Angelo Giubileo: Lettera a Parmenide



---------- Forwarded message ---------
Da: Angelo Giubileo <angelogiubileo6@gmail.com>
Date: dom 27 nov 2022 alle ore 10:18
Subject: Lettera a Parmenide
LETTERA A PARMENIDE 

μορφὰς γὰρ κατέθεντο δύο γνώμας ὀνομάζειν, τῶν μίαν οὐ χρεών ἐστιν, ἐν ᾦ πεπλανημένοι εἰσίν, ἀντία δ' ἐκρίναντο δέμας καὶ σήματ' ἔθεντο χωρὶς ἀπ' ἀλλήλων, τῇ μὲν φλογὸς αἰθέριον πῦρ, ᾔπιον ὄν, μέγ' ἀραιὸν ὲλαφρόν, ἑωυτῷ πάντοσε τωὐτόν, τῷ δ' ἑτέρῳ μὴ τωὐτόν, ἀτὰρ κἀκεῖνο κατ' αὐτὸ τἀντία νύκτ' ἀδαῆ, πυκινὸν δέμας ἐμβριθές τε. τῶν σοι ἐγὼ διάκοσμον ἐοικότα πάντα φατίζω, ὡς οὐ μή ποτέ τίς σε βροτῶν γνώμη παρελάσσῃ.

Caro maestro,

è stato alquanto stupido pensare ai frammenti e analizzare isolatamente le tue parole senza badare invece, per i più neanche minimamente, al contenuto viceversa del tuo messaggio che con quelle parole, peraltro scritte in una lingua anche nuova per il tuo tempo, avesti premura di scrivere.

Una lingua nuova, quel greco, erede di un alfabeto forse fenicio o sanscrito o altro. Mah, comunque un sistema di simboli nato a oriente, nelle terre del continente <altro>, allora persiano e comunque oggi asiatico. Si è detto anche che tu sia stato forse allievo di Senofane di Colofone e anche che tu non sia nato a Elea ma sia giunto qui su una delle navi focesi, e dunque insieme a esuli originari dell'antica Turchia, a circa 60 chilometri a nord-ovest di Smirne, che, in fuga dagli Etruschi e dai Cartaginesi affrontati nella battaglia navale di Alalia (circa 540 e.a.), abbiano finito per stabilirsi nell'antica terra dell'odierno Cilento.

Ancora, qualcuno si chiede tuttora come - in una terra così poco abitata, ma viceversa molto frequentata dalle navi che solcavano il Mediterraneo già da molti millenni, almeno cinque (!), se pensiamo soltanto al commercio dell'ossidiana di cui l'isola di Lipari conserva ancora fulgida memoria - sia stato possibile che proprio in questa terra sia emerso il tuo siffatto genio… Ma, a differenza di loro, sono convinto che sia stato il genus humani e non il genus loci a imbastire a filo doppio la trama del tuo messaggio.

Un messaggio che, attraverso le parole dei tuoi frammenti rinvenuti, ci parla di ciò che tu non esiti a chiamare <verità>. Mi perdonerai, certo, se non riporto le tue parole nella lingua in fondo da te usata, probabilmente per ragioni di pronta e più facile comunicazione e trasmissione del messaggio, ma ciò che dello stesso io ho inteso è nella mia lingua che vorrei sottoporre al tuo giudizio ed eventuale assenso.

Ma di quale <oriente>, di quale <occidente> tu saresti andato piuttosto farneticando… Perché è da , in questa terra mentale della separazione e della divisione muraria (come con i "mattoni" degli antichi sacerdoti vedici), che ha avuto origine la confusione del linguaggio, in una sorta di rinnovata babele - che ha fatto della parola, il verbo, l'elemento ab-usato di divisione e di separazione tra l'<uno> e l'<altro>. E cosa s'intendesse per l'"uno" cosa per l'"altro" non era certo, già ai tuoi tempi, una novità… 

Per l'appunto, si erano verificate già numerose babeli e, come per le parole, quanto agli stessi numeri, cosa dire? A tale proposito, alcuni sostengono che tu sia stato anche allievo di Pitagora, di cui si dice che abbia solcato più volte il Mediterraneo da est a ovest, avanti e indietro, finendo poi con lo stabilirsi a pochi chilometri dalla stessa Elea, a Crotone, dove avrebbe fondato la sua scuola. 

Rispetto alle parole e ai numeri, Platone avrebbe concluso la sua indagine su di te, o meglio sul tuo messaggio, dicendo forse che sarebbe stato ritenuto da te "verissimo" quanto segue: "a quanto sembra, sia che l'uno sia, sia che l'uno non sia, esso e gli altri, tanto in rapporto a se stessi quanto nelle loro relazioni reciproche, sono e non sono, appaiono e non appaiono, tutti i predicati in tutti i modi".

