venerdì 27 marzo 2015

Spoleto, CARTEGGI, a cura di Giorgio Di Genova


L'Officina d'Arte&Tessuti è lieta di presentare

"CARTEGGI"
28 artisti ed il medium carta

Spoleto, 28 marzo – 3 maggio 2015

Vernissage sabato 28 marzo, ore 17:30
Via Plinio il Giovane 6-8

COMUNICATO STAMPA

"Carteggi" è la prima delle due mostre del 2015 dedicate ad artisti contemporanei che, dall'uso delle fibre, lato sensu, hanno tratto un linguaggio espressivo del tutto particolare. Si inizia con i 28 artisti in mostra, che usano la carta per realizzare collage, puzzle, sculture, tutte opere visibili negli spazi della galleria di Spoleto a partire da sabato 28 marzo p.v..
La mostra è curata dal Prof. Giorgio Di Genova, che é anche autore del testo del catalogo, con la collaborazione di M. Giuseppina Caldarola. L'allestimento del percorso espositivo è pensato in funzione delle chiavi di lettura e degli spunti che il catalogo fornisce per approfondire il tema.
Il connubio tra arte e carta nasce in tempi remoti mentre, come viene evidenziato nel testo citando un volume scritto da Ezio Flammia (uno degli artisti presenti), l'uso della carta per la creazione di opere d'arte può essere datato a partire dal XV secolo, quando la cartapesta veniva utilizzata per produrre copie di sculture realizzate da artisti famosi. Più recentemente, invece, come ben evidenzia Giorgio Di Genova nel catalogo, il cartone viene indicato da Boccioni nel Manifesto della scultura futurista del 1912 "come uno dei venti materiali con cui si potevano realizzare opere plastiche, dando così il via al polimaterismo. Indicazione che fu immediatamente recepita da Braque e da Picasso ed a partire dalla quale si può affermare che la carta ed il cartone erano ormai entrati nei territori dell'arte, contribuendo non poco alla svolta onnivora di nuovi materiali nella produzione artistica del XX secolo.".


GLI ARTISTI
SILVIO BETTI, ANTONIO BUENO, MICHELANGELO CONTE, CATERINA ARCURI, FRANCO CENCI, VITO CAPONE, BRUNO CONTE, EDITH DZIEDUSZYCKA, VITTORIO FAVA, EZIO FLAMMIA, SERGIO FLORIANI, MIRELLA FORLIVESI, FRANCO GIULI, SALVATORE GIUNTA, MARISA LELII, GIOVANNI LETO, GIANNA MAGGIULLI, ADAMO MODESTO, ANNA MORO LIN, FRANCO PALETTA, ROSA PANARO, CLAUDIO PERRI, ADRIANA PIGNATARO, TERESA POLLIDORI, CLAUDIO ROTTA-LORIA, EUGENIA SERAFINI, MARIO SURBONE, FRANCESCO VARLOTTA.

Scheda Tecnica

EVENTO: "CARTEGGI – 28 artisti ed il medium carta"
DOVE: Officina d'Arte&Tessuti, Via Plinio il Giovane 6 - 8, Spoleto
QUANDO: 28 marz8 – 3 maggio 2015
VERNISSAGE: sabato 28 MARZO, ORE 17.30.
CATALOGO: in galleria
ORARIO: da mercoledì a sabato ore 11/13 – 15/20 (o su appuntamento)



Per maggiori dettagli sul programma:  info@officinadartetessuti.com www.officinadartetessuti.com

giovedì 26 marzo 2015

La capitale del tempo


La capitale del tempo
                        A proposito di un romanzo 
di Sandro Giovannini

