo amore è del 1935, La verità sul caso Motta è del 1941, A cena col Commendatore è del 1950. Nel decennio degli anni Cinquanta vedono la luce Le lettere da Capri del 1954, Il vero Silvestri tre anni dopo e La messa dei villeggianti nel 1959.

      Tre libri importanti che segnano certamente un traguardo ma ci sono libri simbolo che danno il senso della creatività di Mario Soldati. Mi riferisco, in questi già citati, a quello del 1935 e a quello del 1954. Poi sarà la volta de Le due città nel 1964, I racconti del maresciallo del 1967, La sposa americana del 1977, L'incendio del 1981, El paseo de Gracia nel 1987.

      Una ricca produzione che dà la misura dell'intenso ed eclettico lavoro di Soldati. Uno scrittore che riusciva ad essere personaggio tra i personaggi. Sia nel cinema che nella letteratura. E questo intreccio si è consolidato in amore – passione. Un amore – passione fatto di intrighi, di ricercatezza, di sogno, di linguaggio e di gesti.

      Con Soldati, infatti, la parola e l'immagine si ritrovano in una simbiosi straordinaria in cui l'espressione è già nella metafora della parola e la simbologia di un segno è nello sguardo che si fa vita. Si crea così un percorso che è puramente letterario ma che fa evincere quel tratto contradditorio che diventa una vera e propria specificazione nel circuito culturale dello scrittore del regista.

      Scrive Piero Cudini, in un testo di storia della letteratura, che "Soldati ha uno stile scarno, scattante, che rende assai bene il senso, anche, dei nuovi linguaggi novecenteschi: di quello cinematografico innanzitutto".

      In Soldati le contraddizioni non sono assolutamente elementi negativi. Sono quella caratteristica che contraddistingue la fantasia e l'onirismo dello scrittore. I suoi romanzi sono impregnati di ambiguità calata nei personaggi.

      I personaggi sono il tempo dell'esistere e partono quasi tutti da un impulso che porta al moralismo. Il suo confrontarsi costante con il mondo cattolico avvia un processo di chiarificazione tra destino e avventura stessa dei personaggi. Ovvero del

personaggio. Il quale non riesco a vivere o meglio ad esistere senza la sua "dimensionalità contradditoria".

      I riferimenti che si ascoltano in Soldati si possono leggere attraverso questi punti. 

A.   La letteratura che diventa recupero della centralità del personaggio.

B.   Il personaggio che si fa avventura e che trova in Soldati una duplice chiave di interpretazione: nella forma narrativa e nella esplicazione dell'immagine grazie al cinema. Ma già in letteratura il personaggio assumeva la sua

     centralità nella visione di una proiezione prospettica nell'immagine.

C.   Lo spazio del raccontare crea, nella proiezione delle immagini, un raccordare  

     nel tempo di due elementi: il ricordo e la memoria. Soldati racconta come se                  

     vivesse in presa diretta i fatti e in molte occasioni è come se li rivivesse ma 

     alla base c'è sempre il filtro del tempo.

D.   La specificazione dello spazio, anche in una realtà metafisica e metaforica, si 

     concorda con i luoghi. E ci sono i luoghi che restano nella fissazione dei            

     paesaggi e nella descrizione delle città che diventano, paesaggi e città, anche 

     modelli poetici.

      Ma qual è la sintesi fondamentale di queste coordinate? Ci sono due lucide osservazioni critiche che ci danno il metro letterario della posizione di Soldati nel quadro del Novecento.

      La prima è di Giorgio Bassani il quale nel 1966 scriveva: "… anche Soldati ricanta, a suo modo, l'aridità e l'impotenza di una civiltà che è tutta in crisi".

      La seconda è di Giuliano Manacorda del 1972: "Soldati è uno dei pochi in Italia per cui raccontare non significa solo pennellare lente situazioni interiori e per cui romanzo vuol dire svolgimento di una trama, senza per questo rinunciare a una perfetta caratterizzazione psicologica, ma, al contrario di questa facendo la ragione stessa dello sviluppo dell'intreccio".

