La questione delle fonti della Divina Commedia. Lineamenti per un'indagine aperta.



Da: Pierluigi Casalino
Dante cita assai raramente le proprie fonti e all'inizio del poema (Io non Enea, io non San Paulo, Inferno III, 32) si limita ad associare alla propria esperienza soltanto due esempi: la discesa di Enea all'Averno ( ricavate dal VI libro dell'Eneide di Virgilio e da quella della Seconda Lettera di san Paolo ai Corinzi). Certamente, dal momento che la Commedia è la narrazione di un viaggio nell'Oltretomba, confluiscono in essa diverse tradizioni, che nel complesso costituiscono la base culturale della Divina Commedia stessa: la discesa agli Inferi (catabasi), tema già trattato nell'età classica; e il viaggio inteso come ricerca (que^te) interiore, come quella del Santo Graal, che nel ciclo brètone anima i cavalieri della Tavola Rotonda; le descrizioni dell'Oltretomba presenti nella letteratura religiosa e nelle arti figurative del Duecento, le profezie sul destino ultimo dell'umanità e sulla fine dei tempi, tipiche dei movimenti penitenziali e millenaristici (come quello di Gioacchino da Fiore). Tra gli antecedenti della Commedia vanno ricordati il Sommnium Scipionis di Cicerone, i viaggi nell'Averno narrati nelle Metamorfosi di Ovidio e, soprattutto, l'Apocalisse di San Giovanni. Una forte suggestione era data, senz'altro, anche dal mito di Orfeo (cantato da Virgilio nell'Eneide e in altre sue opere, da Ovidio nelle Metamorfosi, come detto, e da Orazio nell'Ars Poetica), il cantore che, con il suo linguaggio creativo e profetico, si pone come intermediario tra l'umano e il divino. A questo va aggiunta l'influenza religiosa, attraverso alcuni testi apocrifi (in particolare la Visione di San Paolo, anzi le due Apocalisse di San Paolo e di Enoc – di quest'ultimo sia quella ebraica che quella di ambiente cristiano) e le leggende come la Legenda Aurea di Jacopo da Varagine (Jacopo da Varazze) in cui è narrata, fra l'altro, la discesa di Cristo agli Inferi, tema molto popolare nel Medioevo. Assai diffusi, inoltre i racconti di origine irlandese, come la Navigazione di san Brandano e la Leggenda del Purgatorio di San Patrizio, oltre al filone di altre Visioni ultramondane, come quelle di Ansello, di Eynsham e di Tundalo. Tuttora aperto, ma vivo e sicuramente fondato su considerazioni attendibili (Maria Corti, Enzo Cerulli) è il dibattito sulla conoscenza, da parte di Dante, di opere appartenenti alla civiltà musulmana, quali il Liber Scalae (il Libro della Scala o Viaggio Notturno del Profeta Maometto), che racconta dell'ascesa al cielo di Maometto, tradotto dall'arabo in spagnolo e quindi volgarizzato in francese e appunto in latino.  Interessanti anche i riferimenti all'escatologia, alla mistica e alla costruzione ultraterrena ebraica. Più vicini a Dante sono i poemetti in volgare della seconda metà del XIII secolo. Tra questi spiccano il De Ierusalem Coelesti (la Gerusalemme Celeste) e il De Babilonia civitade infernali (la Babilonia infernale) di Giacomino da Verona, il Libro dei vizi e delle virtudi di Bono Giamboni e il Libro delle tre scritture di Bonvesin de la Riva. Tutte queste composizioni rivelano somiglianze e analogie più o meno profonde con la Commedia dantesca, che se ne distacca, peraltro, sia per il valore artistico e creativo, che per la vastità dottrinale e per il rigoroso impianto strutturale. Sulle fonti non tradizionali della Divina Commedia, rinvio anche alle mie precedenti note dedicate alle fonti islamiche ed ebraiche della Commedia. Accanto ad esse stanno assumendo nuovo rilievo sia le fonti iraniche che quelle indoafghane classiche, le cui considerazioni recuperano studi avviati nel XIX secolo.
Casalino Pierluigi