                                              di Giovanni Sessa

Sandro Giovannini è autore che stupisce. Sempre. Anche la sua ultima fatica letteraria conferma questa affermazione. Mi riferisco al recentissimo romanzo La capitale del tempo, nelle librerie per i tipi di NovAntico editrice (per ordini: 335/5655208, euro 18,00). Dopo aver attraversato nelle   produzioni saggistiche, ultima in ordine cronologico ma non per rilevanza teorica, …Come vacuità e destino, gli autori non conformi sui quali giovani intellettualmente inquieti, negli anni Settanta, costruirono le loro speranze politiche di rettifica dell'area di appartenenza e, più in generale, dello stato presente delle cose, ora giunge come soleva dire Michelstaedter, ai ferri corti con la vita, ad un confronto serrato con il significato ultimo dell'ex-sistere.
    Il romanzo che brevemente discutiamo prospetta diverse vie d'accesso al lettore: può, infatti, essere interpretato come una "biografia familiare", un fare i conti con il Padre-Legge, in quanto il protagonista Marco è l'alter ego del genitore dell'autore, Enzo Giovannini, pilota dell'Aviazione italiana in Etiopia tra il 1937 e il 1941, nella fase in cui le nostre Forze Armate erano impegnate a contrastare bande di ribelli etiopi armate dagli inglesi. Il narrato, per ampia parte ambientato nel Corno d'Africa, ha il tratto caratteristico, in alcuni suoi momenti, del racconto storico, dal quale è possibile, tra le altre cose, rilevare l'effettivo ubi consistam del colonialismo italiano, almeno di quello effettivamente realizzato da chi era allora in prima fila nell'Africa Orientale al fianco del Duca d'Aosta che, in più di un'occasione, compare nelle vicende della storia raccontata. Una presenza, quella italiana in Etiopia, non fatta di esclusivo sfruttamento delle risorse locali e delle popolazioni aborigene, ma sostanziata dal sacrificio e dal duro lavoro di quanti si insediarono in zone aride dell'Acrocoro e le trasformarono in aree fertili. E' il caso testimoniato da un personaggio minore, Luigi, già subalterno di Marco, la cui personalità, colta in modo compiuto dall'autore, è centrata sulla fedeltà solare dei cosiddetti umili. Questi, con la famiglia, si era stabilito in una fattoria sulle sponde del lago Gondar, trasformata in un'oasi di rigoglio ortofrutticolo.
   O ancora, il testo può essere letto quale racconto eroico e d'atmosfera, in quanto Giovannini con   capacità descrittiva e lieve tratto di penna, ci trasporta in una dimensione storica e spaziale, apparentemente persa per sempre, e riesce a farci godere in prima persona le scorribande aeree dei piloti della XIV Squadriglia, la Testa di Leone, e della XV, La Disperata. Ma, si badi, non sono gli uomini i soli protagonisti delle vicende de La capitale del tempo, lo sono in maniera ancor più rilevante, i paesaggi africani, i medesimi descritti da Vittorio Boenio Brocchieri in Cieli d'Etiopia: spazi sconfinati attraversati dalla nostalgia di chi ha avuto la ventura di soggiornarvi, la loro varietà orografica e la flora lussureggiante li rendono ineguagliabili, la foresta del caffè di Babaduna, gli eremi copti e i castelli portoghesi di Gondar, gli immancabili Tucul di argilla e paglia degli autoctoni, rappresentano il manifestarsi di un genius loci generoso. A confermare la legittimità dell'esegesi del testo sotto il segno del "romanzo storico" sono