      Le due città è un libro dalle luci che offrono controluci. Cioè è un libro dell'intesa e delle contrapposizioni. Si veda il contrasto amorevole tra Roma e Torino. Un contrasto che si raccoglie nel narrare e saper narrare, nel raffigurare e saper mostrare gli spazi interni ed esterni, quelli interiori dell'animo e quelli esterni delle città, dei paesaggi, dei luoghi.

      I suoi romanzi si incastonano in questo processo che, come si diceva, trova un suo svolgimento proprio nel rapporto tra vita e letteratura. Soldati ha raccontato la vita e raccontandola ha sottolineato la sua vita, il suo pensiero, il suo squisito romanticismo misto a un decadente realismo.

      In questo raccontarsi i luoghi e i paesaggi sono diventati delle voci fondamentali per una decodificazione dell'atto creativo stesso. Roma e Torino, per esempio, sono una pietra miliare nel vagabondare di una fantasia che si fa tensione lirica, riappropriazione di sentimenti, recupero di codici linguistici e stilistici proprio attraverso quel dialogo tra la parola e l'immagine.

      Proprio per questo resta uno scrittore complesso la cui opera va inquadrata non solo storicamente e criticamente ma va riconsiderata come modello di discussione e di analisi in una letteratura in cui il destino del personaggio ridisegna l'avventura del narrare.

      Ebbene, Soldati ha sempre narrato e lo scrittore non si è mai assentato e non si è mai concesso alcuna licenza sia quando ha fatto il regista sia quando ha raccontato le sue storie.

      Come quel diario dei giorni di guerra pubblicato nel 1947 dal titolo Fuga in Italia dove il racconto diaristico sembra dettato sull'onda di una confessione che riprende l'incantesimo dei ricordi. E' un libro di ricordi ma è anche un libro di forti immagini. E' anche un libro di passioni ideali. In queste passioni ci sono quei sentimenti che lo stesso Soldati definisce: "la dolcezza, la pietà, la malinconia del passato".

      "E' lo scrittore più autobiografico che esista". Ha scritto P. Monelli nel 1965. E poi: "Dicendo di uno scrittore che è tutto autobiografico, non s'intende che si debba prendere i fatti che racconta come oro colato. Ma i ragionamenti, le notazioni psicologiche, le introspezioni quelle sono vere, e genuine".

      Lo scrivere è religiosità. E Soldati questo lo aveva capito benissimo. Anzi ne aveva fatto un monito che usava nelle sue riflessioni e lo usava come testamento. "Uno scrittore, un'artista, non deve forse per la conquista dei propri fantasmi, sacrificare la vita tal e quale il sacerdote e rassegnarsi ad avere mani aride come le sue?".

      In Soldati c'è un costante rincorrere l'armonia del dubbio. Ma questo dubbio diventa inquietudine che serpeggia sotto forma di visione onirica, sotto le vesti dell'ambiguità dei personaggi, sotto le vesti di una educazione cattolica, sotto il segno di una impossibilità del conoscere.

      Lo scrittore resta sempre lì che aspetta. Aspetta le fantasie che si fanno vento. Aspetta i fantasmi che aleggiano, aspetta le visioni che penetrano i sentieri del tempo, dello spazio, dell'essere. Lo scrittore è il navigatore delle lontananze nel presente che è un gioco infinito tra la vita e i ricordi.

      Tra la vita e i ricordi c'è appunto la sua città. O le sue città? Ma direi la sua Torino. Quella Torino che aveva un misto, nel suo sangue, di Toscano. Lui di famiglia piemontese ma di nonno materno Toscano.

      Ha voluto sempre ricordare una Torino "con le sue virtù semplici e quasi risorgimentali, la sua cordialità schietta e immediata, l'attivismo talora un po' strabocchevole, la facilità dei contatti col popolo, in una parola con le sue virtù moderate" così ci dice Ugo Fragapane in un suo saggio. E questa città si intreccia in un modo di vivere che ha sempre contraddistinto uno scrittore dai toni armonici, dai segni precisi, dalla memoria lunga. Una memoria che è appartenenza. Era la fine degli anni Ottanta quando conobbi Mario Soldati.

