Angelo Giubileo Il mulo che desiderava farsi re. Un'antichissima favola postmoderna.



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Da: Angelo Giubileo <angelogiubileo6@gmail.com>
 


Il mulo che desiderava farsi re

Nel chiuso della propria stanza, egli stesso pensava che dovesse pur esserci almeno una motivazione per la quale la specie umana fosse arrivata fin lì, fin dentro la sua stanza. Perché, in fondo, se si stesse interrogando su questo è perché, pensava, una motivazione, almeno una, non fosse così evidente.

Suo padre era morto giovane. Tra atroci sofferenze. Una vita, come si dice, piena di sacrifici e poche gioie o, come altri dicono, soddisfazioni. Era morto, e sarebbe stato senz'altro meglio se fosse morto prima. Se qualcuno l'avesse salvato da quel letto di dolore, nel quale era precipitato già da tempo. Vittima, agnello sacrificale, di un destino malvagio. Un Fato malevolo. Per lui e, in fondo, per tutti coloro che vengono al mondo. Chi più chi meno. Vanità di vanità tutto è vanità.

Questa, medesima presunta ragione o volontà del Fato, sembrava quella risposta che egli stesso cercava. Ma, quanto è lungo il "deserto" che occorre attraversare per giungere alla "salvezza"? In fondo, ancora di più, era proprio questa "idea" della salvezza, nient'altro che un'idea, che egli rifiutava. Com'è possibile che, nati senza volerlo, siamo una specie destinata a soffrire almeno fino a quando qualcosa o qualcuno ci sottragga a ciò che appare ed è piuttosto un destino segnato? Ecco, monsieur le Destin. Il Fato.

Solo un dio crudele che assuma la forma di un joker avrebbe potuto essere la risposta che cercava. Ma egli era un testardo, aveva sempre avuto la testa simile a quella di un mulo, che aveva guardato con rispetto, più che con curiosità, sin da piccolo. Quant'è bella giovinezza, che si fugge tuttavia! chi vuol esser lieto, sia: di doman non c'è certezza. E tuttavia, anche la giovinezza aggiungeva dolore al dolore. Meglio la fanciullezza, stupida e ignorante si dice, e pertanto destinata, come i polli di batteria, all'allevamento dell'istruzione e della formazione. Fanciullezza, in realtà saggia perché capace di possedere appieno tutto ciò che le accade.

Ma quale salvezza? Quale rimedio vai cercando al tuo male di vivere? La psicanalisi è robaccia da salotti. Ti interroghi sul tuo male di vivere e pensi che sia piuttosto il male, tipico della nostra specie, di essere. E scopri allora che il "bene" e il "male" sono costruzioni degli uomini, che servono agli uomini. Ma, in fondo, a chi e a cosa servono?

Gli uomini hanno tutti, quasi tutti, imparato a dividere la propria storia in un prima e un dopo. E tutti, quasi tutti, credono e dicono, in fondo è lo stesso, che il dopo è meglio del prima. La chiamano "civiltà" e ne vanno stupidamente fieri. Tanto che prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c'era rimasto nessuno a protestare.

In qualche modo, anche il loro doveva essere un problema irrisolto. E tuttavia, a differenza sua, loro uscivano dalle proprie stanze e invadevano le stanze di chiunque. Il più celebre di loro, Costantino, conosceva la storia dei suoi predecessori e non poteva accettare che il Fato lo eleggesse a, si direbbe oggi, Commissario Liquidatore della Società Imperiale, dominata dai mostri che chiamiamo multinazionali. Investito di un destino imperiale, il nuovo re aveva deciso di calarsi nei panni del Salvatore. In fondo, ancora più in fondo, seguiva una delle due vie del Sole, che sembravano essere state tracciate da sempre.

Chissà se si sia chiesto, ancora più in fondo, se forse avesse fatto meglio ad accettare il destino di Commissario Liquidatore e proseguire sull'altra via, originaria e iniziale, che gli Antichi chiamavano via Lattea comprendendone appieno il significato. Senso e significato che ai moderni sfugge quasi totalmente.

Sempre la stessa storia, pensò allora. E, come sempre più raramente gli capitava, ebbe un sussulto. Un impulso, provenuto chissà da dove, gli suggeriva di continuare a cercare. Qualcuno o qualcosa aveva preso confidenza e interesse verso quel mulo. Perché, vuolsi così colà come si puote dove si vuole, la vita, l'essere è possesso e quindi comprensione. E allora, come metterla, ancora più in fondo, con la stupidità?

Che cosa vi affascina di un labirinto, ci entrereste rischiando di non uscirne? Se il rischio è tale, perché affrontarlo? E se, per ipotesi, è lecito uscirne, oltre al rischio, dove trovare, ancora più in fondo, il filo della tessitura che ne garantirebbe l'uscita? E l'uscita, poi, per dove? Senz'altro fuori da quella stanza. Sempre più simile a una sorta di caverna. Non c'è dubbio che almeno un filo, alla stregua di quella motivazione dell'inizio quale che fosse, avesse tessuto le sorti dell'intera umanità. Di una specie che i paleontologi, altri polli di allevamento, continuano a dividere piuttosto che unire.

E allora, come ancora una volta gli capitava, eccolo nel mezzo del cammin di nostra vita, per una selva oscura, ché la dritta via era smarrita. Nel bosco, in fondo e ancora più in fondo, all'orizzonte nemmeno, non si scorgeva alcuna radura. Fino a quando, in fondo e ancora più in fondo, la via, divenuta piuttosto un sentiero, finì per interrompersi. Pensò, con sempre maggiore speranza, come quella che resta timidamente nel vaso di Pandora: definitivamente. Forse.

E allora non restava dunque che il mistero? Una cosa nascosta. Tenebre ovunque. Anche questo sembrava che gli fosse già capitato: posero duplice forma a dar nome alle loro impressioni: d'una non c'era bisogno, in questo si sono ingannati, l'una dall'altra figura distinsero e posero segni opposti fra loro, di qua il fuoco etereo vampante, utile, assai rarefatto, leggero, in sé del tutto omogeneo, altro rispetto all'altro; anch'esso però in se stesso notte cieca al contrario, forma densa e pesante.

Giovanni, uno dei maestri di suo figlio, continuava a suggerirgli però che gli uomini preferirono le tenebre alla luce. Preferirono o preferiscono? E in che senso? Osava pensare che le tenebre fossero quella risposta che tanto cercava, ma ancora una volta s'illudeva. Infatti, immerso fino in fondo nel gorgo del maelstrom, ora, il Fato si rivelava per se stesso come un'immagine svuotata, un fantasma, privo di ogni contenuto, contenuto riversatosi interamente nello scrigno di Pandora. Si rese così conto di aver mangiato tutti i frutti dell'albero della vita e della morte. Pensare e mangiare è la stessa cosa. Così come comprendere e essere è la stessa cosa.

Il suo più fedele amico, Parmenide, c'era andato vicinissimo. Scrivendo dell'antichissimo "segreto" - come lo avrebbe chiamato il maestro degli allevatori, quel tale Aristotele - non avrebbe potuto fare di meglio. E invece, il segreto era ed è che occorreva e occorre tacere. Ma, non al fine di perpetuare un altro inganno, così come intendeva bene Snorri Sturlusson, e cioè l'inganno del Mysterion, che in greco classico significa letteralmente "una cosa nascosta".

Era finalmente giunta l'ora di uscire alla luce e afferrare dall'albero della conoscenza le gran don de ne rien comprendre à notre sort. Stupido mulo, alla fine sei diventato re. Il re.

Arpocrate