anche le rivelazioni inedite di Giovannini: la prima riguarda la spedizione poco conosciuta del Generale Piacentini, che in Etiopia scoprì pigmei ermafroditi. Tale scoperta fu sottaciuta per ragioni politiche. La seconda la svela la ricca appendice fotografica di cui è corredato il volume, in cui viene ritratto l'ufficiale francese, presente nel testo con il nome di fantasia "Lamberti", che diede per primo la notizia alla comunità internazionale dell'uso italiano delle armi chimiche. Ancor più rilevante, sotto il profilo storico, è il ricordo, connotato di pietas, delle violenza subite dalla popolazione civile italiana a opera dell'etnia Kikuju, inquadrata nei ranghi dell'esercito inglese. Tali riferimenti storici, pur rilevanti, sono diversivi narrativi, in quanto, come si vedrà, è il paesaggio nell'economia generale del romanzo a svolgere un ruolo dirimente, ai fini della decodificazione delle reali e più profonde intenzioni dell'autore.
     Esse sono in qualche modo volutamente, quasi iniziaticamente, velate dalla strutturazione a più livelli della fabula, dal suo essere molte cose in una. Aspetto che la tecnica narrativa adottata manifesta con evidenza. Al narrato vero e proprio, si alternano lettere che i protagonisti si scambiano tra loro o che inviano a persone distanti, tra cui personaggi noti, quali il filosofo Julius Evola (indizio significativo per comprendere le intenzioni di Giovannini), articoli comparsi su pubblicazioni, cambi improvvisi di ambientazione. Tale tecnica mira, innanzitutto, a mostrare come il passato sia sempre nel presente, al medesimo tempo pregno e sostanziato di futuro, da qui il titolo, crediamo di interpretare correttamente, di La capitale del tempo. In questo eterno presente avviene l'incontro di Marco con Silvia, donna sposata, per la quale il protagonista prova immediata attrazione ed amore. La descrizione degli amplessi tra i due cela in realtà, una cerca interiore dai tratti, a volte, drammatici. In questa storia d'amore intenso e contrastato, Silvia svolge il ruolo del Doppio, dell'Ombra che si cela in ognuno di noi e, più in generale, nella vita.
    Reintegrare l'Ombra era l'arduo compito cui alludevano i "Misteri della Donna", della "Beatrice", consistenti fondamentalmente nell'attualizzare nell'uomo qualcosa di latente, in potenza e sopito. Un principio latore di Vita Nova. Il medesimo che il protagonista del romanzo Marco, cerca spasmodicamente nel confronto con Silvia e che nella seconda parte del volume, ambientato nel contesto storico del drammatico dopoguerra, sembra, per certi aspetti, aver conseguito.  L'interesse per Evola è importante lungo questi itinerari, ma a noi pare Giovannini essere assai prossimo al Gurdjieff della Quarta Via. Infatti, il lavoro di integrazione coscienziale che viene descritto nel romanzo, si basa sull'armonizzazione dell'essere umano in tutte le sue parti costituenti, il cui obiettivo terminale è la ricongiunzione della dimensione interna, coscienziale, con il mondo esterno: questa la ragione dell'interesse per i paesaggi e per i viventi che li abitano. Il protagonista vive ogni momento intensamente, in quanto è nel mondo, senza ormai appartenervi più del tutto.
   Pagine rivelative, importanti, quindi, quelle di Giovannini. Una confessione spirituale che esplicita, a nostro beneficio, la verità segreta perseguita nel suo percorso esistenziale