 

Mostra di giocattoli d'epoca del Teatrino dell'ES a "ARTE IN GIOCO" a Castel Belasi (TN).

 

Teatrino/Teatro dell'Es di Vittorio Zanella e Rita Pasqualini

Spettacoli, laboratori, animazioni, corsi di formazione professionale, mostre, museo, biblioteca,

centro di documentazione, conferenze, ricerche storiografiche, expertise, illustrazione e cartoni animati.

Direzione artistica ed organizzativa di rassegne, festival e stagioni di teatro d'attore e di figura:

burattini, marionette, ombre, pupi e pupazzi.

Sede fiscale ed organizzativa via Pederzana, n�5, 40055 Villanova di Castenaso (Bo).

Tel. e fax (+39) 051/6053078, cell. (+39) 338/2961206

vittorio@teatrinodelles.it rita@teatrinodelles.it www.teatrinodelles.it

domenica 10 luglio 2016

Intelligenza Artificiale e Noir vintage doc recensione de Il Cervello di Donovan di Curt Siodmak (1942!)

 

 

http://www.meteoweb.eu/2016/07/noir-intelligenza-artificiale-recensione-de-cervello-donovan-curt-siodmak-1942/711595/

 

 di R. Guerra


Noir e Intelligenza Artificiale

recensione de Il Cervello di Donovan di Curt Siodmak (1942!)

