La via di Parmenide al transumanismo


------ di Angelo Giubileo 

 

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In apertura, diremo immediatamente che la questione dell'Essere è risolta da Parmenide in base al principio della Necessità, che sarà successivamente definita "logica" e quindi falsamente ricondotta nell'ambito (o dimora heideggeriana) della sfera del pensiero; mentre, in realtà, attiene, secondo gli eleati, all'intera sfera o cerchio dell'essere. Ma, fino almeno a Parmenide, e della qual cosa vi è abbondantemente traccia anche in Eraclito, Logos non indica la "parte" (dell'intero discorso) che scaturisce dal pensiero bensì l'"intero" discorso che scaturisce dall'"ordine" della natura di tutte le cose.

Giorgio de Santillana, in Le origini del pensiero scientifico (1961), coglie esattamente la differenza in Eraclito, accostando espressamente due brani dell'opera dell'efesino: "Questo Verbo (Logos) è eterno, tuttavia gli uomini non lo intendono, e prima di averne udito parlare e dopo. Infatti sebbene ogni cosa avvenga secondo questo Logos, essi ne sembrano inesperti, quando esaminano questi discorsi e queste opere che io espongo, distinguendo ogni cosa secondo sua natura ed esponendo come sta (…) Questo ordine, lo stesso per tutte le cose, non lo ha creato né dio né l'uomo, ma sempre era, è e sarà, fuoco sempre vivo che si accende e si spegne secondo una misura fissa". In breve: la natura di tutte le cose (l'intero) è quindi diversamente intesa dalla natura di ogni cosa distinta (parte) e inoltre l'ordine della natura di tutte le cose si accende e si spegne secondo una misura fissa o necessaria, come abbiamo detto a proposito della risoluzione parmenidea.

Il significato semantico dei termini "parte" e "intero", nell'accezione qui assunta, risulta con ogni evidenza nell'adversus Colotem di Plutarco, al quale è peraltro utile fare rinvio per una trattazione in generale più ampia dell'argomentazione o dell'"argomento" qui principalmente in questione, rispetto al quale un brano di Aristotele serve a fare piena luce: "I nostri predecessorinon riuscirono a definire la sostanza o l'essenza. Democrito fu il primo a impadronirsi del metodo, ma non in quanto necessario all'indagine della natura; fu indotto a ciò dall'argomento stesso"(Ibidem). E dunque, da Aristotele in poi, ma di certo già prima, sarà possibile secondo la Tradizione dell'Accademia, inaugurata da Platone, discutere dell'argomento dell'essere solo in base all'assunzione di un metodo, da parte degli esseri che specificamente chiamiamo "umani".

La tesi di Parmenide, comune ai "sapienti" fin dalla più remota antichità e stirpe di progenitori, è "vera", mai certa nei particolari, ma nel senso in cui l'Eleate ha definito il termine Verità, "cioè, nata dalla necessità logica" dell'intero discorso e non invece del semplice ragionamento, che, come precisato da Aristotele, richiede l'adozione umana di un metodo. Da quella Grecia e almeno fino al più recente generalizzato postmodernismo, si tratterà quindi sempre di una questione siffatta di metodo e quindi dell'uso di una tecnica mediante una prospettiva assolutamente antropocentrica.

Semplificando, dato lo spazio ridotto di quest'articolo, nel corso dei secoli questa impostazione metodologica del discorso condurrà, secondo l'efficace analisi di de Santillana, alla formazione e allo sviluppo di "tre forme di religione scientifica". Forme che, quindi, connivono vicendevolmente nell'immaginario collettivo del tempo storico passato presente e futuro, ma causalmente sono tutte riconducibili a un metodo del pensiero scientifico di matrice casuale (epicurea), naturale (stoica) o materiale/spirituale.

Quest'ultima matrice ateo-religiosa, attraverso i secoli, sfocia prima nel cristianesimo e poi nel razionalismo, ma - rileva de Santillana - "la scelta fatale era già stata fatta all'epoca di Platone. E' a quel tempo che la strada si biforca. A partire dal complesso platonico, una delle strade portava ad una integrale ma tematizzazione dell'universo, aperta e speculativa, quale era quella tentata dai pitagorici: l'altra scelta da Platone nella sua tarda età sfociava in un ordine del mondo chiuso e rigido, dominato da una teologia astrale".

Ma, allora, che n'è stato dei progenitori e in fine di Parmenide?

Niente paura, la loro tesi permane intatta e inattaccabile; così come, in effetti, conclude ancora de Santillana: "Può sembrare adesso ben dimenticata, ma rimane viva seppur latente nei creatori della scienza, come il gusto vive nell'artista. Per esprimersi in via di parabola, tien luogo la teoria dei valori là dove di valori poco si parla, ma solo di ipotesi di lavoro. Esotericamente almeno, e per i pochi, è il Sistema di Avvistamento a distanza e Preallarme con cui la scienza si difende contro l'avanzata del formalismo meccanizzato e dei dinosauri elettronici". Era il 1961, oggi parliamo piuttosto di transumanismo.

                                                                                                          Angelo Giubileo