Francesco Dario Rossi Figure della mente


di Emilio Diedo

Francesco Dario Rossi
Figure della mente
Prefazione di Alessandro Fo
Commenti di Andrea Stagnaro
Copertina e progetto grafico: Dreamland; patelle con biografia (1^) e foto (2^) dell'Autore
Pegasus Edition, Cattolica (Rn) 2015, pp. 76, € 10,00


Nella capziosa grigio-azzurrata copertina dal simmetrico fronte-retro in carta lucida, o meglio nell'ottimale disegno che felicemente la decora nella sua totalità, emerge il primo avvolgente richiamo. Una sirena. Biglietto da visita alquanto attagliato a questa silloge poetica. Immagine d'una sorta di megalitica Stonehenge. Aleatoria struttura di pietre che coglie la ieratica e nel contempo consono, iconico simbolo del divino. Ma, qui, in un ancora più lato significato, ampliandosi esso agli elementi acqueo ed atmosferico, ovverosia aereo: un oceano sovrastato da un gregge di nembi. È il recente, ulteriore, affascinante lavoro del genovese Francesco Dario Rossi.
   Ex insegnante di lettere, latino e greco, ora in pensione, l'Autore ha pensato di impastare classicità, filosofica ricerca e libero pensiero.
   Non parlo di classicismo canonico, per meglio dire metrico, bensì d'un classicismo avvalorato dall'essenza delle più antiche filosofie. Già percepibili nell'incipitario tocco, che, per di più, ne richiama altre più attuali. Filosofie da una parte geometriche (da Talete, Euclide, Pitagora e lo stesso Platone si giunge ad Hilbert, Gödel, Carnap, Tarski, Curry, Frege, Russel, Turing e ad altri ancora), assecondando subito l'essenza del titolo, e dall'altra rispolverando gli elementi primari che attinti dalla natura, ed integrante parte di essa, insufflano la vita (cfr. Anassimandro ed Anassimene ed i presocratici in generale).
   Da qui il Poeta ha appianato una conseguente intermedia Recherche applicata ai contenuti proustiani. Linea mediana e filo rosso che funge a sua volta da coerente proemio ad un terzo cardine della raccolta, Sogni vagabondi, aperto all'idealismo d'un libero poetare, inteso, non tanto nella sua espressione formale, bensì nell'itinere d'una facondia originale di metaforizzare l'esistenza.
   Il tutto con il tramite d'una poesia scarnificata, essenziale ma fortemente ispirata. Concettualmente viva nelle vesti d'una quasi ermetica performance. Sintonica alle premesse del titolo. Sinfonica nel contempo.
   Va inoltre detto che a corollario del contesto prelude l'ampia serie d'osservazioni critiche ("Prefazione", pp. 7-12) di Alessandro Fo, figlio d'arte per il teatro (nipote di Dario Fo, Nobel per la letteratura, 1997; ma anche il padre Fulvio è addetto ai lavori teatrali, nonché scrittore). Personalità, il prefatore, anche nel campo della poesia. Tra i suoi principali riconoscimenti sono senz'altro da sottolineare i premi Dessì, 1995, ed il recentissimo Viareggio, 2014. È inoltre saggista e traduttore.
   Ulteriore, confortante (nel senso della lettura dei versi) supporto perviene dall'amico dell'Autore, Andrea Stagnaro. Questi, con la sapienza del matematico, intrinseca rispetto a figurazioni geometriche che allegorizzano moti della mente, insieme ad una non indifferente propensione parafrastica, bene assecondando le intenzioni poetiche dell'Amico, ne completa il quadro critico. Scrive a p. 13 il suo amico autore: «ha visto e vissuto la genesi delle mie poesie delle sezioni Figure della Mente e Recherche». Compito assolto a conclusione d'ognuna delle parti di pertinenza.
   Quanto alla prima nonché primaria sezione, eponima, le Figure della Mente confluiscono giustappunto in figure geometriche, abbraccio di metafora e dinamismo del quotidiano vivere. Riflesso amplificante, nello specifico, di un'esistenza sommariamente intenzionale, psichica, apparentemente manifesta nell'ordine dei potenziali, infiniti tòpoi d'un agire in mente dei. Dimodoché è proprio la Vita il soggetto tematico. La vita, quasi fosse essa stessa individuo sottoposto a psicanalisi, sempre e purtuttavia nell'inusitata, amena maniera dello scrivere in versi. Analisi d'un quotidiano potenziale esistere quindi da intendersi come traduzione nella doppia estensione estetica e matematica, più specificamente geometrica.