Oggi anni duemila, gli sviluppi costanti, straordinari e anche se si vuole inquietanti delle Neuroscienze, delle Computer Science, dell'AI (Intelligenza Artificiale) il "Cervello di Donovan" del singolare scrittore Curt Siodmack, romanzo di fantascienza thriller o Noir vintage... del 1942, potrebbe sembrare persino normale e plausibile.  Alla luce in particolare del cosiddetto Mind Up-Loading o della Crionica parziale (il solo Cervello o Testa dell'ibernato), secondo almeno le prospettive futurologiche o transumaniste più radicali.  Nel 1942 (il libro poi apparve soltanto nel 1972 per i gialli Garzanti) furono pagine certamente soprendenti, potenziate dal personaggio stesso dello scrittore, poi anche regista e sceneggiatore  statunitense ma di origine tedesca.  Siodmack  figura anche come operaio attore, uno del cast infinito e clamoroso dell'epoca, per il grandissimo Metropolis di un certo Fritz Lang.  E il romanzo, se attinge certamente anche a classici di certo fantagotico ante litteram, dal Frankenstein di Mary Shelley al Dottor Jackil and Mr. Aids di Stevenson, evoca eccome il capolavoro espressionista del piu celebre regista tedesco. Muore un noto miliardario in un incidente aereo: per un caso, il protagonista scienziato, dislocato in una area remota come medico, è chiamato ai primi vani soccorsi... Il paziente muore, per una serie fortunata di coincidenze, il giovane e ambizioso scienziato che vuole giocare a Dio, riesce a conservare in una specie di contenitore di fortuna il cervello ancora vivente del miliardario e a  celarlo a tutti, ma non a un fidato collega a cui poi svela l'esperimento inaudito chiedendogli di collaborare.  Il medico amico dapprima non ne vuole sapere, prigioniero o  impaurito da dubbi che oggi chiameremmo bioetici: alla fine, nel bene  e nel male, sarà altrettanto protagonista.  L'esperimento, grazie ad altre geniali intuizioni dello scienziato "pazzo" o "rivoluzionario" a seconda dei punti di vista,  è la cronaca stessa e la trama del romanzo che si sviluppa in modulazioni soprendenti e sempre più complesse e affascinanti o  drammatiche. Ad un certo punto, nasce un contatto con la mente-cervello sopravvissuta del miliardario Donovan  che via via condiziona sempre più per via "telepatica" o "psicotronica" lo scienziato:  ben presto, mentre il cervello stesso si sviluppa in modi abnormi e eccezionali ulteriormente, rivelando capacità nuove e mutanti quasi, quest'ultimo perde il controllo se non quando Donovan, il Cervello dorme, sdoppiando la propria personalità ed eseguendo come un automa tutti gli ordini, spesso apparentemente bizzarri ed incredibili, di Donovan, quasi deciso a espiare con  donazioni postume molti soggetti nella sua vita danneggiati e ingannati sempre per soldi, inganni alla base anche della sua carriera come miliardario.  Il romanzo segue poi quel che poi è diventato un copione di certa letteratura superomista e scientistica...   Lo scienziato ad esempio, riesce a sfuggire alla maledizione e al condizionamento sistematico del Cervello, evitando di uccidere la propria compagna e mecenate, spesso  trascurata in nome della scienza,  solo grazie o quasi al sacrificio del più anziano e stimato collega di cui prima, che scopre come  uccidere il Cervello e neutralizzarlo per sempre.    Tutta la dinamica segue scansioni tipicamente noir o giallistiche o persino horror, visto il tipo di esperimento.   Al di là comunque della trama, oggi ovviamente banale, e delle considerazioni bioetiche,  il cosiddetto mind up loading dei transumanisti è in certo senso anticipato nel romanzo neuroavveniristico del 1942 in questione.  Ovvero la possibilià ancora oggi fantascientifica, ma possibile tra qualche decennio o nel prossimo secolo, di raggiungere se non l'immortalità, certamente una seconda vita completamente artificiale, trasferendo, se non persino la sola testa con il cervello con la cosiddetta Crionica (in questo caso, poi, si suppone una tecnologia capace anche di riclonare il corpo ex novo...), semmai il cervello (e quindi anche la mente e la coscienza e la memoria personale della precedente vita) in una specie appunto di download in un supporto digitale avanzatissimo: diventando, in questo caso, l'ex homo sapiens una specie di microcomputer quantico o qualcosa del genere.
Rispetto al romanzo scritto di Siodmack, in chiave digitale l'ipotesi è forse significativa: sempre inquietante per parecchi, ma l'horror del semplice cervello vivente asportato e poi messo in coltura  svanisce probabilmente nella fredda asetticità  delle nuove tecnologie informatiche o bioinformatiche in tal caso.  Sul piano letterario, il romanzo stesso, alla luce del progresso scientifico, appare oggi, concludendo,  probabilmente più bello, apprezzabile ed interessante, proprio per il suo linguaggio, per forza attualmente vintage e "paleoscientifico", colmo di intuizioni sorprendenti.
 


INFO
https://www.amazon.it/cervello-Donovan-Siodmak/dp/B00NFW8P70
https://it.wikipedia.org/wiki/Il_cervello_di_Donovan_(film)
https://it.wikipedia.org/wiki/Curt_Siodmak

http://espresso.repubblica.it/visioni/2014/06/18/news/transumanismo-la-religione-della-silicon-valley-l-articolo-dell-espresso-scelto-per-la-maturita-1.169767

Siamo Mediterranei intrecciati tra il Pensiero e l’Agire di Pierfranco Bruni

 


Siamo Mediterranei intrecciati tra il Pensiero e l'Agire

 

 

di Pierfranco Bruni

 

 

 

    Il sapere è una archeologia dei pensieri nelle civiltà. Il mondo classico (greco – latino) costituisce il riferimento chiave per penetrare le civiltà dell'Occidente. La misura del tempo tra Occidente ed Oriente è rappresentata proprio dal concetto di spazio. Ha scritto Luciano Canfora in "Prima lezioni di storia greca": "La parola ha uno spazio grandissimo nella vita collettiva (teatro, assemblea, tribunale) e perciò anche nel racconto storiografico antico è largamente presente, e talvolta dominante. Non è un semplice ritrovato artistico: è un fedele rispecchiamento della realtà molto parlata della città greca. La scrittura – soprattutto quella esposta – è un surrogato marginale".

