https://www.today.it/opinioni/totti-ritorno-giocare-editoriale.html
In psicologia la fine di una carriera sportiva, soprattutto quelle d’élite, è definita come un lutto: «… inteso come cambiamento della propria condizione esistenziale che necessita di un riassetto nel quotidiano e del significato che la persona attribuisce alla sua esistenza. Tale sentimento di perdita può riferirsi alla fine di un’esperienza alla quale si è stati legati per molti anni (es. la conclusione di una carriera lavorativa, sportiva, professionale) e al crollo dell’immagine che si aveva di sé stessi (es. “io” come campione sportivo)», si legge sul sito degli psicologi dello sport. Incapaci, molti, per fortuna non tutti, di non saper gestire quel passaggio, un po’ come la pensione per i comuni mortali. Transitando dalle continue scariche di adrenalina all’anedonia, ovvero l’incapacità, totale o parziale, di provare soddisfazione, appagamento e piacere per le consuete attività piacevoli, quali il cibo, il sesso e le relazioni interpersonali.
Il ritorno di Totti da giocatore
Perché parliamo di questo? Perché è notizia di questi giorni che Francesco Totti nel corso della presentazione di un progetto sportivo abbia dichiarato: «Ci sono state squadre che mi hanno chiamato e mi hanno fatto venire idee strane. Del resto è già capitato che calciatori venissero chiamati dopo il ritiro. […] Mi dovrei allenare, però in due-tre mesi sarei pronto. Potrei disputare una buona mezz’ora o fare l’uomo spogliatoio e portare i cinesini», della serie “farei di tutto pur di tornare in campo”. Un concetto che di fronte alla classe di Totti, campione del mondo con l’Italia nel 2006, mette un po’ di tristezza.
Nel documentario Mi chiamo Francesco Totti, il quale ha raccontato l’addio al calcio dell’ottavo re di Roma, c’è un passaggio fondamentale: il volto del calciatore prima di tornare in campo per salutare i tifosi di una vita. A uno sguardo attento c’erano tutti i prodromi delle sue dichiarazioni attuali: la paura, se non il terrore, di restare solo con i propri pensieri, l’infinita malinconia di dover abbandonare l’unica cosa che ha saputo fare al meglio, il dolore del “lutto”, sportivamente parlando. Tutti stati d’animo stampati sulla faccia del campione azzurro, perché nonostante il legame indissolubile con i colori giallorossi Totti è un patrimonio tricolore, per sua e nostra fortuna. Chiudere una carriera sportiva di alto livello non è mai semplice, soprattutto per chi, molti (troppi?), non ha pensato a un piano B, al dopo; oggi per fortuna sempre meno. E in questo senso i calciatori sembrano quelli più esposti al ‘crollo’, perché mediaticamente più raccontati e idolatrati rispetti ad altri sportivi, i quali sanno quasi sempre cosa fare. Lo stesso Alessandro Del Piero, per parlare dell’alter ego ‘tottiano’ per eccellenza, dopo avere tentato di fare il ‘missionario’ del calcio in Australia, ha accettato l’ingaggio di una squadra indiana, giocando 10 partite e segnando un gol, che per la carriera che aveva avuto poteva serenamente evitare, e invece…