Pierluigi Casalino: L'eredità politico diplomatica di Cicerin nella storia delle relazioni internazionali della Russia sovietica.


Da: Pierluigi Casalino <pierluigicasalino49@gmail.com>
 
 
Così come il generale zarista, e poi brillante ufficiale delle guardie bianche, Brusilov entrò nell'Armata Rossa bolscevica e vi porto' lo spirito e lo stile militare del vecchio regime, unitamente al tradizionale carattere nazionalista russo, analogamente- è stato detto- che Cicerin, il primo Commissario per gli Affari Esteri della Russia sovietica, trasporto' nel nuovo regime l'eredità della diplomazia zarista e fu responsabile, e autorevole protagonista, dell'elemento di continuità esistente tra la politica estera prerivoluzionaria e quella di potenza della Russia sovietica soprattutto nel secondo dopoguerra. Andrei Gromyko, l'inossidabile ministro degli Esteri dell'URSS del dopo Molotov e che in pratica resse la politica estera russa quasi fino a Gorbaciov, ricordò, con enfasi,tale circostanza, in occasione della commemorazione dei 90 dalla nascita del suo predecessore degli Anni Venti del XX secolo. Suggestioni della vecchia diplomazia non potevano certo mancare in lui: Cicerin, figlio di un diplomatico dell'entourage di A. M. Gorchacov e autore egli stesso della biografia del ministro degli Esteri dello zar Alessandro II, aveva lavorato per molti anni come archivista nel Ministero degli Esteri russo. Tant'è che monsignor Pacelli, il futuro Pio XII, nell'incontro con Cicerin a Berlino, in vista di un eventuale riconoscimento vaticano del nuovo regime sovietico, riferì al Cardinale Gasparri, responsabile della Segreteria di  Stato,  che l'atteggiamento del diplomatico era più da russo che da bolscevico in ordine a molte questioni quali soprattutto quelle relative al rapporto tra il nuovo potere comunista in Russia e i cattolici, che di norma non era così favorevole alla loro libertà di culto come quello adottato, se pur con riserva, nei confronti degli ortodossi. Nel gennaio 1924, a pochi giorni dalla scomparse a di Lenin, Cicerin riassumeva il lascito del fondatore dello Stato sovietico in materia di politica estera: tali linee erano espresse in forma generale e pur così si riferiva a numerosi casi concreti, ma Cicerin evitò  tuttavia di fare riferimento alle idee leniniste precede grazienti l'ottobre 1917, che erano nuove rispetto al tradizionale atteggiamento marxista verso la guerra. In una guerra che non era più "giusta", al pari delle "guerre nazionali", bensì reazionarie, Lenin puntava a trasformare la guerra imperialista in guerra civile e ripudiava il dovere patriottico della difesa nazionale proclamato dai partiti socialdemocratici ufficiali secondo lo schema della Seconda Internazionale, rivendicando invece la conclusione di una pace democratica, senza annessioni né indennità. A "vegliare sulla culla" della politica estera sovietica fu così la convinzione che gli antagonismi fra le potenze, ritenuti ineliminabili a causa della legge sulla disuguaglianza di sviluppo del capitalismo nella sua fase imperialistica, avrebbero costituito una sorta di scudo protettivo per la Russia sovietica, la più efficace garanzia per la sua sicurezza. Ben presto però la logica della sopravvivenza in un mondo ostile avrebbe riportato in auge l'arte della diplomazia e costretto il governo rivoluzionario a confondersi nel labirinto delle sottigliezze diplomatiche. In tale contesto Cicerin gettò il ponte tra la vecchia politica estera prerivoluzionaria e la futura politica di potenza dell'Urss. Non a caso l'eredità diplomatica di Cicerin fu celebrata dall'inossidabile ministro degli Esteri sovietico, Andrei Gromyko, il cui incarico durò fino quasi alla vigilia del crollo dell'Urss. Aggirando le motivazioni squisitamente rivoluzionarie, Cicerin, infatti, riprese il filone delle relazioni internazionali di scuola zarista, adattandone l'approccio alle mutate congiunture storiche e ideologiche della Russia e del mondo. L'accordo di Rapallo con la Germania di Weimar , come ho spesso ricordato nei miei interventi, fu uno dei suoi capolavori. Descritto come un fantasma di diplomatico ottocentesco in un ambiente novecentesco a lui poco congeniale, nonostante l'aver aderito al bolscevismo, Cicerin fu colui che con maggior lucidità intravvide l'ineludibile esigenza che il governo sovietico, una volta disattese le aspettative su eventuali rinforzi da parte del proletariato europeo, ricercasse vie per una "coesistenza pacifica" con il mondo capitalista. Risale, infatti, a Cicerin la prima enunciazione di questa formula, sulla scia di alcune riflessioni e idee sul futuro della politica mondiale della Russia sovietica, che egli andò elaborando a partire dalla metà del 1919 e a cui resterà sostanzialmente fedele nel corso della sua attività di commissario agli Esteri.
Casalino Pierluigi