 


 Cosa ne sarà della Grecia e del Mediterraneo? Tutto il mondo greco che sprofonda significa la strozzatura della civiltà Mediterranea greco – latina… Cosa facevano i filosofi greci nella vita quotidiana? Era un mestiere pericoloso il quotidiano dei filosofi. In quel tempo quando regnavano Socrate, Senofonte, Platone, Aristotele, Epicuro, Lucrezio…. Ve li immaginate tutti insieme questi filosofi oggi catapultati nella nostra realtà politica e culturale discutere di Genoma o della "virtù" del computer?

      C'è una grecità consapevole e una grecità inconsapevole che si agita nel contesto del rapporto tra vita e cultura nel mondo moderno. Molti atteggiamenti della vita quotidiana (molti linguaggi e molte espressioni, molti comportamenti e molti temperamenti) hanno un loro radicamento che ci porta direttamente ad una atmosfera e ad uno scenario greco.

      La vita politica stessa ha molti rimandi sia nel bene che nel male. Ma è soprattutto la letteratura che ha risentito di quelle derivazioni elleniche che hanno un loro sostrato ben presente anche nell'arte. Ma arte e letteratura erano in un colloquio costante. La filosofia ha dato molto sia alla letteratura che all'arte.

Il gusto del mistero, il sentire la parola come segreto e il colore come la maschera, il penetrare il tempo come una penetrazione nel labirinto delle memorie, il concepire la vita come una decodificazione dei simboli che ci attraversano grazie anche alla presenza di frammenti mitici. E poi i linguaggi con i loro segni e i loro tracciati archetipali. Insomma nonostante tutto viviamo consapevolmente o inconsapevolmente in un contesto in cui la grecità  ha ancora un suo senso. Lo ha se si pensa che la grecità è stata anche Oriente e parimenti ha intrecciato confronti con gli Orienti.

      I filosofi nel quotidiano vivono il loro realismo inventandosi però costantemente la vita e ragionando del fare e del sapere della politica che occupava, appunto, il quotidiano.  L'archeologia ci ha permesso e ci permette di penetrare in un tale contesto che è fatto di testimonianze e di linguaggi.

      Qualunque possa essere la fantasia che vogliamo disegnare o incollare sui loro nomi mi sembra, comunque, difficile vederli in opera nel contesto attuale. Ma questo non ci interessa. Potrà essere discussione di un cenacolo in qualche anfora panatenaica di un qualsiasi Museo greco o della Magna Grecia.

      A cosa pensavano i filosofi in quel tempo? A cambiare il mondo o ad interpretarlo?  Socrate emblema su tutti. Ma come interpretare il mondo o la vita? Quelli, signori miei, volevano interpretare per cambiare e finalità ultima era quella di costruire un nuovo modello. Ricordiamo Platone e la sua città nuova. Ma erano filosofi e come tali non andavano presi sul serio?

Il tempo antico ha molte colpe ancora da farsi perdonare. Noi ci illudiamo spesso di "ritornare" a un tempo che non c'è più ma occorrerebbe verificare lo stato di salute di questo tempo che non c'è più. Decantarlo o cantarlo non serve se non si ha la piena consapevolezza di tutto un mondo che è stato e che si è proiettato a noi grazie alla memoria.


      Socrate rappresenta non solo un riferimento bensì una chiave di lettura forte per addentrarsi dentro un mondo che era politico, ma anche "particolarmente" umano. La filosofia greca ha un pensiero umano? Non dell'umanesimo dell'uomo.          

     Atene in quel tempo era la culla del sapere ma anche era la trincea della politica come sapere della cultura. Era anche la "frontiera" dei conflitti e degli scontri. E chi aveva costruito tutto ciò? Loro. Erano stati loro. E badate scontarono le loro pene espiando la colpa del sapere o dell'aver saputo. Persino sulla tomba di Cartesio Pierre Chanut aveva fatto scrivere: "Espiò gli attacchi dei suoi rivali con la purezza della sua vita".