   Eccola allora, quest'analisi, in "Sezioni" (p. 14), farsi rincorsa e subitanea proiezione d'un insieme "di piani" che con impetuose sforbiciate imprimono "tagli limpidi / armoniose figure della mente / che non appaion più / soltanto solidi".
   Poi diviene, nella successiva "Sinusoide" (p. 15), funzionale curva, schema, allegoria per eccellenza di quell'umana funzione cerebrale che è l'intelletto.
   Rieccola ora farsi composita "Ellissi" (p. 16) nel coordinato criterio mentale che dell'uomo, in questa retorica immagine, ne gestisce l'individuale attività.
   Ed ancora, nel farsi prospettiva di crescita, di sviluppo, d'aspettativa di fede e/o di speranza, o semplicemente quale sfogo, la vita è rappresentata, nel segmento del verso, come "Parabola" (p. 17), a mo' dell'omonimo evangelico predicare (leggasi "narrare") del Cristo.
   In altra simbolica tappa, arriva ad assumere ulteriore, attigua figura d'irraggiungibile "Tangente" (p. 18): perenne ritorno, tendenzialmente abbordabile ogni volta, ma che agli effetti pratici è altrettante volte scivoloso, fuggevole.
   Finché, dopo tutte tali frastornanti ed elusive metafore, che come sguscianti anguille lasciano all'individuo-emblema (quel doppio Francesco Dario Rossi, uomo e poeta) appena un mero residuo d'immagine, il gioco della poesia invera figure mentali stavolta più concrete, materiche. Talora spigolose ("Triangolo" e "Cubo", pp. 19-20) talaltra smussate, maggiormente scorrevoli, oliate ad arte ("Sfera", "Coni", "Cilindro", pp. 21-23).
   Vita e pensiero, vita e anima infine confluiscono e si raccolgono nello stampo d'una memoria purchessia. Amalgama, sia esso tristo o felice, del corpo, somatico unisono parzialmente immaginato a forma di "Coni" (p. 22) o più globalmente inquadrato nella massiva "Forza tetragona e compatta" della "Piramide" (p. 24).
   Strutture raffigurate dalla ragione d'una poietica ambiziosa d'illustrare le prorompenti propensioni dell'Anima. Ed altresì strutture di forma che la stessa poesia assume quali sue palizzate di contenimento, in linea di massima censite tra una sia pur balbettante, non costante, sequenza di decasillabi ed endecasillabi. Quando non siano monostrofiche, se superino cioè l'ordine dell'unica strofa, sono strutture invariabilmente suddivise in strofe calibrate al limite massimo della sestina. Mentre, al limite minimo soccorre la cadenza distica; solo raramente appare il verso monostico, ma sempre nella coralità d'altre soluzioni. Mediamente viene ad essere formalizzata la terzina: questa sembra essere la soluzione preferita dal Poeta, avvalorando la magica, propiziatrice nonché religiosa formula del tre.
   L'antagonismo dell'essere (bene e male; gioia e dolore; fulgide aspettative d'innovazione o di negazione d'un passato-presente sgradevole) è confluente nella geometrica dimensione della "Piramide": "Ma gli spigoli si smusseranno / e l'energia dentro racchiusa / si sperderà negli infiniti spazi / in miriadi di cariche vaganti". I contrasti-contrari che crivellano la potenziale tenuta dell'esistenza s'allineano agli ossimori-antitesi d'una creativa scrittura. In maniera che il bianco esploda in nero e viceversa; il certo venga risucchiato dall'incerto; la saggezza sia inacidita dalla tentazione di corrompenti follie. E così via, in modo tale che ogni fronzolo di reale ripieghi in un'avversa e finanche contrapposta tentacolare alternativa.
   "Tra bisbigli e fughe di silenzi", la successiva sezione, Recherche (da p. 34) dovrebbe essere letta più ampiamente e propriamente come À la recherche du temps perdu, opera con la quale Proust volle manifestare il disagio verso il passato, la storia, il tempo andato e smarrito nei meandri d'una poliedrica realtà fatta d'altrettanti individualismi e, se si vuole, più dispersiva ancora. Voluminoso capolavoro universalmente noto esattamente e più semplicemente come Recherche, appunto. È qui, in questa seconda parte che le vetero-proto-filosofie, nello stile anassimandreo, avviano la ricerca alla storia, travasando i sacrali, basilari, vitali elementi dell'acqua ("Vita nelle acque", p. 36) e del fuoco ("Falò", p. 37), il cui valore è all'incirca da intravvedersi nella stregua della dualità rappresentata da Adamo ed Eva, quale primeva sorgente genetica dell'umanità, nell'ambito della religione cristiana.
