Da: Angelo Giubileo <angelogiubileo6@gmail.com>
Il pensiero che chiamiamo "transumanista" è diffuso ormai da oltre metà secolo. In realtà, questa corrente del pensiero esiste in pratica da sempre; anche se il termine "transumanesimo" che identifica il filone specifico è stato coniato nel 1957 da Julian Huxley allora direttore dell'Unesco. Il biologo intese racchiudere sotto questo nome tutte le forme di ricerca e di analisi relative all'impatto che la tecnica avrebbe avuto e potrebbe quindi avere in futuro sull'evoluzione della specie umana. Ricerche e analisi che assecondavano e in qualche modo sviluppano il pensiero evoluzionista del prete scienziato Teillard de Chardin, che teorizzava un'evoluzione "divina" della specie "umana".
E tuttavia, come anticipato, nello sviluppo del mythos-logos questa opinione (doxa) non è affatto nuova, bensì affonda le proprie radici, come scrive Aristotele nella Metafisica, in quella che lo stagirita chiama la più antica tradizione dei nostri più antichi progenitori, "secondo cui questi corpi (n.d.r.: tutti gli elementi della natura) sono dèi e il divino racchiude l'intera natura". E dunque "divino" è chiamato tutto ciò che (to chreon) in qualche modo, aveva già ripetuto Parmenide, "è e non può non essere".
Tanto premesso, nell'ambito dell'attuale filone transumanista trovano oggi espressione varie forme di pensiero, in genere libertarie, che si distinguono anche in ordine ad una diversa forma, in uso, del termine stesso; secondo cui alcuni parlano di "transumanesimo" e altri di "transumanismo". Nella prima accezione, in particolare si tende a porre in risalto uno studio analitico in linea di continuità con la tradizione "rinascimentale" più comune e cioè più nota. Nella seconda accezione, il termine indica piuttosto uno studio analitico che mette in primo piano la "condizione umana", come direbbe ancora Hannah Arendt, che, sintetizzando, potremmo dire disagiata e precaria. In entrambe le accezioni, il pensiero transumanista rifugge quindi da ogni prospettiva tradizionale che in passato ha contraddistinto l'esito o conclusione del pensiero sia gnostico che religioso, e cioè l'antropocentrismo, ovvero ritenere che l'uomo sia "il fine o fine" dell'intero processo dell'"essere che è e non può non essere" (finis coronat opus) .
In tutto ciò qualcuno potrebbe anche sottintendere, e noi diciamo a ragione, un'ennesima riedizione di una "cultura ofidica" che, storicamente, precede la stessa tradizione di cui ci ha detto Aristotele. Tradizione, quella aristotelica, che non rappresenta affatto quel "pensiero iniziale" a cui invece fa espresso riferimento anche Martin Heidegger, in particolare nei suoi "Holzwege".
Nell'immagine: particolare degli scavi archeologici di Gobekli Tepe nell'odierna Turchia
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Roberto Guerra