      Eravamo, con Cartesio, in altre epoche. Ma è stato sempre così. Questi filosofi dal mestiere pericoloso. Ma il dubbio frulla e rimugina. Cosa avrebbero fatto oggi quei filosofi dell'Atena di un tempo? Potremmo chiederlo a Tiresia? Si vedrà! Ma accanto alla "tragedia" del mito insistono quasi sempre le onde dell'ironia.

      Siamo impregnati di grecismo e la latinità stessa affonda le sue radici in questo mondo sommerso di omerica visione e di omerica nostalgia. I miti che nascono prima di Omero trovano in Omero la casa del pensiero depositato. La grecità si fa mito e il mito si dichiara anche nel quotidiano. E così sia! Ma la cultura greca è ancora nel nostro esistere. Troia non era Occidente. Era ed è la Turchia. Cartagine non era Occidente. Era ed è Tunisia.

      I filosofi ragionavano di filosofia, ma preferivano anche agire. Azione che si svolge nel tempo e non fuori dal tempo. Alla politica della parola doveva subentrare la politica dell'azione.

Altrimenti che senso avrebbe avuto il loro stesso filosofare? Uccidiamo ancora una volta il Mediterraneo greco – latino… Uccidiamolo e ucciderlo significa il suicidio di una civiltà che ha tracciato la storia del passaggio tra l'Antico e il Rinascimento.

Il Mediterraneo è inconcepibile soltanto se si pensa alla classicità greco – latina, come resta incomprensibile se lo si affida soltanto al mondo Arabo o al mondo cristiano e musulmano ed ebraico. Ci sono state le civiltà ma dentro le civiltà ci sono state le religioni, le culture, le eredità.

    Il tempo della Mesopotamia non è mai finito, ovvero il pensiero forte e convergente e divergente ha avuto come riferimenti sia la terra che il mare, sia il tempo che lo spazio. In tutto questo le archeologie non sono soltanto i reperti, ma sono una geo – etnia che coinvolge popoli e cittadinanze. Il tempo della Mesopotamia è il tempo infinito che è scomparso. Ma questo scomparire non dimenticare. Noi restiamo Mediterranei intrecciati e le arti sono una civiltà in costante dialogo tra noi e il passato, tra il Pensiero e l'Agire.

 

 

 

 



Italian Institute for the Future : Un'intera estate per guardare al futuro!

 

Un'estate intera per guardare al futuro


Cari amici,
 
d'estate si stacca la spina ma spesso si fanno anche piani per il futuro, guardando all'anno che ci attende e alle sfide che ci toccherà affrontare. Per questo all'Italian Institute for the Future abbiamo pensato di darvi un po' di spunti per le vostre riflessioni di lungo termine.

Fino al 31 luglio c'è un'imperdibile offerta per voi: acquistando l'ultimo numero della nostra rivista FUTURI, dedicato alla rivoluzione demografica (ma non solo), riceverete un codice promozionale valido per l'acquisto dei numeri precedenti al 50% di sconto! La promozione è valida sia per la versione cartacea che per gli ebook, ma solo dal nostro sito www.instituteforthefuture.it/pubblicazioni.

Se invece per le vostre letture estive preferite degli appassionanti racconti di fantascienza, c'è sempre la nostra antologia Segnali dal futuro, che presenteremo lunedì 11 luglio alle ore 18.00 presso la Libreria Iocisto a Napoli. All'incontro parteciperanno i curatori Francesco Verso e Roberto Paura, modera Carmine Treanni, direttore di "Delos Science Fiction".

Se siete appassionati di Spazio e vi siete persi il nostro evento "Un viaggio lungo un anno" per celebrare il primo anno di attività del Center for Near Space, vi invitiamo a consultare la pagina dedicata sul nostro sito per scaricare tutte le presentazioni e scoprire su cosa stanno lavorando i nostri colleghi.

Non ci resta che augurarvi una buona estate, sempre con un occhio aperto verso l'orizzonte!
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