   Ricerca o indagine assurda, per l'impossibilità di conseguirne la Verità. Quella unica, con l'iniziale maiuscola. Sì, potrà emergere un'alterna verità. Ma sarà una tra le tante complementari umanamente pensabili. Causa un'ineludibile, teatrale e tragicomico "Hybris" (p. 38), prevaricazione del tempo nel tempo, vuoi per quella Némesis provocata dall'insofferenza degli dei, vuoi perché unica, caotica ripercussione del destino, la conclusione sortisce un sabotaggio dei fatti e dei dati storici ("Preistoria" e "Saccheggio", pp. 40-41). È pertanto evidente il perché del seguente esemplare ingaggio poetico: "Uomini dal cuore antico / han calpestato queste zolle brune, / hanno tagliato queste dure pietre / di case senza tetti e senza imposte" (cfr. "Cuori antichi", p. 39). Sicché le identità dell'Uomo non possono altro che celarsi sotto le mentite spoglie di tante "Maschere" ("Nella via i lampioni sono spenti […] // Sgangherato il ghigno / delle maschere / ubriache di sogni / ancor sospesi", p. 42). Da una lato la storia dell'Uomo continua a vagare nella sua fervida, individualistica, ideale ed ideologica fantasia. Dall'altro, la sua personalizzata storia è protesa ad un futuro ancora più incerto. È vero che in mezzo è l'Uomo; è altrettanto vero però che il suo contenitore è vuoto: dentro v'è o il buio o la sua stessa fantasia.
   Se dunque è nel sogno che si compie la vicenda umana, è precisamente con un'onirica visione, poetica ed ugualmente filosofica, che il Nostro Poeta intende conchiudere la messinscena della presente opera. Nei "Sogni vagabondi" (da p. 52), terza icastica frazione, parte finale d'una trilogia altamente concettuale, anzi teoretica, la "Voce del poeta" (p. 71), flebile e sconsolata, ne rappresenta la miserrima sagoma d'un essere "Chino sulla riva del torrente" a pescare "nell'acqua filtri di parole", a raccogliere "spore svolate da soffioni / e ragnatele impigliate negli steli". È l'esclusivo motivo-movente che possa ispirarlo, nel già ispirato estro del verso, a vivere la sua ideale, ottimale vita, risollevata ed elevata ad autentica armonia. Letteralmente musicale. Così nel sogno-bisogno invocato da una stoica stanchezza, nell'assorto godimento del suo preferito "Valzer di Chopin" percepisco quest'uomo e poeta finalmente steso sul suo comodo divano, rilassante conquista di pensionato che "si adagia e riposa". E sta lì, tra la rassegnazione e la sobria meditazione, in attesa che altri stimoli gli diano se non fattuali realtà da palpare, da affrontare o anche solo da osservare, almeno altrettante sensazioni, sfide da vivere nello spirito e con lo spirito, mai sazio, del sognatore. In fin dei conti è questo il vero poeta!
   In nuce, molto ma molto brevemente, solo per ribadirne il sacrosanto fondamento, s'intendeva asserire che le Figure della Mente di Francesco Dario Rossi riescono a disegnare, alla soglia dell'insondabile, le variegate, talora irraggiungibili manifestazioni della psiche umana, nello zigzagante sostegno di spigolature, angolazioni, smussamenti… rotondità. Geometrie d'avvicendamenti. Suggestioni: visive sensazioni raccolte in geometrici contenitori dell'immaginazione. Geometrie che, a dispetto d'ogni altra applicazione poetica (la poesia che sfrutta l'idea geometrica, nei sensi più vari, oggi sembra andare di moda), sono ottimamente espresse anche da una punteggiatura asettica, spesso elusa, a dare il ludico, oltreché matematico, senso di quella minima discontinuità di semirette che realizzano le varie figure geometriche; da una quadrata normalità sintattica; ma in particolar modo dalla rotondità della sintesi, dalla concisione linguistica dei concetti. Saracche del pensiero avvoltolate in incarti essenziali perfettamente funzionali, che sembrano tattilmente aderire alla metaforica struttura degli spazi e delle latitudini che le includono.  



