La coscienza di Amleto
Il titolo del libro - che rappresenta l'eroe eponimo come equivoco e ambiguo - è "Il fantasma di Amleto", appena edito da Hoepli nell'aprile di quest'anno. Nella quarta di copertina è detto che trattasi in esso di "una vicenda finora sconosciuta per ricostruire, tra archivi pubblici e privati, con le cadenze di un giallo intellettuale, un caso di coscienza negli anni in cui il discrimine tra bene e male poteva essere molto sottile".
La vicenda riguarda l'esperienza di Giorgio de Santillana e il "caso di coscienza" in questione, definito "il singolare caso del fantasma di Amleto", "l'enigmatico" (e ambiguo) "rapporto di Santillana col fascismo". Secondo l'autore, Giorgio de Santillana avrebbe partecipato prima in patria e poi nell'esilio statunitense, in concorso con gli eventi italiani e spagnoli dell'epoca mussoliniana e franchista, un comportamento ambiguo e ambivalente "associato al dubbio e all'incertezza, per antonomasia, dell'eroe shakespeariano".
Nel libro, è citato spesso Il mulino di Amleto. Saggio sul mito e sulla struttura del tempo, opera monumentale, di Giorgio de Santillana e Hertha von Dechend, e tuttavia nel libro dell'opera non vi è detto. Eppure, nel risvolto di copertina, è confermato che "I libri di de Santillana sono oggi considerati dei classici della storia del pensiero, la sua figura riverita negli Stati Uniti e in Europa". E pertanto indagarne e analizzarne il contenuto sarebbe stata forse opera più meritevole, ma "questo libro" - si legge ancora nel medesimo risvolto - "svela particolari sconosciuti e riflette su tempi che furono definiti 'di malafede'". Particolari e tempi che però non hanno nulla, proprio nulla, a che fare con l'opera, fondamentale, dei due Autori citati.
Passi (sic) per l'Amleto di Shakespeare, che affonda le proprie radici nel racconto di Saxo Grammaticus - illustre storico medievale - in Gesta Danorum, ma - se abbiate letto, magari più e più volte Il mulino di Amleto predetto - acquisireste molto probabilmente piena consapevolezza di "tutto ciò che (è)" Aristotele chiamava "l'antico tesoro" unitamente a "que(lle) opinioni (che), assieme ad altre, sono state preservate fino a oggi come reliquie dell'antico tesoro" (MdA, p.183; 2000). L'antico tesoro - di cui gli Autori discettano con sapienza e maestria - è la via dell'immortalità; mentre le opinioni sono quelle che, per le siffatte diverse vie, conducono pur sempre alla medesima sede, "al di là e al di sopra di ogni cosa, dove risiede eternamente il Padre della Grandezza". (MdA, p. 161; 2000).
Come Amleto, tantissimi sono gli eroi eponimi che affrontano il viaggio e che percorrono le diverse vie che conducono, tutte e indistintamente, a "quel centro misterioso chiamato Canopo o Eridu o 'sede del Rta'" (MdA, p. 367; 2000). Tra i più rappresentativi, senz'altro Prometeo e Gilgamesh. E' indifferente da dove l'Eroe tragga l'antico tesoro, la bevanda sacra agli dei, la misura, il peso, la pietra, l'albero, etc. - da sopra o da sotto, dal cielo o dagli inferi… Esattamente perché un giorno o come si dice nell'incipit dei racconti - che favole non sono - c'era una volta la Tradizione di un'unica via che poi divennero le tradizioni delle diverse vie o, deviando dal detto dell'opera, i sentieri interrotti (Holzwege) di Martin Heidegger.
E allora: "Inutile dire che, in origine, né la 'via' di Yama né quella di Gilgamesh erano state concepite come eterne" e, in nota, che Whitney traduca (AV, XVIII, 1, 50): "Yama per primo trovò per noi un sentiero, quello non è un pascolo che si possa portar via; dove si avviarono i nostri primi Padri, colà (vanno) quelli che sono nati (da loro), ciascuno lungo la sua via" (MdA, p. 353; 2000). Ciò che dapprima era un insegnamento tramandato in modo esplicito, divenne quindi, consapevolmente o inconsapevolmente, un insegnamento tramandato per mezzo di simboli, numeri e nomi diversi. Fu una perdita gigantesca - ne sanno qualcosa i Titani dell'Olimpo (!) -, descritta dal Filosofo come "l'oblio dell'essere".
Ma: "Per quanto possa sembrare assurdo, le numerose sette gnostiche, che odiavano i filosofi e i matematici più di ogni altra cosa, non hanno mai negato o messo in dubbio la validità dei loro 'malvagi' insegnamenti. Disgustati fino alla nausea, essi impararono le rotte ascensionali per attraversare (o percorrere) quelle sfere abominevoli dominate dal numero, create dalle potenze del male. Il loro 'Padre della Grandezza' non avrebbe sicuramente mai creato un cosmo. Si può ben dire che la tradizione si serve dei veicoli più strani per avanzare attraverso il tempo della storia …" (MdA, p. 161; 2000). Così che: è per me indifferente il punto da dove comincio: tanto là ti ritorno di nuovo (Parmenide, Frammento 5).
Non so se l'autore di Il fantasma di Amleto conosca il detto di Plutarco in questione, ma, in ogni caso, il detto dice che: Se la conoscenza e il pensiero della realtà venissero meno, l'immortalità non sarebbe più vita, ma tempo. Passato, presente e futuro.
*libro dell'autore, Cover
Angelo Giubileo
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