L'Unione europea: un voto per la sopravvivenza
A due settimane dal voto per la formazione del prossimo Parlamento europeo, che resterà in carica per cinque anni, parafrasando la citazione di cui ancora oggi s'ignora il primo enunciatario, possiamo dire con certezza che l'Unione Europea è morta (tuttalpiù moribonda) e neanche l'Europa sta tanto bene.
L'Istituzione europea, la UE, che regge da circa trent'anni, è soltanto decollata sul piano economico ma non è mai neanche decollata sul piano politico. In tutti questi anni, l'asse di governo e rappresentanza dell'UE si è infatti sempre basato su un'alleanza politica tra le due decisamente più grandi famiglie europee dei popolari e dei socialisti o socialdemocratici, forze che tuttavia nei diversi ambiti nazionali hanno agito e agiscono comunque separatamente o addirittura in contrapposizione l'una verso l'altra.
A conferma di tale situazione, va altresì detto che l'organismo principale dell'UE non è il Parlamento bensì la Commissione europea, organo esecutivo e promotore finanche del processo legislativo. E allora si capisce meglio che non sia stato e non sia per niente facile chiamare a una decisione politica i rappresentanti di ventisette Paesi membri, governati da maggioranze, come accennato, di diversi e finanche opposti schieramenti.
Nel corso soprattutto dell'ultimo decennio trascorso, si è insistito molto – a livello direi di propaganda e nient'altro – sul significato negativo di termini quali sovranismo e populismo, mettendo l'accento sul fatto che occorresse, per il fantomatico bene dell'UE, superare le logiche del sovranismo e del nazionalismo. E invece: resta il fatto che, in base alle norme dei Trattati in vigore, sono proprio i rappresentanti dei singoli parlamenti nazionali a decidere le linee d'azione politica dell'UE. In trent'anni, all'indomani del Trattato di Maastricht del 1992, L'UE – un'unione mercatale attuale di ventisette nazioni – non è mai decollata a livello politico, perché bloccata e impedita da opposte visioni politiche incapaci di sintesi; tranne che per decisioni poco impattanti concernenti i diritti della persona e dell'ambiente e pochissimo altro.
A ulteriore riprova di ciò, l'UE ha vissuto due fasi di crisi economica o meglio di bilancio economico: la prima crisi di debito pubblico dei PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna) nel 2007-8 a seguito della crisi dei mutui subprime staunitensi e la seconda crisi sanitaria a seguito del Covid19. In entrambi i casi, si è quindi trattato di adottare misure di bilancio "comunitarie" che derogassero ai vincoli di debito e di deficit fissati nei Trattati di funzionamento. Null'altro di particolare.
E invece, con l'emergenza delle guerre in Ucraina e in Israele, che hanno fatto seguito ad altri scenari bellici internazionali, il quadro politico dell'UE è completamente saltato; dato che ogni singolo Stato membro e nazionale ha pensato innanzitutto, com'è stato ed è giusto che sia, alla difesa dei propri interessi militari e quindi di sicurezza dei propri confini interni ed esterni, già peraltro minacciati, in particolare per i Paesi mediterranei, dall'immigrazione clandestina extraeuropea.
E quindi, a due settimane dal voto, l'UE ha innanzitutto come obiettivo – se vuole sopravvivere (!) – quello di acquisire e rafforzare una propria maggioranza politica, capace di fare scelte adeguate sul piano dell'intero scacchiere internazionale. E, a tale scopo, potremmo anche aggiungere che, nel complesso dei ventisette Paesi membri, la maggioranza degli elettorati e quindi dei governi nazionali è senz'altro orientata verso il centro-destra.
Ma, prescindendo da questo che è il principale dato di riscontro politico attuale, resta il nodo centrale di un'Istituzione che non sia più politicamente spettatrice di quanto accade nel mondo, bensì una UE che possa e sappia prendere parte al processo delle decisioni politiche che immediatamente si rendono e si renderanno, già all'indomani del voto europeo, ancor più necessarie.
Angelo Giubileo
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