ANTEREM Giuseppe Ungaretti tradotto da Paul Celan






Giuseppe Ungaretti tradotto da Paul Celan



 sul sito di "Anterem" viene dato spazio ad alcuni frammenti poetici di Giuseppe Ungaretti con la traduzione a fronte in lingua tedesca di Paul Celan.
È una preziosa occasione per ricordare due grandi poeti del Novecento.
,,,, al link:
www.anteremedizioni.it/paul_celan
 .
Flavio Ermini

Gli Orienti spezzati


 

Gli Orienti spezzati. Con questa sottolineatura Pierfranco Bruni ha "raccontato" il mancato dialogo tra Occidente ed Oriente.
Viviamo nella storia dell'esilio e occorre una forte consapevolezza sul concetto di sconfitta in un tempo di amori disperati. Un concetto chiave sottolineato da Pierfranco Bruni nel Convegno sugli Orienti e le Culture




In un tempo di suicidio dell'estetica e di sconfitta dell'etica bisogna trovare la forza di riconquistare il senso della Carità.  Parole forti che Pierfranco Bruni ha pronunciato in occasione della traduzione della sua poesia in spagnolo citando più volte il linguaggio di San Paolo. "Gli Orienti sono stati spezzati" ha sottolineato  Pierfranco Bruni protagonista con una relazione sulla filosofia dell'estetica nella letteratura, "perché i popoli si sono sradicati e le civiltà hanno perso il loro orizzonte". Un concetto chiave che offre voce al mondo alchemico della letteratura negli scritti di Pierfranco Bruni.
"In una civiltà come la nostra o in un tempo dove si scontrano le forme con le idee, ha sostenuto Pierfranco Bruni nel recente Convegno sulle 'Letterature Altre e la filosofia dell'estetica', soltanto il linguaggio della poesia può far dialogare i popoli, gli uomini, le genti e le società". 
"Spesso facciamo grande confusione,  ha sostenuto Bruni, tra civiltà e società,  ed è un male, o addirittura una maledizione, soprattutto per le generazioni che cercano di capire la tempere nella quale si trovano a vivere.  Bisogna insistere su una filosofia della vita che sia una filosofia forte e andare oltre ogni relativismo: occorre uscire fuori dalla debolezza del pensiero, ha insistito Bruni, ed entrare in una nuova stagione che va abitata con la consapevolezza dell'amore".
"Non solo parlando d'amore, ma avendo consapevolezza. Occorre necessariamente recuperare le Parole di San Paolo, ha sottolineato con energia Bruni, e fare in modo che la sua resti testimonianza di vita presente. Soltanto il linguaggio della poesia, ha dichiarato Bruni, e quello delle letterature possono abbattere le trincee annidate nei concetti di frontiera, confine,  orizzonti chiusi. Il mondo aspetta un linguaggio di riconciliazione e bisogna far riconciliare le civiltà alle fedi. Attenzione,  ha ammonito ancora Pierfranco Bruni,  perché parlare di fede non significa discutere di religione, soprattutto in un viaggio tra Oriente ed Occidente o tra gli interni degli Orienti o tra gli Orienti che io definisco spezzati".
È su questo percorso che Pierfranco Bruni ha indirizzato la sua relazione presentando i suoi testi di poesia tradotti in spagnolo per un libro che ha visto la luce a Santo Domingo e per presentare "La pietra d'Oriente", il suo recente romanzo edito da Pellegrini e distribuito da Mondadoristore. 
Si è soffermato su una letteratura che sia "sguardo di riconciliazione" per tentare di attraversare gli  esilii, ha detto, che occupano lo scenario delle coscienze dei popoli e delle genti.
Più volte ha citato San Paolo.  D'altronde Paolo di Tarso è uno dei personaggi centrali che campeggia nel suo romanzo "La pietra d'Oriente", che sta avendo grande risonanze anche in alcuni Paesi esteri  proprio grazie al tracciato che pone in evidenza come personaggi e simboli di un Mediterraneo inclusivo.
Avere consapevolezza del linguaggio dell'amore "senza mai avere il timore d'amare". Letteratura,  metafisica ed esistenza. I tre capisaldi del viaggio percorso da Pierfranco Bruni nell' incontro sulle Letterature Altre che costituiscono i riferimenti non solo linguistici e antropologici della sua poetica, ma anche i punti di contatto tra vita e scrittura. Bruni, in merito a ciò, ha parlato di "Orienti spezzati" ed è un concetto fondamentale che caratterizza il suo confrontarsi con le culture del Mediterraneo e del mondo musulmano in una visione, multi geografica e geopolitica, tra Oriente ed Occidente.