D'acchito, sembrerebbe così che tu abbia anticipato i contenuti e il messaggio della fisica e meccanica quantistica. Cosa che potrei anche ritenere sensata, ma questo sarebbe da considerarsi il frutto - melograna o mela che sia -  di una pianta - ovvero il linguaggio del verbo o del logos - da cui in alcun modo avrebbe potuto o potrebbe fruttare… E che quindi i veri <sapienti> (sophoi) - come la Biancaneve delle favole - a differenza dei <filosofi> (philosophos) eredi dell'Accademia platonica - definirebbero piuttosto avvelenato.

Quel filosofo di Platone ha forse mai pensato alle conseguenze del suo <atto>? In scia alla sua teoria e con il suo <metodo> (una sorta di Cartesio ante litteram) - perché è di questo che solo dovrebbe piuttosto trattarsi -, Aristotele sillogisticamente separa apertis verbis la forma mentis della <potenza> dalla forma mentale dell'<atto> e quindi, mentalmente, la possibilità dell'<essere> dalla realtà dell'<essere> medesimo. Quale atrocità, quale bestemmia… Come puoi tu, stupido uomo, pensare di poter dare una prova valida ed efficace di questa separazione che altro non sia che la separazione dell'<essere> tutto intero. Non puoi e quindi non dovresti. Considerato anche che le tue, caro il mio Platone, sono solo parole, nient'altro! E, visto che ci siamo, dirò anche a te, caro il mio Pitagora, lo stesso, dato che i tuoi sono solo numeri, nient'altro! E dunque, codesto il messaggio tramandato da questi due sacerdoti, mat-soni vedici post-litteram, costruttori di templi fatti di numeri e parole, secondo il cui metodo l'essere diventa non-essere e il non-essere diventa essere. 

E sarebbe questo ciò che il mio maestro avrebbe inteso dire e riportare ai suoi conterranei e ai suoi posteri? Follia! Ma come è possibile pensare che egli abbia detto e fatto questo… Se, come dovrebbe essere scontato in quanto così appare anche a voi altri: l'essere è e non è possibile che non sia e il non essere non è e non è possibile che sia.

Eppure quei due, sempre loro, una sorta di gatto e di volpe ante-litteram, si sono quasi presi gioco di te. Come per Pinocchio! Pur sapendo però che tu enunciassi a me e a tutti gli altri "di ciò sistema in tutto plausibile, sì che mai opinione corrente possa sviarti". Sono passati duemilacinquecento anni da allora, finché un già accreditatissimo filosofo dell'Accademia abbia finito per dis-velare il messaggio <vero> racchiuso nelle parole dei tuoi frammenti (chissà che fine avranno fatto gli altri…): "Ma se l'essere, nella sua stessa essenza, man-tenesse l'essenza dell'uomo? E se l'essenza dell'uomo riposasse nel pensare la verità dell'essere? Allora il pensiero deve poetare l'enigma dell'essere. Esso porta l'aurora del pensato nella vicinanza di ciò che è da pensarsi". Tu e lui, entrambi accomunati da un medesimo destino di esiliati, così che il tuo primo allievo sia stato piuttosto appellato come "il filosofo di Hitler". 

E invece, tra te, il maestro, e lui, l'allievo, un cerchio della tradizione, l'unica tradizione della <vera accademia>, di cui ci parla diffusamente Plutarco e in particolare nell'adversus Colotem, finalmente si chiudeva. Anzi, si richiudeva nuovamente nel suo bozzolo di araba fenice. Il bozzolo del verbo, che è stato, è e sarà. Così che, ad uso dello stesso <Verbo> o <Parola>: Allora di via resta soltanto una parola, che <è>

E allora soltanto in tal guisa, caro il mio ateniese, avresti dovuto intendere la dicitura: in relazione a tutti i predicati in tutti i modi che sono e che non possono non essere.


Caro maestro, 

di fronte alle manifeste aporie della teoria (delle idee) e del metodo (del sillogismo), sembra che forse anche lo stesso Platone si fosse già chiesto se, in fondo, ti avrebbe mai capito abbastanza, usando congiuntamente nei tuoi riguardi due attributi quali "venerando e terribile". Ma aggiungendo anche che tu avessi, evidentemente secondo lui a torto, "congelato la realtà". Alla stessa stregua di una medusa post litteram, proprio quella stessa Medusa il cui potere dello sguardo aveva e ha nel linguaggio del mythos la capacità di fissare la realtà e anche dopo il taglio della testa operato dal figlio degli dei Perseo. Molti e molti ci proveranno ancora a fare altrettanto, forse anche sapendo a priori che il proprio atto sarà un fallimento. Fallimento decretato dal <destino> degli uomini, e quindi anche degli dei: il de-stino, ovvero lo stare dell'essere e l'essere dello stare medesimo, come ci ha suggerito Emanuele Severino, di ne rien comprendre a notre sort.


Angelo Giubileo




Argomento sensibile... Idioti, scritto invece benissimo senza urtare la sensibilità degli uni contro gli altri o viceversa
Mostra testo citato
A che livelli stiamo arrivando con l'innocuità 
Mostra testo citato



--
Roberto Guerra